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mercoledì 31 agosto 2016

Marocco: un dono che ti cambia la vita

1 commento:
“Si sopravvive di ciò che si riceve, ma si vive di ciò che si dona”.
Questo è uno dei tanti aforismi che mia mamma ripete in continuazione, ma questa breve frase è diventata anche il filo conduttore del mio cantiere in Marocco.

Sono state tre settimane molto diverse una dall’altra in cui abbiamo assaporato aspetti diversi di quelle che possono essere la vita e la cultura marocchine, abbiamo visto posti, città e paesaggi infinitamente variegati e abbiamo incontrato tantissime persone, ognuna con la sua storia, arrivate in Marocco per ragioni differenti, ma tutte pronte a condividere qualcosa di loro, sia con noi cantieristi attraverso i loro racconti, sia con le persone con cui si ritrovano a vivere e convivere ogni giorno.

Ripenso a suor Inma e a Monica, a capo dei centri di accoglienza migranti rispettivamente di Tangeri e Rabat, a Eduard di Caritas Marocco a don Matteo della parrocchia di Fes e a Jackson, camerunense incontrato a Meknes; attraverso le loro testimonianze ci hanno avvicinato un po’ a quella che è la realtà dei migranti in Marocco e ci hanno emozionato e affascinato raccontandoci di come ogni giorno si danno da fare puntando tutto su quello che è il valore della persona che si trovano davanti, elevando la sua dignità in quanto uomo prima che migrante.



Mi tornano in mente, poi, le figure di frate Joel, di frate Natale e delle piccole sorelle di Gesù di Ceuta e Fes; rivivono in me i loro racconti su una Chiesa minoritaria, che si fa piccola piccola e si intrufola senza prepotenza in un paese per il 99% islamico in cui il re stesso è il capo della religione. È, questa, una chiesa umile, che vive con gli ultimi e con le minoranze ma che allo stesso tempo è sempre aperta a un dialogo e uno scambio con l’altro e che si mette al servizio di chi ne ha più bisogno. Ascolto e rispetto reciproci, sono queste le basi per un dialogo tra religioni e culture diverse.



Rivivo, infine, con gioia, la settimana passata a Tatiuin, villaggio berbero sperduto nel nulla in cui ho potuto sperimentare la grandezza dell’animo umano. Ho ben vividi nella memoria i sorrisi e gli occhioni luccicanti dei bambini di Tatiuin felici solo per il fatto che noi fossimo lì per loro e con loro. Risento ancora i suoni dei tamburi instancabili ai cui battiti abbiamo ballato e cantato insieme alla sindachessa, ai ragazzi del villaggio e al gruppo di spagnoli chi ci siamo ritrovati su. Sorrido ancora a ripensare a Fatima Zahra, alla sua dolcezza e al suo impegno e dedizione verso i ragazzi e, in fondo, ricordo con della tenerezza anche Khadija, generalessa dalla scorza dura che, però, si dà un gran daffare insieme a Fatima Zahra e Hasnae. Come dimenticare, poi, suor Barbara, sempre pronta a stabilire l’ordine e il rigore ma anche sempre pronta a dispensare consigli e aiuti – non sempre graditi. Ripenso alla povertà che ho visto ma alla infinita generosità e gratuità di chi, pur non avendo molto ti dona con cuore quel poco che ha.


Infine non posso non nominare i miei compagni di avventura, anche loro attaccati a quel mio filo che parte dal 31 luglio in aeroporto e che ancora non è terminato. Anche loro, come tutte le persone che abbiamo incontrato, hanno donato qualcosa di sé, il loro tempo per cominciare, la loro voglia di fare, di rischiare, il loro mettersi in gioco e in discussione, la loro gioia e, perché no, la loro pazzia. I loro dubbi, le loro domande, le loro critiche e disapprovazioni . Hanno donato e ricevuto e donato di nuovo. Perché è così che funziona quando ti spendi per qualcuno, inevitabilmente qualcosa ti ritorna indietro ed è così che la tua vita può arricchirsi di sfumature nuove a cui magari non avevi neanche pensato. Quindi grazie Bea, Stef, Fefa, Franci, Dade, Cate, Simo, Sere, don Luca e Richi.


Michela

domenica 21 agosto 2016

Marocco: migrare è progredire

3 commenti:
Girovagando nella biblioteca più antica del mondo - o così si dice -, circondata da un'infinità di testi che trattano dei temi più disparati, mi ritrovo a pensare che l'uomo ne ha fatta di strada.
Ha viaggiato, scoperto il mondo, conosciuto luoghi e popoli, religioni e pensieri filosofici, leggi fisiche e matematiche, cose da sempre esistenti ma a lui ancora ignote e, grazie a queste scoperte è riuscito a crearsi una cultura.
L'uomo, insomma, viaggia da sempre ed è proprio questo suo migrare che ha permesso un progresso.
Ora però ci stiamo fermando e invece che aprirci a nuovi scambi stiamo innalzando barriere.

Le migrazioni, oggi, avvengono per numerose motivazioni: crisi politiche, povertà, guerre, carestie, problmi ambientali e climatici, mancanza di risorse, prospettiva di un futuro migliore per sè e per la propria famiglia... ma allora perchè non a tutti è permesso di uscire dal proprio paese per stabilirsi in un altro? Ma soprattutto, perchè a qualcuno è concesso e a qualcun altro no?
Perchè esiste la differenza tra "expatriate" (riferito a un bianco occidentale che va a lavorare all'estero) e "immigrato" (comprendente chiunque non rientra nella prima categoria)?

"La più grande ineguaglainza al mondo oggi può essere rappresentata dal paese di nascita".
In effetti è assurdo che un qualsiasi cittadino di nazionalità italiana possa entrare senza probemi con il solo passaporto in 172 paesi mentre ci sono persone che fanno fatica a uscire dal proprio.

Durante un momento di riflessione con gli altri cantieristi è uscita la domanda "come sarebbe un mondo senza frotiere?" Una visione utopica visto come siamo messi, ma intanto iniziamo a pensare a quello che noi, nel nostro piccolo, possiamo fare. Abbattiamo le frontiere del nostro cuore e sconfiniamo oltre l'indiffernza e l'egoismo.





Michela