Quando per la prima volta ho sentito
parlare dell’Etiopia, ho subito pensato ad uno dei paesi più
benestanti dell’Africa, uno dei pochi di cui conoscevo il nome
della capitale, l’impero più antico dell’Africa subsahariana e uno di quelli che si studiano a scuola.
Ma quando metti piede per la prima
volta ad Addis Abeba, ti rendi conto di aver sbagliato qualcosa nei
tuoi piani; le strade asfaltate sono poche, le impalcature di legno,
il fango e la polvere ovunque, di tutte le auto viste se ne salvano
forse cinque e la baraccopoli, perché di questo si tratta, si
estende a perdita d’occhio.
Dopo i tre giorni passati a cercare il
quartiere benestante, la città antica e magari un monumento
particolarmente importante (non c’è nulla di tutto ciò)
ci siamo diretti verso le campagne di Wolisso, e di nuovo la tua idea
di Africa viene smontata: in Etiopia non c’è la savana, il
deserto o animali da safari, sei circondato dal verde, dell’acqua,
dalle colline.
Ti aspetti la povertà, te la sei
immaginata un milione di volte, l’hai vista in televisione, ma
quando ci sei dentro è diverso: tu in scarponcini, pantaloni, maglietta e k-way, mentre accanto a te i bambini ti seguono scalzi e con
qualcosa addosso (un accappatoio ad esempio).
Hai sentito molte volte che anche se
non hanno niente sono felici, anzi forse sono più felici di
noi; ma quando le uniche richieste che senti sono “money, money,
money…” oppure quando un pennarello, una fettuccia per giocare a
scalpo (con scarsi risultati) o una maschera di cartone diventano un
bene di valore inestimabile capisci che forse non è proprio
come ti era stato detto.
Il mercato, una distesa di fango e
bancarelle mal ridotte, vende i beni di prima necessità:
patate, carote e cipolle, se vuoi pomodori, melanzane, zucchine o altra verdura
devi andare ad Addis; perché durante la stagione delle piogge
c’è acqua in abbondanza, ma i temporali rischiano di
distruggerti i raccolti, per questo conviene coltivare solo ciò
che cresce sotto terra.
Non te l’aspetti di suscitare tanto
entusiasmo nel giocare con i bambini in ospedale, tanto da avere un
pubblico e continue richieste di palloncini da parte di chiunque; ma
non ti aspetti neppure che un medico passi di lì cercando
urgentemente un possibile donatore di sangue, e nemmeno che tutti i più piccoli sono ricoverati quasi esclusivamente per malnutrizione.
Un bel giorno poi decidi di andare a vedere il rito del caffè, ed ecco che ti ritrovi a fare una partita a dama in cui le pedine sono dei tappi di bottiglia, possono mangiare sia avanti che indietro e il damone è l'oggetto più devastante che questo gioco abbia mai conosciuto...può fare qualsiasi cosa (a dire il vero non è che abbia capito molto come funzioni, inutile dire che il risultato è stato etiopia 1-italia 0).
Non ti aspetti, una volta tornato, di
continuare a pensare a tutti quelli che a differenza di te ci vivono
lì e che non hanno la possibilità di pensare a chissà
quali progetti futuri; perché una volta vista l’Africa
capisci che tra il primo e il terzo mondo c’è un abisso disarmante, gli aratri vengono ancora trascinati dai buoi, la casa
è equamente divisa tra lo spazio per la famiglia e quello per
la mucca, la giornata inizia con il sorgere del sole e finisce al
tramonto, i bambini pascolano le pecore, lavorano e giocano con in
spalla i fratellini…però, in effetti, sorridono sempre.
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