Il rientro in Italia è stato costellato e farcito di
sorrisi, abbracci, sguardi curiosi, vita quotidiana che ha continuato a
scorrere in mia assenza, amore, fugacità, densità di momenti. Una scorta di
emotività e affetti… e ancora pervade le mie membra quella gratitudine per
tutto quello che la vita mi sta dando, per tutto quello che ho a casa:
famiglia, amici, colleghi, compagni di università, la comunità di San Leone
Magno, Michele…
È stato rapido, inebriante e frastornante e ciò ha fatto sì
che il mio ritorno a Cochabamba fosse alquanto emozionante. Il viaggio è stato
velocissimo, non solo perché questa volta avevamo un volo più umano e
leggermente più corto, ma perché la mia mente ed il mio cuore si sono sentiti
catapultati all’improvviso in una situazione già conosciuta…dopo averne appena
salutata una altrettanto familiare...
Ho sentito densissimo il rientro in Italia, me lo sono goduto ma allo stesso tempo è sfumato via in un soffio di vento. Sono tornata in Bolivia e seppur in patria è stato significativo tornare, pareva come non avessi mai lasciato l’America Latina, che mi ha ri-accolto come fossi a casa mia. Scendere dall’aereo a Cochabamba è stato fortissimo, una vampata di emozioni e sensazioni elettriche e frizzantine hanno scompigliato il mio essere. La città mi pareva più bella che mai, tranquilla, quasi in silenzio ad attendere il nostro ritorno..una luce limpidissima e saporita illuminava le strade e i monti. Rimettere piede in casa poi…il mio stomaco si contorceva da tutta la grandezza di quello che stavo vivendo, un momento commovente.
E poi il rientro al lavoro, qui in Pastoral Social Caritas Cochabamba, un po’ in sordina, con “calma”,
parola gettonatissima qui e che ancora urta un po’ i miei nervi, ma ora i miei
piedi cercano di trovare un’andatura più consona al terreno boliviano, con un
paio di scarpe più adatte spero…in grado di non farmi sprofondare, anzi di
farmi sempre proseguire, anche dovessi avere vesciche ai piedi.
Ma la voglia di avventura e di conoscere la Bolivia freme
più di tutto e quindi in realtà venerdì 20 giugno mattina, dopo essere arrivati
in città, abbiamo disfatto i bagagli e ci siamo rimessi in cammino con zaino in
spalla, alla volta di…Vacas, per partecipare al Capodanno Inca o Aymara (come
dir si voglia) e al festeggiamento del solstizio d’inverno.
Quindi una volta fatto lo zaino venerdì pomeriggio ci siamo
incamminati per raggiungere questa comunità rurale del Valle Alto, a sud-est
della città di Cbba, nella provincia di Arani.
Si arriva facilmente prendendo il trufi per Punata e poi da
lì quello per Vacas. In un paio d’ore abbondanti si arriva, dipende da che
mezzi si prende e da quante fermate fa lungo il cammino.
Partiti con il sole e con il calore che accarezzava la
pelle, arrivati con il buio delle 19 di sera, con formicolii di freddo che
intorpidivano tutto il corpo.
Vacas prende il nome dalla parola quechua Wak’a che vuol
dire tempio, luogo sacro e si trova sui 3400m s.l.m, un bel freschetto!
In questo w-e avventuriero ad accoglierci con calore (che serviva assai) e farci sentire parte di questa terra c’erano hermana
Cherubina (dell’Italia meridionale), hermana Cristiana (del Brasile) e padre Enrique (autoctono), parroco della comunità rurale. Non eravamo soli
Davide ed io, c’era qualcuno pronto ad aspettarci, anche se avvisati all'ultimo secondo.
Siamo andati a dormire presto perché ci aspettava levataccia
alle tre e mezza del mattino, per ritrovarci tutti in piazza alle quattro. In
realtà poi il gruppo che saliva al monte per assistere al levar del sole, si è
riunito con calma verso le cinque e così abbiamo percorso un bel pezzo di
strada in macchina per raggiungere i piedi del monte, dopo aver recuperato preziosissime coperte!!!
Poi inizia la salita,
sotto questo cielo scuro, ancora dormiente, puntellato di stelle; torce che si
muovevano irrequiete, piedi scalpitanti, echi di voci, qualche suono quasi
tribale, fiatoni, slanci, tonfi di passi nella terra morbida e curiosità, tanta
curiosità. Eravamo gli unici gringos bianchi, ma non gli unici novellini
all’evento. C’erano persone che vivevano nei pressi di Vacas e altri che
venivano da fuori, alcuni dalla città.
