La
prima esperienza di volontariato internazionale, la prima volta in Africa, la
prima volta catapultata in un paese così diverso da quello dove vivo
quotidianamente per cultura, tradizioni, religione, lingua, clima, stili di
vita, modelli di comportamento, di società, di famiglia,…
Che
botta! Confusa e un po’ stordita provo a scrivere alcuni pensieri.
Djibouti
per me è:
-
INCOMPRENSIONE. Un divario enorme ed evidente tra ricchezza e povertà: o ti
puoi permettere una villa, di andare in piscina, al supermercato,… o sei seduto
per strada con gli occhi persi e le guance gonfie di qat. Prendersi a vergate e
a sassate è la normale modalità quotidiana per risolvere conflitti, litigi o
per educare tuo figlio. Bambini che vivono per strada, tanti senza famiglia,
che prendono il treno, oltrepassano il confine, vengono in città, a Djibouti,
con la vana aspettativa di poter stare meglio. Bambini che a scuola non ci
vanno perché sono senza documenti. Aiuti umanitari che rischiano di essere
sprecati in caso di cattiva organizzazione e razionalizzazione. Persone che oltrepassano
il confine etiope, camminano sotto il sole rovente verso Obock, aggrappati ad
un folle sogno, rincorrono i fuoristrada alla ricerca di acqua, pane e di un
passaggio verso la meta. Una sanità pressoché inesistente a meno che tu non sia
bianco. Vivere senza acqua, senza gas ed elettricità, vagando, con capre e
cammelli, per un paese arido, deserto e polveroso.
-
AMMIRAZIONE. Gli stessi bambini di strada che sono schiacciati dalla ricchezza,
dal potere e da una città incurante ed approfittatrice, che rovistano nell’immondizia,
che non hanno la certezza di un pasto al giorno, che non sanno leggere né scrivere,
che affrontano a testa alta le sfide quotidiane di sopravvivenza tenendosi ben
strette le loro poche cose (una maglietta, un paio di infradito, una caramella,
un piccolo dono, qualche spicciolo), che rischiano di essere picchiati, portati
in prigione e ricondotti al confine, … questi stessi bambini di strada, sono
“perle preziose” nel deserto, arrivano al Centro Caritas sorridenti, pieni di
energia, contenti per la tua presenza e ti donano tutto se stessi, tutto
l’affetto di cui loro stessi avrebbero bisogno e non si aspettano nulla da te, nulla,
se non semplicemente ed umilmente te stesso.
Ammirazione
anche per il Centro Caritas e per gli operatori perchè nonostante tutte le
fatiche e gli aspetti contradditori presenti è un’oasi nel deserto; per chi
gestisce le missioni nei villaggi che si mette a servizio con tanta passione,
tanta umiltà, tanta speranza e desiderio di creare piccole opportunità di
cambiamento.
GRAZIE
Daniele, Niccolò, Monica, Viola, Erika, Silvia, Ilaria e le due ragazze civiliste,
Chiara e Claudia, che mi avete accolto nella mia presenza silenziosa e mi avete
accompagnato in questa avventura sorprendente.
GRAZIE Djibouti perché
hai dato uno “scossone” alla mia vita. La terra ferma sotto i miei piedi ha
tremato e si sono aperte delle crepe in alcune certezze, schemi mentali, punti
di vista e posizioni che credevo ben saldi e scontati. E soprattutto, grazie,
perchè hai aperto una crepa anche nella mia dura e rigida corazza.
Alice
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