Finalmente riesco a salire verso le montagne, a camminare in solitaria cercando
riposo per i cinque sensi, costantemente alla ricerca di un punto di
riferimento nella vorticante confusione del piccolo grande caos di Port-de-Paix.
Questa domenica mattina è il momento giusto per lasciarsi alle spalle cemento e
spazzatura, musica e motociclette. La strada sterrata e polverosa s‘inerpica
verso l’alto, attraversa crinali impervi tratteggiati da un artistico patchwork
di campi coltivati e da tante casette di lamiera.
Port-de-Paix dall'alto, l'isola della Tortuga sullo sfondo |
Mentre attraverso questo quadro naif inizio a sentirmi seguita, senza
voltarmi aumento il passo. Questo provoca uno sfrigolio di tacchi leggero, ma
sempre più veloce, che alla fine mi raggiunge. E’ una bambina vestita da festa
che scarpina a tutta velocità, con un paio di infradito a tacco alto, su un
terreno così accidentato che mette a repentaglio le caviglie anche con gli
scarponi. Camminiamo in silenzio fianco a fianco per un po’, senza capire
veramente se stiamo andando nella stessa direzione. Le faccio qualche domanda,
lei risponde poco convinta, ma ogni volta che mi fermo mi aspetta, e se
qualcuno mi inizia a parlare è lei che spiega che stiamo andando a La Croix.
Tra una domanda e l’altra di Estè, che ormai ha sciolto la sua timidezza, tra i commenti dei passanti stupiti
di vedermi da quelle parti, tra i muratori che chiedono soldi e preghiere, tra i
contadini che vogliono parlare della Repubblica Dominicana, tra le signore e le
bambine che scendono al mercato con le teste cariche di ceste delle verdure dei
loro orti, ed il portiere della casa dei frati che mi coinvolge in profonde
riflessioni sui pannelli solari, ho tempo per pensare e per lasciare partire la
testa tra le nuvole.
“El frágil sendero de los Caciques desapareció de súbito
frente a una lanza clavada en tierra, sostenida por un montón de piedras: el poteau-mitan, la intersección entre el cielo y el lugar de más abajo, entre el
mundo de los Loas y el de los humanos.
Y entonces los vio. Primero dos sombras, luego el brillo del metal, cuchillos o
machetes. No levantó los ojos. Saludó con humildad repetendo la contraseña que
le había dado Tante Rose. No hubo respuesta, pero percibió el calor de esos
seres tan cercanos, que si tendía una mano podía tocarlos. No hedían a
podredumbre ni a cementerio, despedían el mismo olor de la gente de los
cañaverales.”
Isabel Allende, La isla bajo el mar
Quasi mi aspetto di trovarmi davanti a questa scena. Risalendo verso la
cima mi vengono in mente le pagine di
Isabel Allende che raccontano del nord di Haiti all’epoca delle lotte che
portarono all’indipendenza del Paese. C’erano schiavi che non si rassegnavano e
scappavano dalle piantagioni dei loro padroni, sfidando non solo la furia di
questi, ma anche le alte e sconosciute montagne, che diedero poi il nome a
questa terra.
Camminando su questa strada immagino cosa volesse dire la fuga,
il viaggio, l’arrivo a un quilombo, come
descrive in questo passo. In questi luoghi i Mawon hanno scelto la libertà, non solo per se stessi, ma per
quella che diventerà, a caro prezzo, la prima Repubblica nera della Storia.
Sono passati più di duecento anni, l’orgoglio del passato rimane, ma questo
paese non è indipendente. Lo si vede non solo dalle “grandi cose”, le più
evidenti, come l’ingerenza politica ripetuta, la dipendenza economica dalle
importazioni e dagli aiuti umanitari a pioggia che non permettono lo sviluppo
di tutto ciò che qui potrebbe fiorire. Lo
si vede quotidianamente anche dalle “piccole cose”: da i bambini che chiedono
soldi o cibo toccandosi la pancia e facendo segni di decapitazione (c’è voluto
del tempo ad interpretarlo come “sto morendo di fame” e non come “ voglio farti
fuori”), dai banchi del mercato vuoti dopo mesi dall passaggio dell’uragano
Matthew, dai prodotti americani che invadono ogni aspetto la vita dell'isola...
La strada per il quilombo è
ancora lunga, ma gli Haitiani sono forti. Le responsabilità di chi viene da
fuori sono importanti, camminare insieme non è sempre semplice. A volte non si
capisce la logica sottesa alle cose, altre volte sarebbe più facile fare noi al
posto di qualcuno che vediamo in difficoltà, altre volte ancora restiamo
incompresi…
Ecco appunto, torno alla realtà, Este mi chiede di comprarle
dell’acqua. Nel suo sacchetto nero non c’è una bottiglietta come pensavo, ma un
altro paio di scarpette da messa di ricambio, che ad un certo punto deve
infilarsi al posto di quelle che indossa che si sono rotte!... Le sorrido e le
passo la mia borraccia.
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