“A Jenin i ragazzi non fanno nulla tutto il giorno, trascorrono le giornate in strada. Molti convivono con il trauma dei carri armati israeliani entrati dentro le loro case nel 2002. Il teatro nel campo profughi cerca di dare loro un'opportunità.”
Ottobre 2011: chi parla è Rawand Arqawi, coordinatrice del Freedom Theatre nel campo profughi di Jenin, città nel nord della West Bank. Con la delicatezza che solo una madre sa dare, Rawand mi introduce nel dramma dei milioni di persone costrette da 66 anni a vivere in un campo per rifugiati a pochi chilometri da casa; un'indecorosa sistemazione provvisoria divenuta invece “casa” stabile per almeno tre generazioni di persone. Ad oggi, la precarietà delle tende è scomparsa per lasciar posto a veri e propri campi profughi in tutto il Medio Oriente, caratterizzati da sovraffollamento, precarie condizioni igieniche e scarse opportunità di crescita personale e professionale. Anche attraverso questa esperienza, inizio ad interessarmi diffusamente della questione dei rifugiati palestinesi e di come esperienze creative come quella di un teatro all'interno di un contesto simile possa essere la chiave di (S)volta.
Ottobre 2013: due anni dopo, la pagina Web del Servizio Civile mi rimanda al progetto di Caritas Ambrosiana e Caritas Lebanon, destinato ( tra le altre cose) a migliaia di rifugiati palestinesi nella zona di Dbaye, a nord di Beirut. Un contesto sicuramente stimolante e variegato, aggravato però dall'arrivo di milioni di siriani in fuga dal conflitto in corso. “ Ci siamo!Sembra quasi un segno del destino, o di chi per lui” esclamo mentre sono già intento a compilare in fretta e furia la domanda di partecipazione.
Febbraio 2014: mi rigiro tra le mani il passaporto con tanto di visto timbrato dal console del Paese dei Cedri:
Tutto vero: Tra pochi giorni si parte!
Tutto vero: Tra pochi giorni si parte!
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