lunedì 8 settembre 2014

DJIBOUTI E LE "PERLE PREZIOSE" NEL DESERTO



La testa è tutto un rimbombo di volti, sguardi, immagini, musiche, parole, colori, profumi, sapori …. Non è facile mettere ordine tra tante emozioni e pensieri anche contrastanti tra loro.
La prima esperienza di volontariato internazionale, la prima volta in Africa, la prima volta catapultata in un paese così diverso da quello dove vivo quotidianamente per cultura, tradizioni, religione, lingua, clima, stili di vita, modelli di comportamento, di società, di famiglia,… 

Che botta! Confusa e un po’ stordita provo a scrivere alcuni pensieri.

Djibouti per me è:

- INCOMPRENSIONE. Un divario enorme ed evidente tra ricchezza e povertà: o ti puoi permettere una villa, di andare in piscina, al supermercato,… o sei seduto per strada con gli occhi persi e le guance gonfie di qat. Prendersi a vergate e a sassate è la normale modalità quotidiana per risolvere conflitti, litigi o per educare tuo figlio. Bambini che vivono per strada, tanti senza famiglia, che prendono il treno, oltrepassano il confine, vengono in città, a Djibouti, con la vana aspettativa di poter stare meglio. Bambini che a scuola non ci vanno perché sono senza documenti. Aiuti umanitari che rischiano di essere sprecati in caso di cattiva organizzazione e razionalizzazione. Persone che oltrepassano il confine etiope, camminano sotto il sole rovente verso Obock, aggrappati ad un folle sogno, rincorrono i fuoristrada alla ricerca di acqua, pane e di un passaggio verso la meta. Una sanità pressoché inesistente a meno che tu non sia bianco. Vivere senza acqua, senza gas ed elettricità, vagando, con capre e cammelli, per un paese arido, deserto e polveroso.

- AMMIRAZIONE. Gli stessi bambini di strada che sono schiacciati dalla ricchezza, dal potere e da una città incurante ed approfittatrice, che rovistano nell’immondizia, che non hanno la certezza di un pasto al giorno, che non sanno leggere né scrivere, che affrontano a testa alta le sfide quotidiane di sopravvivenza tenendosi ben strette le loro poche cose (una maglietta, un paio di infradito, una caramella, un piccolo dono, qualche spicciolo), che rischiano di essere picchiati, portati in prigione e ricondotti al confine, … questi stessi bambini di strada, sono “perle preziose” nel deserto, arrivano al Centro Caritas sorridenti, pieni di energia, contenti per la tua presenza e ti donano tutto se stessi, tutto l’affetto di cui loro stessi avrebbero bisogno e non si aspettano nulla da te, nulla, se non semplicemente ed umilmente te stesso.
Ammirazione anche per il Centro Caritas e per gli operatori perchè nonostante tutte le fatiche e gli aspetti contradditori presenti è un’oasi nel deserto; per chi gestisce le missioni nei villaggi che si mette a servizio con tanta passione, tanta umiltà, tanta speranza e desiderio di creare piccole opportunità di cambiamento.

- BELLEZZA. In tante occasioni mi sono chiesta “ma questa è vita?” e nel tentativo di cercare una risposta un’altra domanda è spesso affiorata alla mia mente: “o forse è la mia vita che non è proprio vita o che potrebbe essere migliore, più semplice ed umile?”. La bellezza di Djibouti sta proprio qui, tra i tanti paradossi, tra le tante contraddizioni e gli aspetti incomprensibili, ti coglie di sorpresa e ti travolge in tutta la sua semplicità: i bambini di strada che ti sorridono, ti abbracciano, ti prendono per mano e ti trascinano a ballare, ti offrono il loro pasto dopo averlo per bene mescolato con le mani sudice, ti salutano per strada quando vai al mercato; sporcarti, sudare e sentirti addosso il loro stesso odore; il ragazzo disabile che accenna un movimento degli arti apprezzando la tua carezza sul suo viso, che non verrà mai adottato, ma che le suore continueranno a crescere ed accudire con affetto; i bambini dei villaggi che, affascinati dalla tua presenza straniera e dalla tua macchina fotografica, si avvicinano, poi scappano via appena volgi loro lo sguardo e la mano, e poco dopo tornano e si avvicinano di nuovo; i padri e le suore missionarie che lavorano con cura e dedizione per i ragazzi; la ricerca di modalità alternative per lavarsi in assenza di acqua, la condivisione di momenti di black out notturni in cui non puoi dormire per il caldo; il profumo e il sapore del pane comprato nei loro baracchini, che porti a casa pieno di formiche; il ringraziamento delle persone etiopi a cui offri acqua e un passaggio verso Obock … tante cose ancora ci sarebbero da aggiungere, tante “perle preziose” nel deserto sono ancora lì che brillano e aspettano di essere scoperte e raccolte.

GRAZIE Daniele, Niccolò, Monica, Viola, Erika, Silvia, Ilaria e le due ragazze civiliste, Chiara e Claudia, che mi avete accolto nella mia presenza silenziosa e mi avete accompagnato in questa avventura sorprendente.

GRAZIE Djibouti perché hai dato uno “scossone” alla mia vita. La terra ferma sotto i miei piedi ha tremato e si sono aperte delle crepe in alcune certezze, schemi mentali, punti di vista e posizioni che credevo ben saldi e scontati. E soprattutto, grazie, perchè hai aperto una crepa anche nella mia dura e rigida corazza.

Alice

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