Se vi
capita di passare da Cochabamba, in Bolivia, e vi ritrovate su uno dei
“confortevoli ed eleganti” trufi che da Punata vi portano a Vacas, dopo un
ponte e dei lavori stradali , quando già si vede la laguna più grande, guardate
a destra: c’è una casa abbastanza grande, almeno due stanze, con un piccolo
cortile dove di sicuro ci saranno stese delle gonne da cholita e alcune galline
saranno libere di pascolare.
Ecco, siete
arrivati a casa di Dieter. Non ho una foto,
forse è meglio, sono costretta a descrivervi i suoi occhi leggermente a
mandorla, il sorriso tirato, i capelli ovviamente nerissimi. Notevolmente più alto rispetto alla media dei bambini
presenti nella scuola infantile di hermana Cherubina, forse perché non ha più
l’età per andare all’asilo, potreste trovarlo davanti a casa che gioca con i
suoi palitos o più probabilmente non ci
sarà, perché è già passato il pulmino per portarlo a scuola. La casa di Dieter
è la più lontana dall'asilo delle hermane, ogni giorno il trufi allunga la
strada per arrivare fino in fondo alla laguna perché, come diremmo in Italia,
“lui è un bambino speciale”.
Ho
conosciuto Dieter la mia prima mattina
di servizio a Vacas, rimaneva in
disparte ma bastava prenderlo per mano, fare le cose con lui e già si era suoi
complici. Io ho imparato il suo nome perché era scritto sopra l’asciugamano che
usava e lui mi riconosceva dalla sciarpa, niente di più. Lui si sforzava di
pronunciare qualche parola e io cercavo di capire lo spagnolo; ma non
comunicavamo se non con i gesti, fondamentale guardarsi negli occhi. In quegli
occhi ho più volte visto la paura e il terrore, ma anche la gioia e la
felicità. Non so dire da che cosa fosse spaventato o per che cosa fosse così
felice; io ero li per "compartire", mi sforzavo ma non capivo.
Hermana Cristiana cercò di spiegarmi che lui è
diverso dagli altri, ha nove anni ma è ancora all’asilo," fa fatica"
diceva. Nessuna spiegazione sulla
malattia, le cause, la cura, la diagnosi; in Bolivia sei un disabile e basta.
Dieter è fortunato: tutti i giorni va a
scuola, mangia due volte al giorno, a casa viene lavato (almeno per partecipare
al desfile), ha un suo zainetto e un cappello di lana. Ma più di tutto è
fortunato poichè il suo handicap è mentale e non fisico, non è ancora stato abbandonato a se stesso; per
quanto la società si vergogni di lui per ora può ancora essere utile a lavorare
la terra o curare gli animali. La triste verità del campo è che se non sei "braccia da
lavoro" allora perchè la tua vita deve avere importanza?
Quindi
salite non su uno, ma ben quattro aerei per arrivare a Cochabamba poi prendete
un trufi fino a Punata,e da li uno per Vacas, arrivate fino a casa sua e andate
a conoscerlo. Fatelo perchè, per quanto la cultura del campo faccia fatica a
riconoscerlo addirittura come persona, io vi ho trovato un amico meraviglioso e
incredibilemente vicino.
Francesca
Che bello franci!!
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