martedì 10 giugno 2008

Ethiopia vs Rwanda e [paren)tesi

Seduto al mio posto di lavoro. Fuori c’è l’aria di "quando piove col sole ke guarda", ma adesso non piove. Cosa si guarda il sole?

cordone militare a ostruire la visuale
Weekend calcistico qello trascorso e non solo x le vicende d Frei (capitano svizzero dolorosamente uscito d scena nel momento in cui il suo Paese lo voleva protagonista) o x’ sabato all’alba dopo 5 ore bone d sonno, dopo una nottata all’Harlem Jazz, ke si balla finkè ce né…

    [Ah, qsta è una parentesi bellissima, spezza il discorso ma mene frego, tanto l’unico lettore ke è rimasto parla kiswahili. Va ke bella parentesi []. Mi succedeva anke in Sud Africa di impattare col pensiero ke quando agisco, agli occhi di alcuni Etiopi ke raramente incappano in ferengi (uomini bianki), non sono Paolo, bensì un uomo bianco ke agisce: uno dei poki ke loro hanno visto. Quindi m’immagino che, senza esagerare, le mie azioni influenzeranno + del normale l’idea ke loro hanno non tanto di me, quanto della grande categoria ke rappresento, quella degli Uomini Bianki (rosa). Quindi i miei vicini dell’inginokkiamento pasquale ke hanno scorto le mie calze d colore diverso l'una dall'altra, possono pensare ke una buona percentuale d bianki sia solita indossare calzini spaiati. Fai 2 conti: magari uno di loro ha visto le calze di 6 ferengi, tra cui le mie; questo lo indurrà a credere ke il 17% d noi indossa calze spaiate. E magari per avvallare la moda occidentale decide di emularlo.

    Dall’altra parte invece, questo ragionamento mi affranca dalla skiavitù del giudizio altrui. I mean: posso ballare come voglio, poiché ai loro occhi non ballerò mai strano, ballerò diverso da loro, ma essendo io “strano” a priori, il mio status mi concede una libertà espressiva da vertigini].

Recupero: weekend calcistico qello trascorso e non solo x le vicende d Frei o x’ sabato mattina all’alba dopo 5 ore buone d sonno, dopo una nottata all’Harlem Jazz, ke si balla finkè ce né, mi sono fatto 2 km x jocare ore a calcio con i Saint Joseph Youth, ke mi fa male tutto, e poi a pingpong..

    [anke qua: qdo joco a pingpong, skiaccio appena vedo la pallina e danzo scalmanato perché non ho il rovescio. Facile ke molti dei miei avversari autoctoni abbiano visto solo me come bianco jocatore d pingpong e quindi assolutizzino: i bianki non usano il rovescio e qdo jocano come dei posseduti. Oppure: x assegnare la prima serie d battute della partita gli ho insegnato il joketto di mia sorella Lele, appoggi la rakketta sul tavolo e, lanciando la pallina colla mano, cerki d colpire la paletta dell’avversario. Da cui, senza ke io lo abbia mai detto: “In Europa si fa così”. Come quando, a Srebrenica, la gente non credeva ke io potessi veramente non conoscere la canzone “Lasciatemi cantare”: “è la canzone italiana + famosa, noi la conosciamo tutti”. E anke lì, mi sa ke ero piuttosto io l’eccezione ke non la loro aspettativa errata. Il meccanismo è tutto sommato ininfluente, ma identico ad un altro, verificabile però in Italia, in noi. La criminalità dei messaggi televisivi e giornalistici, ke per criteri di notiziabilità spalmano la cronaca nera –la pornografia dell’informazione- di efferatezze commesse da immigrati. Mela vedo la scena: “Omicidi oggi?” “47” “Ad opera di immigrati?” “4” “Ne abbiamo uno con tentativo d stupro?” “Ma, forse uno” “Splendido: togli il forse e cerca di saperne il + possibile, prima pagina”. Pensare ke tutti i bianki indossino calze spaiate e ke tutti i romeni siano pluriomicidi per dna sono esiti dello stesso ragionamento, esiti ke provocano però conseguenze diverse. Mentre, -m’allungo la palla, lo so, se vuoi portarmela via smetti d leggere, ma io provo la fuga- il ragionamento del credere ke l’Italia sia il Paese della Cuccagna è un altro, mosso dalla speranza di una vita migliore, dalla fede ke non sia giusto vedere la mia famiglia morire d fame x’ una cicogna aprì il becco sorvolando l’emisfero sbagliato].
prove della banda etiope, prove della corsa ruandese
Recupero vero, parola d marinaio: weekend calcistico soprattutto x’ ieri si è svolta la seconda partita dell’8° girone; non siamo nella Divina Commedia, bensì in Coppa d’Africa, valente anke per la qualificazione della Coppa del Mondo. L’Etiopia ha già affrontato il Marocco settimana scorsa prendendone 3 (…), e ieri è toccato al Rwanda, ke le aveva date alla Mauritania. È già semidecisiva: il 2° posto nel girone bisogna strapparlo ai Rwandesi, meglio classificati nel ranking FIFA, ma punibili fuori casa. Arrivo allo stadio sotto una familiare pioggerella, opto per i posti in tribuna coperta. Saliamo le scalette dello stadio, è quell’emozione lì, di quando ti si apre il verde davanti, ti fermi sulle tue gambe ke certi spettacoli van vissuti da fermi e lo stupore ti spalanca il sorriso.

