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giovedì 27 agosto 2015

Djibouti: le risposte del cuore.

2 commenti:

Sono tornata a casa ormai da qualche giorno e mi sono fatta una domanda: cos'è Gibuti per me?  Di questo paese, che quasi non ne conoscevo l’esistenza prima di partecipare all'incontro di presentazione dei cantieri, che cosa mi è rimasto?
Ho scavato un po’ nei ricordi e soprattutto nel cuore e ho trovato qualche risposta.

Gibuti è TERRA. Te ne accorgi appena esci dall'aeroporto guardando le strade, le case. È terra e solo dopo poche ore te la senti già sulle mani, sui piedi, nel naso…e così ti accorgi che un po’ di Gibuti ti è già entrata dentro.


Gibuti è MERAVIGLIA. Basta lasciarsi alle spalle la città che ti ritrovi immersa nel deserto, dove l’unico rumore è il vento che soffia forte. Ti ritrovi così ad ammirare proprio con i tuoi occhi paesaggi che prima avevi visto solo in tv o su qualche rivista: Lac ‘Assal, Canyon, Sable Blanc, Iles Musha…


Gibuti è UMANITÀ. La percepisci quando vieni accolta nel campo profughi yemenita, in cui sono ospitate famiglie proprio come le nostre, ma che da un giorno all'altro hanno dovuto mettere tutta la loro vita in una valigia e scappare dalla guerra. I loro sorrisi e la loro ospitalità sono stati disarmanti. Hanno aperto le loro tende, che in quel posto si trasformano in veri forni perché la temperatura va ben oltre i 40°, e ci hanno raccontato le loro storie. Sono stati grandi testimoni che le difficoltà non annientano l’umanità.


Gibuti è UMILTÀ. La sperimenti quando vieni accolta nelle baracche dove vivono i bimbi che incontri al centro Caritas. La mamma sistema i pochi cuscini che ha per farci sedere nel posto più comodo e ci racconta la propria storia. Storie di povertà e  disagio, dove Caritas interviene donando loro i soldi per pagare l’affitto – e già: una baracca di 4 m² senza elettricità ne acqua costa 5000 franchi gibutini (25 euro) al mese – e sacchi di riso e pasta. Gibuti è umiltà quando la mamma per salutarti ti stringe in un abbraccio che ti toglie il fiato e ti fa venire i brividi (e mai avrei immaginato di poter avere i brividi a Gibuti con 40 gradi!).

Gibuti è IMPOTENZA. La provi difronte ai tanti mostri che perseguitano la vita di quei bambini: povertà, abusi, violenze, colla… ti senti inutile, impotente difronte a quegli orrori che nessun bimbo di nessun paese dovrebbe mai sperimentare. Ti senti inutile e ti chiedi che cosa mai potrai cambiare tu in solo tre settimane di cantiere. Ma questa è anche una sfida e un invito a essere io per prima parte del cambiamento che vorrei, anche da casa.


Gibuti è PASSIONE. Viene trasmessa dalle tante realtà missionarie presenti nel paese. A partire da Gibuti città dove diverse suore portano avanti l’ecole primaire e i L.E.C. (lire, ecrire, conter). A Tadjoura dove padre Marc si occupa di insegnare un mestiere ai più giovani con corsi per meccanico, elettricista, muratore. Ad Obock con Marianne che si occupa della scuola e dei bambini di strada, facendo con loro lunghe passeggiate sulla spiaggia. Ad Ali Sabieh dove suor Anna, spendendo la sua vita con i bambini disabili, ha creato una classe speciale, il più adeguata possibile alle loro esigenze.


Gibuti è CUORE, donato e ricevuto. E il centro Caritas, con le sue difficoltà e i punti di forza, è stato il luogo privilegiato per questo scambio. Uno scambio con le mamme e i loro bebè, che spesso ti mettevano in braccio per avere un po’ di sollievo da quella creaturina che hanno attaccata al fianco 24 ore al giorno. Uno scambio con gli operatori e i volontari del centro: Alen, Fatou, Amadou, Samatar, padre Eder.. Uno scambio con i bambini accolti al centro Caritas, veri protagonisti di questo cantiere. Uno scambio reso possibile dai loro gesti, dai loro sorrisi, dalla loro vitalità che si faceva sentire particolarmente nei momenti di ballo.



Gibuti è METTERSI IN DISCUSSIONE. Per questo il mio cantiere a Gibuti non è finito il 23 Agosto ma continua ancora oggi e continuerà nei prossimi giorni mettendo in discussione la mia quotidianità, i miei bisogni, le mie scelte , i miei valori, così diversi da quelli gibutini.


Serena

martedì 25 agosto 2015

Gibuti: Tu, Adulto Di 7 Anni!

1 commento:
Ed eccomi ritornato a casa.
Ed eccomi qua a pensare a una realtà lontana 8 ore di aereo che sembra però di un altro pianeta.
Ed eccomi qua a pensare a quei bambini di strada di cui tanto si era parlato nella formazione iniziale a giugno.

Solo in questi giorni di cantiere ho capito però cosa vuol dire essere bambino di strada:
vuol dire non avere un posto da chiamare "casa". Vuol dire che non puoi possedere nulla, da un libro, a una maglietta in piu', a una riserva di cibo o acqua.
Essere bambino di strada vuol dire avere la preoccupazione di mangiare qualcosa entro sera.

Il fare attività al centro caritas quasi tutte le mattine, mi ha fatto capire quanto questi bambini siano poco bambini e quanto diritto ne avrebbero di esserlo.
Se penso al loro diritto di essere bambini un immagine mi viene subito in mente:
una sala, una televisione e tanti volti con la bocca aperta e gli occhi persi dentro quel cartone animato! Ecco, quello è uno dei pochi momenti della giornata che possono sentirsi bambini.


Bambini come Mohamed, chiamato l'africano per il suo colore della pelle molto piu' scuro di quello tipico del corno d'Africa, che la maggior parte delle volte è ingestibile, il classico bulletto, ma se gli mostri un po’ d'affetto è capace di trasformarsi e diventare un bambino quasi tenero.


O come Arafat, che l’altro giorno ha tirato un pugno a un altro bimbo ed era dispiaciuto moltissimo, al punto di andare a chiedere scusa con la manina e poi con un bacino sulla fronte (cosa abbastanza rara al centro).


O infine come Apnojdi, “the doctor”, il migliore! Ragazzino sordo muto, con le orecchie a sventola, alto e magrissimo, un po gobbo, che alle lezioni di matematica dava un sacco di soddisfazioni.
Il suo abbraccio all’ultimo giorno di centro, quando a gesti gli ho spiegato che ritornavo in Italia, è stato il momento piu’ emozionante e commovente del cantiere.
Un abbraccio che parlava, anzi urlava!
Per me voleva dire: “buona fortuna fratello mio, la vita sembra che ti ha dato poco ma non è così perché sei un ragazzo pieno di bontà e qualità”.
Per lui invece penso sia stato dire un grazie a una persona conosciuta da poco ma che gli ha mostrato qualche attenzione e ha cercato di insegnarli qualcosa.



Il loro volto mi ha segnato.
Il loro sorriso mi ha insegnato.
Per loro, un futuro migliore, stanotte ho sognato.

Davide