lunedì 8 settembre 2014

ALFABETO LIBANESE

Tranquilli, non fuggite, non è un corso di arabo in 10 minuti! E’ solo il tentativo di scorrere con la mente, con lo sguardo e con il cuore i ricordi di un agosto libanese...


Arak: il buonisssssssimo liquore libanese, da bersi rigorosamente annacquato e durante i pasti...


Una chiesa e una moschea sulla stessa piazza, in mezzo alla città di Beirut
Beirut: quando sei a Beirut non ti accorgi che la guerra è lì a due passi; se non fosse per i militari che girano per la città, tutto farebbe pensare a una città normale: il lungomare e la gente in spiaggia, gli hotel di lusso e gli yacht fermi nel porto, i locali e la musica nelle strade affollate di giovani alla sera. Se indossi gli occhiali della curiosità, però, puoi vedere che Beirut è una città araba proprio come se ne vedono nei film: traffico infernale e codice stradale inesistente, “pullman” che girano con musica araba a un volume spropositato, la moschea che svetta sulle case circostanti, il canto del muezzin e ovunque -ma proprio ovunque- l’onnipresente narghilè.
Ma quando vai in Libano per i Cantieri, i tuoi occhi sono pronti a vedere oltre queste cose: ti accorgi così che in spiaggia ci sono quasi solo uomini e le poche donne entrano in acqua vestite e con il velo; poco distante dalla moschea ci sono delle chiese cristiane e la distinzione in quartieri coincide con la distinzione politica e religiosa; andando verso la periferia, proprio dietro all’Hotel Royal, famiglie palestinesi e siriane convivono faticosamente in un campo profughi che gran parte della città ignora. Chissà quanti scorci di Beirut ci siamo persi in queste tre settimane...

Cedro: il Paese dei cedri ospita ormai pochissimi esemplari di questa pianta che, come abbiamo scoperto increduli, è una conifera e non fa i cedri! Nessuno ci ha saputo spiegare perché l’abbiano chiamato cedro...

Donna: quante donne abbiamo incontrato in questo viaggio...Libanesi, Etiopi, Keniote, Bengalesi, Togolesi, Siriane, ...andare in Libano è stato un po’ come incontrare quasi tutto il mondo. Quanta forza, quanta energia, quanta voglia di vivere! Tante di loro vivono in attesa di rivedere la loro terra, la loro casa, la loro famiglia, i loro figli; tante hanno i figli con sé e soffrono perché non possono dare loro un futuro. Ma da loro non si può che imparare una cosa: è l’amore che ci fa andare avanti e sperare in un futuro, nonostante tutto.

Educare: forse dalle nostre parti siamo un po’ assuefatti a questa parola, ma non può essere così in un campo profughi: cosa significa educare in mezzo alla polvere e alla povertà? Che idea possono avere della vita e delle loro potenzialità dei bambini che da quando sono piccoli non vedono altro che abbandono, violenza e nessun futuro? Come convincere un bambino a cui sono state tagliate le radici che la sua identità è preziosa e unica nel mondo?

Falafel: le polpette di ceci tipiche del medio oriente, buonissime e da gustare avvolte nel pane arabo.

Guerra: così vicina, ma così distante, in spazio e tempo. La strada che a Beirut separava le fazioni in lotta durante la guerra civile ormai è una strada come tutte le altre; eppure in alcuni edifici si vedono ancora i segni dei proiettili...

Hummus: continuiamo il tour gastronomico del Libano con questa salsa di ceci, sesamo e aglio (l’ingrediente che trovi in tutti i piatti!). Buonissima!

Insieme: insieme siamo partiti, insieme abbiamo camminato, lavorato, giocato, riso e condiviso, insieme siamo tornati. Insieme tra noi cantieristi, insieme a chi abbiamo incontrato in Libano, insieme a chi è rimasto a casa e ritroviamo al nostro ritorno.

Jamila: che in arabo vuol dire “bella”. E’ stato bello accorgersi che anche il velo, quando è scelto e non imposto, quando valorizza e non maschera, è uno strumento di bellezza. Quante donne stupende con la testa velata!


Knafeh: se volete ingrassare velocemente e morire di diabete, questo è il dolce che fa per voi: formaggio dolce e sciroppo di zucchero. Delizioso, ma va preso a piccole dosi!