Il seggiolino assegnatoci è in prima fila, appena fuori dalla tettoia, e, xfortuna o purtroppo, a 8 corsie d pista d atletica dall’erba. Uno sguardo parallelo al campo da joco. Gli inni nazionali eseguiti dalla banda cittadina, su quello etiope mi chiama Francesca al telefonino. (da cui “Tutti i ferengi non rispettano l’esecuzione degli inni”.. no, ragazzi, sugli inni è religioso silenzio, come sui titoli d coda, trust me. Poco convincente, eh?).

Le squadre cisi skierano davanti, Zed si gira e mi dice “Orca, si vede ke la nostra gente soffre la fame”. E dopo 10’ decreta “Vince il Rwanda”; come molti connazionali disprezza la sua nazionale d calcio figlia di una federazione corrotta a tal punto da pilotare anke le convocazioni, con risultati sportivi tremendi. Invece verso la fine del 1° tempo uno stopper ruandese (nro 5) esce con problemi muscolari: l’allenatore (“un ferengi, non vale”, si dice in amarico) accetta d finire il tempo in 10 e aspettare d comprendere se il difensore si ristabilisce. Ma lui piange dal dolore, sdraiato appena fuori dal campo, il personale medico sta facendo di tutto per alleviarne la sofferenza, ma è un tutto ke non basta. E l’Etiopia segna. Contropiede svelto e stadio ke deflagra. I capi della polizia corrono affannati indossando il cappello da cerimonia sotto la curva, in parata, come tanti portieri; anticipano (…) la banda ke parte x un giro di pista con tanto di volteggiatore di bastone, e pure i tifosi rwandesi ballano un po’ scontenti ma anke contenti ke finalmente c’è festa non è la loro però è sempre una festa; ma soprattutto i medici ke stavano occupandosi del difensore ruandese lo abbandonano a bordo campo e zompano anke loro a gioire abbracciandosi, accrescendo lo sconforto di Numero Cinque, faccia nell’erba e cuore sottoterra, paracadutista caduto. Il bambino ke prima faceva il giullare sulla pista d’atletica, figlio forse del commentatore, è spaventato dall’esultazione e non fa + la ruota, ma si nasconde sotto la tettoia del 4° uomo invocando la mamma. Io sono contento: la mia paura qdo tiro fuori soldi x andare allo stadio è lo 0 a 0, e sono anke propenso a tifare Ethiopia.

