martedì 17 novembre 2015

LIBANO: Faccio cose, vedo gente

Ovvero delle prospettive, dei punti di vista e della scrivania



"- Senti che lavoro – me ne ero dimenticato – che lavoro fai?
* Bè, mi interesso di molte cose… Cinema, teatro, fotografia, musica, leggo…
- Ehm… concretamente…
* Eh… non so cosa vuoi dire.
- Come non sai, cioè che lavoro fai?
* Nulla di preciso.
- Vabbè, come campi?
* Mah, te l’ho dddetto, gggiro, vedo gggente, mi muovo, conosco, faccio delle cose…”

                                                                                                                             Ecce Bombo 


Io e le tre carismatiche persone che vedete in foto - Megòn, Clodia e Micayella, assodata versione libanese dei loro nomi - ci troviamo a Beirut da un mese e mezzo oramai, in servizio civile ça va sans dire
Il nostro servizio – e cerchiamo di capire se sia possibile chiamarlo lavoro - sta coinvolgendo tre aree: due sono shelter per migrant workers, e il terzo è il campo palestinese di Dbayeh.



In tutti questi posti - ad ora - io credo di fare cose e vedere gente, motivo per cui rimando ad un prossimo post il raccontarvi nel dettaglio cosa ci faccio qua.

Per il momento, mi concedo un’altra riflessione sul mio esserci, che in realtà è questione di punti di vista. Prendiamo questi due scenari:
- Se dici “Basically I follow up this project involving migrant workers and refugees, you know…” solitamente la reazione è “Oh nice, that’s interesting” e vieni immaginato dietro una scrivania a tenere in mano le sorti di un progetto, per la serie “cooperante in carriera”.
- Se al contrario spieghi “I am a volunteer from Caritas Ambrosiana (Milan) and I am working with migrant workers…Ajajajajajaj, col “volunteer” crei già confusione, poi dove puoi essere collocato, davanti o dietro la scrivania?

Forse si pensa troppo spesso ad una dicotomia, per cui coloro che operano nel fantomatico mondo della “cooperazione” vengono divisi proprio da una scrivania: se rispetto a questa ti collochi dietro sei in ufficio a progettare, altrimenti sei davanti e quindi sul campo.
Dopo un mese di SCE mi torna in mente una parte del nostro progetto in cui si parlava di stili di presenza: il modo di porsi in altre parole, uno stile che cambia nel tempo e che si evolve, facendo sì (in teoria) che si possa entrare sempre più nel contesto in cui ci si trova.
In queste prime settimane, io sto apprezzando l’entrare “in punta di piedi” in tutto ciò che facciamo.
In punta di piedi nelle diverse tempistiche dietro l’organizzazione del lavoro, nella formalità a volte rigorosa e altre quasi impalpabile nei rapporti di lavoro, e ancora in punta di piedi nel valore che si dà al lavorare dietro una scrivania e nel valore che si dà a chi la scrivania la vede poco.
Ho dei miei personalissimi giudizi ovviamente, che cambieranno o si confermeranno, eppure ciò che apprezzo di più, e credo sia una peculiarità di questo SCE, è proprio il rimbalzare da tutti i lati della scrivania.

Peculiarità questa molto vantaggiosa. Per cui ti puoi trovare a seguire un progetto per una nuova cucina, e lì la scrivania ti serve per contattare ingegneri e fornitori, scaricare preventivi, planimetrie, bill of quantity (presto Team Libano vi svelerà anche questo arcano) ecc. Oppure ti puoi trovare seduta davanti alle scrivanie di persone che desideri conoscere, perché seppur non sia scritto da nessuna parte che queste facciano parte del “tuo” progetto, ci si rende conto possano essere una chiave di accesso a una realtà troppo nebulosa e ben venga il conoscerle e il confrontarsi.
E ti puoi trovare ancora dietro la scrivania, con le mani in fermento, e i cassetti che mentre sei lì si aprono e chiudono… magari non è nemmeno la tua, tuttavia diventa un laboratorio di idee per progettare una lezione di inglese, una tabella che organizzi le chiamate delle ospiti di un centro, un report da condividere coi colleghi o anche una tabella che organizzi la distribuzione degli abiti o annoti i compleanni.
Da quella scrivania ci passi alla fine e all’inizio del lavoro sul campo: sul campo quando si improvvisa una chiacchierata con un fornaio il cui forno è quasi nascosto sotto terra in un campo palestinese; sei sul campo durante un giro di saluti tra le camere delle donne che ti raccontano quante mutande hanno e perché si sentano frustrate; sei sul campo durante una ginnastica mattutina che ti lascia una sete pazzesca eppure ti avvicina col potentissimo linguaggio del corpo a delle donne un po’ annoiate, che riscoprono il bello di mettersi in gioco e in ridicolo. E – curioso no? – sei sul campo a parer mio anche quando usi la scrivania per ricordarti che c’è una lingua da imparare e tenere allenata, perché essere sul campo forse non è tanto essere a Beirut, ma parlare CON Beirut prima che DI Beirut.
Dove collocare tutto ciò, in progettazione, cooperazione, volontariato…?

Non so voi, io lo lascerei proprio serenamente in faccio cose vedo gente, perché in fondo anche questo è solo questione di prospettive e punti di vista.

Prospettive e punti di vista (0): la giusta misura
M: “Per me è dritto
C: “Per me è storto
A: “Per me è no! Lasciate perdere ragazze…”
Prospettive e punti di vista (1): il turbolento incontro tra passato e presente
Prospettive e punti di vista (2): il dolce incontro tra passato e presente
Prospettive e punti di vista (3): de gustibus = “bello mangiare libanese eh, ma a una certa…”[1]


Prospettive e punti di vista (4): la bellezza (ferita)
Prospettive e punti di vista (5): entrare in punta di piedi o dare nell'occhio

Prospettive e punti di vista (6): essere presbiti = guardare le cose da lontano per capirle meglio

Una piccola chicca dopo questa carrellata di PROSPETTIVE E PUNTI DI VISTA: quando ci si trova di fronte a qualcosa che è disorganizzato e confusionario, qua si usa tuttora dire “al’haq ‘alā-l-ṭilyān” cioè “è colpa degli Italiani”; questo perché nel 1912 la flotta italiana bombardò la zona del porto e i quartieri centrali di Beirut, causando così una grande disorganizzazione nella città a livello urbanistico[2]

[1] Immagini prese rispettivamente dai miei amici dei CdS 2014 e dal gruppo FB “Se i quadri potessero parlare”.
[2] Samir Kassir, 2009. Beirut, storia di una città, p. 163.


Belli i punti di vista no?

Nessun commento:

Posta un commento