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mercoledì 28 gennaio 2015

Ricordi di una sera di metà inverno

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Fare i Cantieri non vuol dire solo tornare a casa entusiasti e cento volte più ricchi grazie alle persone che si sono incontrate e alle esperienze che si sono vissute. Fare i Cantieri significa che, passati mesi dal tuo ritorno a casa, quando tutto ormai segue il flusso della normalità e l’entusiasmo si è un po’ smorzato, basta una situazione qualunque per farti leggere la realtà con uno sguardo diverso e riportare davanti agli occhi scene lontane di mesi. Ti accorgi che la vera forza di esperienze così non è la bufera di sentimenti, emozioni, idee, reazioni che provocano in te, ma quel lavoro lento e nascosto che attivano dentro di te. E dopo mesi ti guardi dentro e ti accorgi di essere cambiata al passo del “mormorio di un vento leggero”...

Lo scenario è quello di un qualunque lunedì sera di metà gennaio, ore 18, quando il lavoro finisce e hai voglia di raggomitolarti al calduccio sul primo treno che ti porterà il più velocemente possibile  a casa. Ma il pendolare medio sa che l’imprevisto sulle ferrovie è sempre in agguato, e così succede che, arrivata in stazione, ti accorgi che un guasto ha bloccato totalmente tutti i treni della tua linea: non tornerai a casa almeno per le prossime 3 o 4 ore.

Ti ritrovi così a dover attendere un treno che non sai se e quando passerà, senza la possibilità di fare progetti per la tua serata e di poter comunicare a casa quando e come arriverai. Nulla di grave, viene da pensare, a parte il disagio del freddo sulle banchine, la stanchezza della giornata sulle spalle, la calca delle persone arrabbiate e nervose.


All’improvviso, dal nulla, un pensiero ti passa per la testa come una stella cometa, come un lampo che illumina la vera realtà delle cose: Rayfoun. Il Libano, l’attesa.

Mentre noi fortunati brianzoli ci lamentiamo per un guasto che ci blocca per qualche ora, allo Shelter di Rayfoun circa ottanta donne non hanno neanche più la forza e i diritti per ribellarsi a chi si è preso la loro libertà. Mentre noi fremiamo per percorrere quei 30 km che ci riporteranno a casa, a Rayfoun si disperano nel pensare quante migliaia di chilometri è lontana la loro casa e quanto difficile sarà tornarvi. Mentre noi andiamo urlando che “abbiamo lavorato tutto il giorno”, a Rayfoun ci sono donne che scompaiono agli occhi del mondo e di loro stesse perché non possono lavorare né fare null’altro, o perché di lavoro stanno morendo o moriranno. Noi ci sentiamo lontani da casa perché fermi in attesa sui binari di una stazione da cui passiamo tutti i giorni, e nel frattempo allo Shelter il mondo intero è confinato nei pochi metri quadri di solidarietà di un paese straniero e ostile. Mentre noi ammazziamo l’attesa tenendo lo sguardo fisso sugli schermi dei nostri cellulari e mantenendo contatti costanti ma virtuali col resto del mondo, le donne di Rayfoun hanno lo sguardo perso nel vuoto dei loro ricordi così cari ma così dolorosi, così lontani ma così vivi, come una ferita ancora aperta: ma quello è l’unico modo di portare lì con loro la propria famiglia e la propria casa, e di mantenere un contatto con esse.


E’ incredibile come il disagio ferroviario di un lunedì sera di gennaio possa trasformarsi, da motivo di rabbia che era, a una nuova perla sulla collana iniziata mesi fa in Libano. Una collana che, anche quando pensi di poter chiudere, ti accorgi che non è finita.
E’ meraviglioso che pochi giorni in Libano sappiano ridimensionare così tanto le attese del nostro quotidiano tran tran occidentale.


Chi pensa che l’attesa della felicità sia meglio della felicità stessa, non è mai stato allo Shelter di Rayfoun.
 
Elena

lunedì 8 settembre 2014

ALFABETO LIBANESE

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Tranquilli, non fuggite, non è un corso di arabo in 10 minuti! E’ solo il tentativo di scorrere con la mente, con lo sguardo e con il cuore i ricordi di un agosto libanese...


