domenica 7 settembre 2014

Djibouti: 50 gradi, PRENDERE o LASCIARE.


“Mamma quest'estate ad agosto vado a collaborare nel Centro Caritas a Djibouti”.
“Te non ci pensi nemmeno! Volontariato lo fai in Italia, non c'è bisogno di andare laggiù.”

Mi chiamo Niccolò Chiesa, le dita di una mano contano gli esami che mi mancano per laurearmi in giurisprudenza e la mia estate ha avuto un incipit 'conflittuale'.
Io sono orgoglioso d'essermi misurato con questa conflittualità materna (la quale sembra ignorare che io sul suolo nazionale faccia volontariato sull’ambulanza). Se le avessi permesso di vincere, non avrei lasciato mezzo cuore in Boulevard de la Republique. Non mi troverei ora qui a scrivere.

Lo sapevo eccome che, pur essendo di origine marinara (il mio habitat è il Tirreno), avrei avuto dei problemi con la torrida realtà gibutina. Non sapevo però, che ne sarei rimasto stregato. Il mio corpo, la mia pelle, le mie canne nasali sentono la necessità di inalare aria bollente: quei tanto temuti 50 gradi.
E' sgomento. Il caldo non lascia tregua: investe come una testudo di legionari. Uniforme, compatto, senza pietà. 
Il pensiero è: "Chi me l’ha fatto fare?” 
Ci si mette un battito di ciglia a capire che non è stata una decisione avventata. Un battito di ciglia è anche il tempo che ci si mette dall’aeroporto fino a casa, se alla guida c'è un neozelandese. 
Casa per me è una sola: non quella dove sono cresciuto, a Milano (città che detesto), ma quella di Livorno. Così diverse Livorno e Djibouti, che di somigliante hanno solo il fatto d’essere due porti, eppure io a Djibouti mi sono sentito a casa.
Questo sentimento è da attribuire alla gentile ospitalità offertaci da Monsignor Bertin. Non ci si scorda il suo sorriso benevolo al nostro all’arrivo, e le divertenti caustiche battute.

Sorriso: la costante di tutto il nostro soggiorno. 
Il sorriso è un elemento che conserverò sempre, tatuato nella memoria. Semplice movimento muscolare, leggera contrazione della mimica facciale, breve ma intensa, sempre diversa ma “uguale”. Vibrazione energizzante, che affonda nello spirito transitando per i bulbi oculari.
Me la porterò dietro per sempre questa lieve contrazione, perché, in qualche modo, mi è stata offerta da tutti, ovunque

La notte invece seguito a sognare un altro genere di sorriso. Un sorriso disteso e pacato che in meno di un battito di ciglia si trasforma in un ghigno truce, che del precedente movimento pacifico delle labbra poco ha. Carnivora scarica elettrica, che indurisce in un secondo quelle che fino ad un secondo prima, parevano due labbra morbide come le due metà di un avocado appena sbucciato.
Questo è il labile confine tra le espressioni che solcano il viso di un bimbo di strada. Un sorriso lascia il posto ad un ghigno. Il ghigno scompare nuovamente per un sorriso.
La reversibilità esiste e va coltivata. Ho iniziato con lo scambiare più sorrisi possibili, linguacce che s'evolvono in ‘roventi’ abbracci (perché nel frattempo i 50 gradi seguitano ad essere immancabili compagni di soggiorno), finendo col sudare insieme. Ce saranno infiniti modi, queste sono stati i miei. Basta veramente poco: la forza che risiede in un battito di ciglia.

Non sono francofono, non parlo amarik e nemmeno somalo, ma ho imparato la lingua dei bambini di strada. Loro me l'hanno insegnata. Coi vestiti a brandelli, i piedi sporchi e callosi, il costato a fior di pelle, ma con due file di denti bianchi: sempre belle in vista. Sempre sorridendo. Ho imparato la lingua dei bimbi di strada e questo mi ha reso una persona migliore. O per lo meno, mi piace crederlo. A dirlo, saranno le mie azioni future e le parole degli altri. 

Sento la necessità di inalare quell'aria bollente, stringere tra le braccia quelle piccole 'tempeste' ossute, sentirmele alle calcagna mentre cerco di depistarle sulla spiaggia, con un cambio di direzione dopo l'altro, stringendo tra le mani la palla da rugby.
Sento il bisogno di urlare loro addosso, nel faticoso tentativo di fare rispettare la “linka” (fila) e di prendermi una sonora sfuriata da Marieke per essermi fatto spalmare il viso di tempera verde e blu da Asma, sprecando così i preziosi colori.
Non sento per nulla, invece, il bisogno di vedere la Gendarmerie ed avere la consapevolezza di ciò andrà a fare il camion blu, pieno di poliziotti animati e vivaci, nelle vie del centrocittà.

Djibouti non è una favola che, paternamente, Nonno mi raccontò una sera di dicembre davanti al camino. E questo purtroppo fa parte del pacchetto. Prendere o lasciare.
Io, comunque sia, ho deciso di prendere.
Quei sorrisi che seguito a sognare la notte sono per me sacri, ed io intendo rivederli al più presto. E’ mia intenzione cercare di far in modo che non cedano il posto ad un ghigno truce, o se proprio devono farlo, che lo facciano per il minor tempo possibile. 

Salama


Nicco

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