martedì 2 settembre 2014

Etiopia: Quello che non ti aspetti...



Quando per la prima volta ho sentito parlare dell’Etiopia, ho subito pensato ad uno dei paesi più benestanti dell’Africa, uno dei pochi di cui conoscevo il nome della capitale, l’impero più antico dell’Africa subsahariana e uno di quelli che si studiano a scuola.
Ma quando metti piede per la prima volta ad Addis Abeba, ti rendi conto di aver sbagliato qualcosa nei tuoi piani; le strade asfaltate sono poche, le impalcature di legno, il fango e la polvere ovunque, di tutte le auto viste se ne salvano forse cinque e la baraccopoli, perché di questo si tratta, si estende a perdita d’occhio.
















Dopo i tre giorni passati a cercare il quartiere benestante, la città antica e magari un monumento particolarmente importante (non c’è nulla di tutto ciò) ci siamo diretti verso le campagne di Wolisso, e di nuovo la tua idea di Africa viene smontata: in Etiopia non c’è la savana, il deserto o animali da safari, sei circondato dal verde, dell’acqua, dalle colline.


Decidiamo di fare il primo giro per il paese, sottovalutando tutto quello che ci hanno detto riguardo ai bambini e al fatto che tu sei l’attrazione del momento; ed eccoti con bambini che si attaccano ad ogni centimetro dei tuoi vestiti, ti parlano in amarico e tu rispondi spontaneamente in italiano (basta farlo con un sorriso) e le persone per strada ti salutano.

Ti aspetti la povertà, te la sei immaginata un milione di volte, l’hai vista in televisione, ma quando ci sei dentro è diverso: tu in scarponcini, pantaloni, maglietta e k-way, mentre accanto a te i bambini ti seguono scalzi e con qualcosa addosso (un accappatoio ad esempio).

Hai sentito molte volte che anche se non hanno niente sono felici, anzi forse sono più felici di noi; ma quando le uniche richieste che senti sono “money, money, money…” oppure quando un pennarello, una fettuccia per giocare a scalpo (con scarsi risultati) o una maschera di cartone diventano un bene di valore inestimabile capisci che forse non è proprio come ti era stato detto.
Il mercato, una distesa di fango e bancarelle mal ridotte, vende i beni di prima necessità: patate, carote e cipolle, se vuoi pomodori, melanzane, zucchine o altra verdura devi andare ad Addis; perché durante la stagione delle piogge c’è acqua in abbondanza, ma i temporali rischiano di distruggerti i raccolti, per questo conviene coltivare solo ciò che cresce sotto terra.



Non te l’aspetti di suscitare tanto entusiasmo nel giocare con i bambini in ospedale, tanto da avere un pubblico e continue richieste di palloncini da parte di chiunque; ma non ti aspetti neppure che un medico passi di lì cercando urgentemente un possibile donatore di sangue, e nemmeno che tutti i più piccoli sono ricoverati quasi esclusivamente per malnutrizione.


Un bel giorno poi decidi di andare a vedere il rito del caffè, ed ecco che ti ritrovi a fare una partita a dama in cui le pedine sono dei tappi di bottiglia, possono mangiare sia avanti che indietro e il damone è l'oggetto più devastante che questo gioco abbia mai conosciuto...può fare qualsiasi cosa (a dire il vero non è che abbia capito molto come funzioni, inutile dire che il risultato è stato etiopia 1-italia 0).



Non ti aspetti, una volta tornato, di continuare a pensare a tutti quelli che a differenza di te ci vivono lì e che non hanno la possibilità di pensare a chissà quali progetti futuri; perché una volta vista l’Africa capisci che tra il primo e il terzo mondo c’è un abisso disarmante, gli aratri vengono ancora trascinati dai buoi, la casa è equamente divisa tra lo spazio per la famiglia e quello per la mucca, la giornata inizia con il sorgere del sole e finisce al tramonto, i bambini pascolano le pecore, lavorano e giocano con in spalla i fratellini…però, in effetti, sorridono sempre.


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