tifosi ruandesi (sì, avevo anke una foto della partita, ma cera dentro un militare, allora avrei dovuto kiedere a Sara e non passava+)
Ma Zed vede lontano e il 2° tempo è pessimo per le antilopi di Walya. Disorganizzate, con qualche elemento intimorito dalla preponderanza fisica ruandese: e ne ha ben donde, il match è piuttosto rude. Arriva il pareggio dei bianki magliati, un tiro ravvicinato ma parabilissimo, la bolgia ruandese proprio al mio fianco. Uno smilzo con okkiali d sole con tempo coperto, ke tenevo d’okkio come personaggio ke trai rwandesi avrebbe potuto regalarmi qke scenetta accontenta il mio spionaggio: nel delirio danzereccio si gira verso la curva etiope e si alza gli okkiali scoprendo un okkio kiuso. Faccio appena in tempo a recuperare racconti e fotografie mentali dell’eccidio ruandese quando apre la bocca. In italiano lo sappiamo tutti cos’avrebbe urlato, accompagnato da espliciti gesti. In inglese grida altro: “Fairplayyyyyyy”. Forse termine capace di irritare ancora d + un etiope: pioggia di bottigliette di plastica e militari ke sgomberano lo spazio ruandese per spostarli esattamente davanti a me, imbandierati e saltellanti. La mia mente insegue la possibilità ke “fairplay” in kiswahili abbia significati ipotesi d particolari abitudini sessuali, ma l’inseguimento è interrotto dal raddoppio del Rwanda, una punizione premia l’inserimento di un ruandese ke insacca facile d testa. Delirium, assolutamente contagiante per me e non per i miei vicini d seggiolino, ke avranno modo d rinfazzarmelo garbatamente la sera seguente, intorno al 3° gol orange. A quel punto la disillusione etiope è totale: lo stadio parte in cori quali “Rwanda, Rwanda” o “andate a lavorare”, e uscendo dal tempio del calcio perduto trenini di etiopi cantano: “I campi di thè ci danno da vivere quelli d calcio no”. Ke in un’annata più pioggiosa avrebbe fatto ridere, oggi fa sorridere.

Ma io sono contento: la mia paura qdo tiro fuori soldi x andare allo stadio è lo 0 a 0, e sono anke propenso a tifare Rwanda. Lasciando il campo in direzione di una messa, penso a quanti Rwandesi portino dietro gli okkiali da sole i segni d quello ke è successo, penso a come gli animi bosniaci ke ho conosciuto cicatrizzino faticosamente e, con un brivido, penso ke tra 5, 10, ics anni potrebbe essere un etiope, magari uno dei miei amici ke qdo c’è l’aria di "qdo piove senza sole" scelga cmqe d uscire colle lenti scure..

curva parabolica ethiope
Wellea ha volia d parlare un po’ + del solito, sarà ke in ufficio non c’è quasi + nessuno, sarà ke tante volte ho risposto diffusamente al suo “How are you” e forse un gradino di confidenza melo sono guadagnato.

“Nessuno d quelli ke conosco tifa all’Etiopia, e alcuni sono andati allo stadio a tifare Rwanda”.

“È vero, degli amici italiani melo dicevano, anke se a dire la verità li hanno sentiti solo dopo il raddoppio ruandese”.

“Il problema è ke il calcio è pieno di corruzione e droga e alcool. L’allenatore kiama jocatori vekki, termini di un sistema di favori”.

“Il problema non è il calcio, Wellea”.

Wellea non capisce o fa finta di non, dikiara: “God knows everything”. Dio conosce tutto.

Provo a capire fino a dove lei, da subito dikiaratasi fervente cattolica, arrivi, lanciandole uno slogan: “E quindi pian piano le cose si possono cambiare..”.

Mi guarda, gira la testa fuori dalla porta, un’ombra bagnata sulle pupille: “Non lo so, è dura”, sussurra.

Qualcuno la kiama, ed esce; non senza avermi ringraziato x la kiakkierata.

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