“Mamma
quest'estate ad agosto vado a collaborare nel Centro Caritas a Djibouti”.
“Te
non ci pensi nemmeno! Volontariato lo fai in Italia, non c'è bisogno di andare laggiù.”
Mi
chiamo Niccolò Chiesa, le dita di una mano contano gli esami che mi mancano per
laurearmi in giurisprudenza e la mia estate ha avuto un
incipit 'conflittuale'.
Io
sono orgoglioso d'essermi misurato con questa conflittualità materna
(la quale sembra ignorare che io sul suolo nazionale faccia volontariato
sull’ambulanza). Se le avessi permesso di vincere, non avrei lasciato
mezzo cuore in Boulevard de la Republique. Non mi troverei ora qui a scrivere.
Lo sapevo eccome che, pur essendo di origine marinara (il mio habitat è il Tirreno), avrei avuto dei problemi con la torrida realtà gibutina. Non
sapevo però, che ne sarei rimasto stregato. Il mio corpo, la mia pelle, le
mie canne nasali sentono la necessità di inalare aria bollente: quei tanto temuti 50 gradi.
E' sgomento. Il caldo non lascia tregua: investe come una testudo di legionari.
Uniforme, compatto, senza pietà.
Il pensiero è: "Chi me l’ha fatto fare?”
Ci si mette un battito di ciglia a capire che non è
stata una decisione avventata. Un battito di ciglia è anche il tempo che ci si mette dall’aeroporto fino a casa, se alla guida c'è un neozelandese.
Casa per me è una sola: non quella dove sono
cresciuto, a Milano (città che detesto), ma quella di Livorno. Così diverse Livorno e Djibouti, che di somigliante hanno solo il
fatto d’essere due porti, eppure io a Djibouti mi sono sentito a casa.
Questo sentimento è da attribuire alla gentile ospitalità
offertaci da Monsignor Bertin. Non ci si scorda il suo sorriso benevolo al nostro all’arrivo, e le divertenti caustiche battute.
Sorriso:
la costante di tutto il nostro soggiorno.
Il sorriso è un elemento che conserverò sempre, tatuato nella memoria. Semplice
movimento muscolare, leggera contrazione della mimica facciale, breve ma
intensa, sempre diversa ma “uguale”. Vibrazione energizzante, che affonda
nello spirito transitando per i bulbi oculari.
Me la
porterò dietro per sempre questa lieve contrazione, perché, in qualche modo, mi è stata offerta da tutti, ovunque.
La
notte invece seguito a sognare un altro genere di sorriso. Un sorriso
disteso e pacato che in meno di un battito di ciglia si trasforma in un
ghigno truce, che del precedente movimento pacifico delle labbra poco ha. Carnivora scarica elettrica, che indurisce in un secondo quelle che fino ad un
secondo prima, parevano due labbra morbide come le due metà di un avocado
appena sbucciato.
Questo
è il labile confine tra le espressioni che solcano il viso di un bimbo di
strada. Un sorriso lascia il posto ad un ghigno. Il ghigno scompare nuovamente
per un sorriso.
La
reversibilità esiste e va coltivata. Ho iniziato con lo scambiare più sorrisi possibili, linguacce che
s'evolvono in ‘roventi’ abbracci (perché nel frattempo i 50 gradi seguitano ad
essere immancabili compagni di soggiorno), finendo col sudare insieme.
Ce saranno infiniti modi, queste sono stati i miei. Basta veramente poco: la forza che risiede in un battito di ciglia.
Non
sono francofono, non parlo amarik e nemmeno somalo, ma ho imparato la lingua
dei bambini di strada. Loro me l'hanno insegnata. Coi vestiti a brandelli, i
piedi sporchi e callosi, il costato a fior di pelle, ma con due file di denti
bianchi: sempre belle in vista. Sempre sorridendo. Ho imparato la lingua dei
bimbi di strada e questo mi ha reso una persona migliore. O per lo meno, mi
piace crederlo. A dirlo, saranno le mie azioni future e le parole degli
altri.
Sento la necessità di
inalare quell'aria bollente, stringere tra le braccia quelle piccole 'tempeste'
ossute, sentirmele alle calcagna mentre cerco di depistarle sulla spiaggia, con
un cambio di direzione dopo l'altro, stringendo tra le mani la palla da rugby.
Sento
il bisogno di urlare loro addosso, nel faticoso tentativo di fare rispettare la
“linka” (fila) e di prendermi una sonora sfuriata da Marieke per essermi
fatto spalmare il viso di tempera verde e blu da Asma, sprecando così i preziosi colori.
Non
sento per nulla, invece, il bisogno di vedere la Gendarmerie ed avere la
consapevolezza di ciò andrà a fare il camion blu, pieno di poliziotti animati e
vivaci, nelle vie del centrocittà.
Djibouti
non è una favola che, paternamente, Nonno mi raccontò una sera di dicembre
davanti al camino. E questo purtroppo fa parte del pacchetto. Prendere o
lasciare.
Io,
comunque sia, ho deciso di prendere.
Quei sorrisi che seguito a sognare la notte sono per me sacri,
ed io intendo rivederli al più presto. E’ mia intenzione cercare di far in modo
che non cedano il posto ad un ghigno truce, o se proprio devono farlo, che lo
facciano per il minor tempo possibile.
Salama
Nicco
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