La canzone del sole: immaginate un’ottantina di donne (o sarebbe meglio dire ragazze?) africane e asiatiche, arrivate in Libano per lavorare e costrette poi a fuggire perché sfruttate o violentate; mettetele in un centro Caritas dove hanno vitto e alloggio gratuito e qualcuno che cerca di recuperare i loro documenti per il rimpatrio. Immaginate la difficoltà della convivenza forzata dentro la struttura: fuori sei illegale e non ci puoi andare. Immagina l’attesa, senza poter fare nulla, con il dolore per le sofferenze passate e la nostalgia di casa. Immaginate 13 italiani che un giorno si presentano da loro e cercano in tutti i modi di far loro compagnia, di distrarle un po’, di farle sentire delle persone vive. Immaginate una sera d’agosto non troppo calda, il sole ormai tramontato, la stanchezza della giornata che abbassa le difese, una chitarra che inizia a suonare, tutti insieme cantano “La canzone del sole”. Per un momento il dolore è lontano e lascia posto alla commozione e all’affetto che pian piano sta scalfendo il muro della diffidenza. A Rayfoun questo è possibile.

Musica: musica araba, musica europea, musica etiope, musica ovunque, ma sempre a volume altissimo!!!

Nostalgia: è il dolore per qualcosa che ti manca, ma anche il desiderio che ti spinge a resistere per ottenerlo di nuovo. Grazie, amiche di Rayfoun, che ci avete insegnato l’amore per il proprio Paese e l’importanza di avere una casa.

Ospitalità: aprireste la vostra casa a 13 italiani semisconosciuti? In Libano è successo, e più di una volta! Tutti i collaboratori del centro Caritas hanno voluto che ci sentissimo accolti. Una grande lezione di ospitalità!

Profugo: chi non ha più casa, chi non ha più un Paese, chi non è più riconosciuto da nessuno. Chi ha la forza ogni giorno di svegliarsi e vivere, nonostante tutto.

Questionario: da consegnare con puntualità e rigorosamente a Madame Giselle!

Rotolino: delizioso e succulento, tutti noi ne sentiamo la mancanza qui in Italia!

Sahten: l’augurio che va sempre bene: buon appetito, salute, cin cin, ...la parola che riassume lo stare insieme con gioia!

Tabbouleh: chi ha letto i vecchi post sa che non si può andare in Libano senza assaggiarlo...l’emozione di ingoiare cucchiate di prezzemolo non ha prezzo!

Unione: tornare a casa e leggere le notizie che arrivano dall’Iraq e dalla Siria fa ancora più effetto di prima. E dopo gli incontri che abbiamo fatto, ci fa sentire uniti alle vittime della guerra. Non risolverà nessun problema, ma forse aiuterà a renderci costruttori di un mondo più umano.

Valle della Bekaa: è la valle al confine con la Siria dove si trovano i numerosi campi profughi siriani. Eravamo tutti convinti e contenti di andarci, quando ci hanno annunciato che per motivi di sicurezza avremmo dovuto cambiare programma. In Libano da un giorno all’altro può cambiare tutto e ciò che era sicuro ieri, oggi non lo è più...

Wata al Jawz: per gli interessati, esiste un intero post sull’argomento!

X: l’incognita del futuro: cosa succederà domani? In Libano abbiamo incontrato tante persone per cui questa domanda non ha risposta, oppure una risposta ce l’ha ed è sempre la stessa: attesa a Rayfoun, lavoro sotto il sole, vita in un campo profughi. Abbiamo visto cosa vuol dire vivere senza poter progettare e senza prospettive ed abbiamo imparato che questo non è un motivo sufficiente per abbandonarsi agli eventi e non sorridere più!

Yallah: quante volte abbiamo sentito e usato in Libano questa parola...forza, coraggio, sveglia: non c’è tempo per stare fermi, bisogna andare e muoversi, scoprire, incontrare!

Zatar: per concludere, la tipica miscela di spezie usata come ripieno della “focaccia” locale.


Torni dal Libano e ti accorgi che tutto questo ti manca, ma è rimasto nel tuo cuore. E il bello ora è essere qui e poterlo raccontare!!!

                                                                                                                                           Elena









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