Arak: il buonisssssssimo liquore libanese, da bersi rigorosamente annacquato e durante i pasti...


Una chiesa e una moschea sulla stessa piazza, in mezzo alla città di Beirut
Beirut: quando sei a Beirut non ti accorgi che la guerra è lì a due passi; se non fosse per i militari che girano per la città, tutto farebbe pensare a una città normale: il lungomare e la gente in spiaggia, gli hotel di lusso e gli yacht fermi nel porto, i locali e la musica nelle strade affollate di giovani alla sera. Se indossi gli occhiali della curiosità, però, puoi vedere che Beirut è una città araba proprio come se ne vedono nei film: traffico infernale e codice stradale inesistente, “pullman” che girano con musica araba a un volume spropositato, la moschea che svetta sulle case circostanti, il canto del muezzin e ovunque -ma proprio ovunque- l’onnipresente narghilè.
Ma quando vai in Libano per i Cantieri, i tuoi occhi sono pronti a vedere oltre queste cose: ti accorgi così che in spiaggia ci sono quasi solo uomini e le poche donne entrano in acqua vestite e con il velo; poco distante dalla moschea ci sono delle chiese cristiane e la distinzione in quartieri coincide con la distinzione politica e religiosa; andando verso la periferia, proprio dietro all’Hotel Royal, famiglie palestinesi e siriane convivono faticosamente in un campo profughi che gran parte della città ignora. Chissà quanti scorci di Beirut ci siamo persi in queste tre settimane...

Cedro: il Paese dei cedri ospita ormai pochissimi esemplari di questa pianta che, come abbiamo scoperto increduli, è una conifera e non fa i cedri! Nessuno ci ha saputo spiegare perché l’abbiano chiamato cedro...

Donna: quante donne abbiamo incontrato in questo viaggio...Libanesi, Etiopi, Keniote, Bengalesi, Togolesi, Siriane, ...andare in Libano è stato un po’ come incontrare quasi tutto il mondo. Quanta forza, quanta energia, quanta voglia di vivere! Tante di loro vivono in attesa di rivedere la loro terra, la loro casa, la loro famiglia, i loro figli; tante hanno i figli con sé e soffrono perché non possono dare loro un futuro. Ma da loro non si può che imparare una cosa: è l’amore che ci fa andare avanti e sperare in un futuro, nonostante tutto.

Educare: forse dalle nostre parti siamo un po’ assuefatti a questa parola, ma non può essere così in un campo profughi: cosa significa educare in mezzo alla polvere e alla povertà? Che idea possono avere della vita e delle loro potenzialità dei bambini che da quando sono piccoli non vedono altro che abbandono, violenza e nessun futuro? Come convincere un bambino a cui sono state tagliate le radici che la sua identità è preziosa e unica nel mondo?

Falafel: le polpette di ceci tipiche del medio oriente, buonissime e da gustare avvolte nel pane arabo.

Guerra: così vicina, ma così distante, in spazio e tempo. La strada che a Beirut separava le fazioni in lotta durante la guerra civile ormai è una strada come tutte le altre; eppure in alcuni edifici si vedono ancora i segni dei proiettili...

Hummus: continuiamo il tour gastronomico del Libano con questa salsa di ceci, sesamo e aglio (l’ingrediente che trovi in tutti i piatti!). Buonissima!

Insieme: insieme siamo partiti, insieme abbiamo camminato, lavorato, giocato, riso e condiviso, insieme siamo tornati. Insieme tra noi cantieristi, insieme a chi abbiamo incontrato in Libano, insieme a chi è rimasto a casa e ritroviamo al nostro ritorno.

Jamila: che in arabo vuol dire “bella”. E’ stato bello accorgersi che anche il velo, quando è scelto e non imposto, quando valorizza e non maschera, è uno strumento di bellezza. Quante donne stupende con la testa velata!


Knafeh: se volete ingrassare velocemente e morire di diabete, questo è il dolce che fa per voi: formaggio dolce e sciroppo di zucchero. Delizioso, ma va preso a piccole dosi!


