MELGA, 18 NOVEMBRE 2015.
A volte si vivono delle emozioni così
forti e improvvise che non si riesce neanche a capire cosa sono,
perché sono arrivate e come si chiamano.
Soprattutto per la maggior parte di
noi, analfabeti emotivi, non abituati a parlare di ciò che si prova.
Ma non importa, perché già viverle è
qualcosa, lasciano il segno.
Oggi mi si è riempito il cuore.
Andiamo con ordine. Nelle ultime due
settimane un gruppo di ragazzi dell’Università Cattolica Boliviana
si è impegnata a raccogliere viveri di ogni genere da portare alla
comunità di Melga e proprio oggi siamo andati a consegnare il tutto.
Melga è un vasto territorio ubicato in
mezzo alle montagne, a circa un'ora dalla città di Cochabamba. Ad
accoglierci il Padre Ramiro, un grande uomo boliviano, calmo e
silenzioso, ma con una forza d’animo che si percepisce solo
guardandolo.
Un vero grande uomo.
Dopo aver scaricato una quantità di
cibo apparentemente infinita per noi “operai” fuori forma, ci
siamo sentiti in dovere di accettare l'invito di una suora polacca a
bere un caffè, o meglio…ad abbuffarci in una seconda colazione!
Succede sempre così: “solo un
cafesito!” e invece…pane , burro, marmellata, dulce de leche,
formaggio! Tante, tante chiacchiere, moltissime risate, altrettanti
spunti di riflessioni.
A pancia decisamente piena, il padre ha
voluto portarci a conoscere un po’ il suo pueblo.
Siamo saliti in macchina e via! Campi
coltivati,boschetti, lagune, tanta polvere, qualche casa, mucche e
pecore. Una scuola.
Appare come una casetta in mezzo ad un
vasto prato, in cima ad una collina.
Ad accoglierci, un bimbo, poco vestito,
che gioca con l’acqua, vicino ad un canale.
Cerchiamo di capire se è solo o se i
suoi genitori lavorano nei paraggi, ma parla solo quechua e ci
accorgiamo che è piccolissimo.
Entriamo nella scuola: un edificio
modesto, in pratica un’unica aula; 18 bambini, di differenti età,
sono occupati nei test di fine anno. Sono divisi in tavoli, che
rappresentano i diversi “livelli” scolastici: ci sono i bambini
più piccolini di circa sei anni, occupati a disegnare; quelli di 7-
8 anni impegnati nel compito di matematica; poi i ragazzini di 9- 10
anni anche essi immersi nei calcoli e infine i più grandicelli di
12 -13 anni, che controllano la scena.
C’è un solo maestro, a cui, si vede
, i bambini sono molto affezionati.
Ci fermiamo a parlare un po’ con
loro.
Belen impiega circa un’ora di cammino
per arrivare alla scuola; all’inizio le facevano male i piedi, ma
ora non più.
Il bambino là fuori è il fratellino
di un suo compagno: lo porta a scuola perché a casa non c’è
nessuno, sono tutti nei campi a lavorare.
A Rodrigo non piace la matematica,
perché è difficile.
In realtà non piace quasi a nessuno,
povera matematica, sempre poco apprezzata ,ma di notevole utilità!
I più piccolini sono i più timidi, ma
i più curiosi. Vorrebbero delle foto e si mettono in posa.
Tanti volti, tante storie.
È quasi ora per loro e per noi di
andare, ma prima testano le nostre abilità col pallone!
Naturalmente, vengo rimandata.
Ci allontaniamo tra saluti e sorrisi.
Ripartiamo e torniamo alla base,
allungando però un po’ la strada.
Passiamo per altri campi, altri
boschetti, altre lagune, tanta polvere, qualche casa, mucche e
pecore.
I paesaggi sono mozzafiato, ma qualcosa
mi pesa sul cuore e mi rattrista.
Arriviamo alla casa del padre che ci
offre di pranzare insieme.
Come spesso accade, il menù propone
sopa de mani: zuppa di arachidi, con pasta, verdure, pollo, patate
lesse e patatine fritte, piatto unico.
Siamo nel comedor della
parrocchia, dove le suore preparano da mangiare per i bambini che
escono dal collegio.
Come ci spiega il padre, nella maggior
parte delle famiglie, i genitori sono a lavorare nei campi tutto il
giorno e spesso per più giorni, avendo più terreni da coltivare sia
qui, sia più in basso, nel Chapare. I bambini rimangono soli a casa,
senza però essere in grado di badare pienamente a se stessi. I più
piccoli non sanno cucinare e rischiano di rimanere senza mangiare
per giorni. Altri, semplicemente, non hanno abbastanza cibo.
Il comedor è aperto dal lunedì
al sabato e accoglie tra i 30 e i 60 bambini al giorno.
Dopo un’ora abbondante, lo
schiamazzare di qualche ragazzino ci fa capire che forse è arrivata
l’ora di lasciare libera la tavola!
Ringraziamo le suore, salutiamo i
bambini, ci dirigiamo verso le macchine, ma ad un certo punto,
riconosciamo in lontananza la voce della nostra cara amica suora
polacca che ci chiede: ” Gradite un cafesito?!?”.
Come rifiutare? Altro giro, altra
corsa!
È arrivata proprio l’ora di andare.
Ringraziamo, salutiamo, scattiamo le ultime foto e ci auguriamo buona
fortuna con il solito : “Que te vaya bien!”.
Ma qualcosa pesa sul cuore.
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