Arrivati su sul monte si aspetta il
sorgere del sole, e mentre lo si fa ci si prepara ad accogliere le luci
dell’alba con l’accensione di un grande fuoco. Qualcuno si abbandona all’aspra
terra fredda e sassosa per riposarsi un po’, gli uomini della comunità si
mettono a fumare, i bimbi si rannicchiano accanto alle gambe delle donne,
alcuni cani corrono e annusano l’aria. Il fermento sale, si prepara tutto
l’occorrente per perpetuare il rito della k’oa. Si crea un altare di pietra
dove porre le offerte che poi vengono bruciate e bagnate di alcol ai quattro
punti cardinali, imbevendo la terra per ringraziare la Pacha Mama, la Madre
Terra...fino all'ultimo respiro del fuoco.
https://www.youtube.com/watch?v=KIwtQC27km0
https://www.youtube.com/watch?v=KIwtQC27km0
Si iniziano i discorsi in quechua che arricchiscono il rito
e l’attesa del saluto al sole: evidentemente incomprensibile, ma a tratti
intuibile, questo parlare pareva un incitare los compañeros a proseguire
avanti, a credere al “cambio”, al cambiamento, alla politica del presidente
Morales, e un ringraziamento al parroco e al sindaco per l'organizzazione dell'evento. Padre Enrique ci invita ad avvicinarci al grande falò per renderci
partecipi e per lasciarci documentare l’evento. Il fumo dell’altare ardente mi
fa lacrimare gli occhi, seguo confusa tutto quel parlare e partecipare
al rito, accecata letteralmente …poi fra le montagne che si stagliavano
massicce davanti a noi, eccolo!
Ora l’Inti Raymi (fiesta del sol) giunge al suo punto
culmine: fra due cime che troneggiano di fronte a noi il sole comincia la sua
scalata verso il cielo, come se la Madre Terra gravida facesse fuoriuscire tra
le sua fertili gambe il seme del sole, del dio sole.
E non a caso il monte su cui la comunità e noi curiosi,
ammutoliti spettatori siamo saliti per assistere al Capodanno Inca, rappresenta
uno dei due seni di donna con i quali vengono identificate queste due cime che
si trovano nei pressi di questo piccolo pueblo che sia chiama Paredones, ad un
paio d’ore di cammino da Vacas.
Al levar del sole il popolo radunato alza le mani verso la
luce, i palmi rivolti a quella palla calda quasi assetati di energia nuova, per
godere del calore sprigionato che si irradia sulla pelle, nei corpi, quasi a rivitalizzarsi
per un nuovo anno ricco di lavoro e sfide.
E il gesto di felicità e condivisione che seguiva era quello
di abbracciarsi dandosi un paio di pacche sulla spalla e baciandosi su di una
guancia, l’ordine dovrebbe essere spalla bacio spalla tra donne e tra uomo e
donna…tra uomini senza bacio, se ricordo bene.
Però l’abbraccio di gente del campo che, come qui si dice
spesso, pare diffidente e restia a dare confidenza, lassù su quel monte
materno e illuminato dalla potenza irrompente del sole mi è parsa la cosa più
naturale del mondo, come se appartenessi a quella dimensione, a quella
Terra. Per un attimo ho dimenticato di essere straniera.
E intanto girava l’immancabile bicchierino di alcol, non so
bene di che tipo e le foglie di coca da masticare. Impossibile rifiutare!
Chiedetelo al Gringo eh eh
Poi non manca la musica con strumenti autoctoni e caserecci e
motivi in quechua con sonorità peculiari e incomprensibili =)
E infine l’invito a condividere patate e manciate di grano
con tutto il gruppo =)
Ma la nostra avventura non si è fermata qui…una volta
tornati a Vacas e recuperato un po’ di energie con una super colazione a base
di uova e la calorosa accoglienza, nuovamente ritrovata, della simpaticissima
hermana Cristiana, ci siamo ributtati in cammino alla volta della ricerca della
cascata di Toro Warkhu.
Abbiamo camminato sotto il sole che oramai aveva recuperato
il centro del cielo e tutta la sua forza splendente e ardente, ma che
spettacolo di panorama!!! Cammina cammina, l’esistenza di questa cascata pare
una leggenda…infine dopo quasi tre ore di cammino, tornando al monte del Capodanno
e proseguendo tra le montagne, ecco trovata questa lingua d’acqua dirompente
scendere giù da una montagna, rintanata ben bene nell’angolo di quel paradiso di
vegetazione aspra e densa di odori e forme.
Tornati da questo giorno incredibilmente ricco e pellegrino
ci aspettava una cena intima con hermana Cherubina, che ci ha coccolati come
figli, una piatto caldo contro il freddo stuzzicante della sera e due
chiacchiere con padre Enrique.
E infine la domenica
mattina la messa celebrata metà in castigliano e metà in quechua alle 6:30: una
celebrazione dal sapore andino, campesino, un po’ assonnati e infreddoliti, ma
rispettosi e curiosi di assistere ad alcuni gesti particolari.
Alla fine della messa, riunitisi attorno al corpo di Cristo,
un momento di condivisione tra l’hermana, il parroco e i parrocchiani presenti
per le attività recenti svolte nella comunità.
https://www.youtube.com/watch?v=GuB08nOPiSk&feature=youtu.be
(attraverso questo link potrete ascoltare un canto in quechua durante la celebrazione della messa campesina)
https://www.youtube.com/watch?v=GuB08nOPiSk&feature=youtu.be
(attraverso questo link potrete ascoltare un canto in quechua durante la celebrazione della messa campesina)
Le persone portano in chiesa l'acqua affinché venga benedetta |
Lasciamo Vacas.... e torno a casa con la testa frastornata, con
il desiderio di poter afferrare tutte le sfumature di questa incredibile terra
boliviana...
Che botta di vita!
[per le foto si ringraziano anche gli occhi artistici del Gringo, sempre sul pezzo!
I video consigliati dai link sono di mia grezza produzione ;)]
[per le foto si ringraziano anche gli occhi artistici del Gringo, sempre sul pezzo!
I video consigliati dai link sono di mia grezza produzione ;)]
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