La canzone del sole: immaginate un’ottantina di donne (o sarebbe meglio dire ragazze?) africane e asiatiche, arrivate in Libano per lavorare e costrette poi a fuggire perché sfruttate o violentate; mettetele in un centro Caritas dove hanno vitto e alloggio gratuito e qualcuno che cerca di recuperare i loro documenti per il rimpatrio. Immaginate la difficoltà della convivenza forzata dentro la struttura: fuori sei illegale e non ci puoi andare. Immagina l’attesa, senza poter fare nulla, con il dolore per le sofferenze passate e la nostalgia di casa. Immaginate 13 italiani che un giorno si presentano da loro e cercano in tutti i modi di far loro compagnia, di distrarle un po’, di farle sentire delle persone vive. Immaginate una sera d’agosto non troppo calda, il sole ormai tramontato, la stanchezza della giornata che abbassa le difese, una chitarra che inizia a suonare, tutti insieme cantano “La canzone del sole”. Per un momento il dolore è lontano e lascia posto alla commozione e all’affetto che pian piano sta scalfendo il muro della diffidenza. A Rayfoun questo è possibile.

Musica: musica araba, musica europea, musica etiope, musica ovunque, ma sempre a volume altissimo!!!

Nostalgia: è il dolore per qualcosa che ti manca, ma anche il desiderio che ti spinge a resistere per ottenerlo di nuovo. Grazie, amiche di Rayfoun, che ci avete insegnato l’amore per il proprio Paese e l’importanza di avere una casa.

Ospitalità: aprireste la vostra casa a 13 italiani semisconosciuti? In Libano è successo, e più di una volta! Tutti i collaboratori del centro Caritas hanno voluto che ci sentissimo accolti. Una grande lezione di ospitalità!

Profugo: chi non ha più casa, chi non ha più un Paese, chi non è più riconosciuto da nessuno. Chi ha la forza ogni giorno di svegliarsi e vivere, nonostante tutto.

Questionario: da consegnare con puntualità e rigorosamente a Madame Giselle!

Rotolino: delizioso e succulento, tutti noi ne sentiamo la mancanza qui in Italia!

Sahten: l’augurio che va sempre bene: buon appetito, salute, cin cin, ...la parola che riassume lo stare insieme con gioia!

Tabbouleh: chi ha letto i vecchi post sa che non si può andare in Libano senza assaggiarlo...l’emozione di ingoiare cucchiate di prezzemolo non ha prezzo!

Unione: tornare a casa e leggere le notizie che arrivano dall’Iraq e dalla Siria fa ancora più effetto di prima. E dopo gli incontri che abbiamo fatto, ci fa sentire uniti alle vittime della guerra. Non risolverà nessun problema, ma forse aiuterà a renderci costruttori di un mondo più umano.

Valle della Bekaa: è la valle al confine con la Siria dove si trovano i numerosi campi profughi siriani. Eravamo tutti convinti e contenti di andarci, quando ci hanno annunciato che per motivi di sicurezza avremmo dovuto cambiare programma. In Libano da un giorno all’altro può cambiare tutto e ciò che era sicuro ieri, oggi non lo è più...

Wata al Jawz: per gli interessati, esiste un intero post sull’argomento!

X: l’incognita del futuro: cosa succederà domani? In Libano abbiamo incontrato tante persone per cui questa domanda non ha risposta, oppure una risposta ce l’ha ed è sempre la stessa: attesa a Rayfoun, lavoro sotto il sole, vita in un campo profughi. Abbiamo visto cosa vuol dire vivere senza poter progettare e senza prospettive ed abbiamo imparato che questo non è un motivo sufficiente per abbandonarsi agli eventi e non sorridere più!

Yallah: quante volte abbiamo sentito e usato in Libano questa parola...forza, coraggio, sveglia: non c’è tempo per stare fermi, bisogna andare e muoversi, scoprire, incontrare!

Zatar: per concludere, la tipica miscela di spezie usata come ripieno della “focaccia” locale.


Torni dal Libano e ti accorgi che tutto questo ti manca, ma è rimasto nel tuo cuore. E il bello ora è essere qui e poterlo raccontare!!!

                                                                                                                                           Elena