venerdì 3 marzo 2017

"In her shoes", camminando con Estè



Finalmente riesco a salire verso le montagne, a camminare in solitaria cercando riposo per i cinque sensi, costantemente alla ricerca di un punto di riferimento nella vorticante confusione del piccolo grande caos di Port-de-Paix. Questa domenica mattina è il momento giusto per lasciarsi alle spalle cemento e spazzatura, musica e motociclette. La strada sterrata e polverosa s‘inerpica verso l’alto, attraversa crinali impervi tratteggiati da un artistico patchwork di campi coltivati e da tante casette di lamiera. 


Port-de-Paix dall'alto, l'isola della Tortuga sullo sfondo


Mentre attraverso questo quadro naif inizio a sentirmi seguita, senza voltarmi aumento il passo. Questo provoca uno sfrigolio di tacchi leggero, ma sempre più veloce, che alla fine mi raggiunge. E’ una bambina vestita da festa che scarpina a tutta velocità, con un paio di infradito a tacco alto, su un terreno così accidentato che mette a repentaglio le caviglie anche con gli scarponi. Camminiamo in silenzio fianco a fianco per un po’, senza capire veramente se stiamo andando nella stessa direzione. Le faccio qualche domanda, lei risponde poco convinta, ma ogni volta che mi fermo mi aspetta, e se qualcuno mi inizia a parlare è lei che spiega che stiamo andando a La Croix.
Tra una domanda e l’altra di Estè, che ormai ha sciolto la sua  timidezza, tra i commenti dei passanti stupiti di vedermi da quelle parti, tra i muratori che chiedono soldi e preghiere, tra i contadini che vogliono parlare della Repubblica Dominicana, tra le signore e le bambine che scendono al mercato con le teste cariche di ceste delle verdure dei loro orti, ed il portiere della casa dei frati che mi coinvolge in profonde riflessioni sui pannelli solari, ho tempo per pensare e per lasciare partire la testa tra le nuvole.

“El frágil  sendero de los Caciques desapareció de súbito frente a una lanza clavada en tierra, sostenida por un montón de piedras: el poteau-mitan, la intersección entre el cielo y el lugar de más abajo, entre el mundo de los Loas y el de los humanos. Y entonces los vio. Primero dos sombras, luego el brillo del metal, cuchillos o machetes. No levantó los ojos. Saludó con humildad repetendo la contraseña que le había dado Tante Rose. No hubo respuesta, pero percibió el calor de esos seres tan cercanos, que si tendía una mano podía tocarlos. No hedían a podredumbre ni a cementerio, despedían el mismo olor de la gente de los cañaverales.”
Isabel Allende, La isla bajo el mar

Quasi mi aspetto di trovarmi davanti a questa scena. Risalendo verso la cima mi  vengono in mente le pagine di Isabel Allende che raccontano del nord di Haiti all’epoca delle lotte che portarono all’indipendenza del Paese. C’erano schiavi che non si rassegnavano e scappavano dalle piantagioni dei loro padroni, sfidando non solo la furia di questi, ma anche le alte e sconosciute montagne, che diedero poi il nome a questa terra. 
Camminando su questa strada immagino cosa volesse dire la fuga, il viaggio, l’arrivo a un quilombo, come descrive in questo passo. In questi luoghi i Mawon hanno scelto la libertà, non solo per se stessi, ma per quella che diventerà, a caro prezzo, la prima Repubblica nera della Storia.
Sono passati più di duecento anni, l’orgoglio del passato rimane, ma questo paese non è indipendente. Lo si vede non solo dalle “grandi cose”, le più evidenti, come l’ingerenza politica ripetuta, la dipendenza economica dalle importazioni e dagli aiuti umanitari a pioggia che non permettono lo sviluppo di tutto ciò che qui potrebbe fiorire.  Lo si vede quotidianamente anche dalle “piccole cose”: da i bambini che chiedono soldi o cibo toccandosi la pancia e facendo segni di decapitazione (c’è voluto del tempo ad interpretarlo come “sto morendo di fame” e non come “ voglio farti fuori”), dai banchi del mercato vuoti dopo mesi dall passaggio dell’uragano Matthew, dai prodotti americani che invadono ogni aspetto la vita dell'isola...
La strada per il quilombo è ancora lunga, ma gli Haitiani sono forti. Le responsabilità di chi viene da fuori sono importanti, camminare insieme non è sempre semplice. A volte non si capisce la logica sottesa alle cose, altre volte sarebbe più facile fare noi al posto di qualcuno che vediamo in difficoltà, altre volte ancora restiamo incompresi…
Ecco appunto, torno alla realtà, Este mi chiede di comprarle dell’acqua. Nel suo sacchetto nero non c’è una bottiglietta come pensavo, ma un altro paio di scarpette da messa di ricambio, che ad un certo punto deve infilarsi al posto di quelle che indossa che si sono rotte!... Le sorrido e le passo la mia borraccia.











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