sabato 21 novembre 2015

Mi si è riempito il cuore

                                                                                                               MELGA, 18 NOVEMBRE 2015.



A volte si vivono delle emozioni così forti e improvvise che non si riesce neanche a capire cosa sono, perché sono arrivate e come si chiamano.
Soprattutto per la maggior parte di noi, analfabeti emotivi, non abituati a parlare di ciò che si prova.
Ma non importa, perché già viverle è qualcosa, lasciano il segno.

Oggi mi si è riempito il cuore.

Andiamo con ordine. Nelle ultime due settimane un gruppo di ragazzi dell’Università Cattolica Boliviana si è impegnata a raccogliere viveri di ogni genere da portare alla comunità di Melga e proprio oggi siamo andati a consegnare il tutto.

Melga è un vasto territorio ubicato in mezzo alle montagne, a circa un'ora dalla città di Cochabamba. Ad accoglierci il Padre Ramiro, un grande uomo boliviano, calmo e silenzioso, ma con una forza d’animo che si percepisce solo guardandolo.
Un vero grande uomo.

Dopo aver scaricato una quantità di cibo apparentemente infinita per noi “operai” fuori forma, ci siamo sentiti in dovere di accettare l'invito di una suora polacca a bere un caffè, o meglio…ad abbuffarci in una seconda colazione!
Succede sempre così: “solo un cafesito!” e invece…pane , burro, marmellata, dulce de leche, formaggio! Tante, tante chiacchiere, moltissime risate, altrettanti spunti di riflessioni.

A pancia decisamente piena, il padre ha voluto portarci a conoscere un po’ il suo pueblo.
Siamo saliti in macchina e via! Campi coltivati,boschetti, lagune, tanta polvere, qualche casa, mucche e pecore. Una scuola.


Appare come una casetta in mezzo ad un vasto prato, in cima ad una collina.
Ad accoglierci, un bimbo, poco vestito, che gioca con l’acqua, vicino ad un canale.
Cerchiamo di capire se è solo o se i suoi genitori lavorano nei paraggi, ma parla solo quechua e ci accorgiamo che è piccolissimo.

Entriamo nella scuola: un edificio modesto, in pratica un’unica aula; 18 bambini, di differenti età, sono occupati nei test di fine anno. Sono divisi in tavoli, che rappresentano i diversi “livelli” scolastici: ci sono i bambini più piccolini di circa sei anni, occupati a disegnare; quelli di 7- 8 anni impegnati nel compito di matematica; poi i ragazzini di 9- 10 anni anche essi immersi nei calcoli e infine i più grandicelli di 12 -13 anni, che controllano la scena.
C’è un solo maestro, a cui, si vede , i bambini sono molto affezionati.






Ci fermiamo a parlare un po’ con loro.
Belen impiega circa un’ora di cammino per arrivare alla scuola; all’inizio le facevano male i piedi, ma ora non più.
Il bambino là fuori è il fratellino di un suo compagno: lo porta a scuola perché a casa non c’è nessuno, sono tutti nei campi a lavorare.
A Rodrigo non piace la matematica, perché è difficile.
In realtà non piace quasi a nessuno, povera matematica, sempre poco apprezzata ,ma di notevole utilità!
I più piccolini sono i più timidi, ma i più curiosi. Vorrebbero delle foto e si mettono in posa.

Tanti volti, tante storie.
È quasi ora per loro e per noi di andare, ma prima testano le nostre abilità col pallone! Naturalmente, vengo rimandata.


Ci allontaniamo tra saluti e sorrisi.
Ripartiamo e torniamo alla base, allungando però un po’ la strada.
Passiamo per altri campi, altri boschetti, altre lagune, tanta polvere, qualche casa, mucche e pecore.
I paesaggi sono mozzafiato, ma qualcosa mi pesa sul cuore e mi rattrista.




Arriviamo alla casa del padre che ci offre di pranzare insieme.
Come spesso accade, il menù propone sopa de mani: zuppa di arachidi, con pasta, verdure, pollo, patate lesse e patatine fritte, piatto unico.

Siamo nel comedor della parrocchia, dove le suore preparano da mangiare per i bambini che escono dal collegio.
Come ci spiega il padre, nella maggior parte delle famiglie, i genitori sono a lavorare nei campi tutto il giorno e spesso per più giorni, avendo più terreni da coltivare sia qui, sia più in basso, nel Chapare. I bambini rimangono soli a casa, senza però essere in grado di badare pienamente a se stessi. I più piccoli non sanno cucinare e rischiano di rimanere senza mangiare per giorni. Altri, semplicemente, non hanno abbastanza cibo.

Il comedor è aperto dal lunedì al sabato e accoglie tra i 30 e i 60 bambini al giorno.

Dopo un’ora abbondante, lo schiamazzare di qualche ragazzino ci fa capire che forse è arrivata l’ora di lasciare libera la tavola!
Ringraziamo le suore, salutiamo i bambini, ci dirigiamo verso le macchine, ma ad un certo punto, riconosciamo in lontananza la voce della nostra cara amica suora polacca che ci chiede: ” Gradite un cafesito?!?”.
Come rifiutare? Altro giro, altra corsa!

È arrivata proprio l’ora di andare. Ringraziamo, salutiamo, scattiamo le ultime foto e ci auguriamo buona fortuna con il solito : “Que te vaya bien!”.
Ma qualcosa pesa sul cuore.







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