Beirut mi sta sfidando.
Mi sfida il suo traffico, il rumore dei clacson, lo smog e le sue polveri.
Mi sfidano le strade, che sembrano un campo da gioco dove macchine anarchiche fanno a gara a chi passa per prima o a chi trova lo spazio più angusto dove infilarsi per guadagnare qualche metro.
Mi sfida l'odore di spazzatura ammucchiata a cielo aperto e mi sfida questo quadro disordinato di case ammassate senza ordine né criterio.
Ma più di tutto mi sfida la sua lingua, che tanto mi affascina e tanto mi confonde. Una lingua che si fa muro quando il suo suono non mi riporta a niente di conosciuto. Mi capita per strada, sui taxi, nei centri in cui lavoro. E così ci sono domande che non trovano risposta, curiosità che non trovano informazioni, approcci che non trovano dialogo.
Me ne sto accorgendo piano, giorno dopo giorno.
È da due settimane che sono arrivata in Libano quando, in circa tre ore di viaggio, un aereo mi ha portata dall'Europa al Medio Oriente. Con una sensazione mista di spaesamento e stupore, mi sono trattenuta sulla soglia e ho sbirciato da lì.
Lunedì ho cominciato a lavorare a tempo pieno e, sarà per i ritmi definiti, sarà per l'incontro con i colleghi locali, sento di aver cominciato ad addentrarmi, lentamente, in questo Paese, piccolo ma complesso. Tuttavia, per ogni passo che muovo sembra comparire di fronte a me un mattoncino e, mattoncino dopo mattoncino, quel muro.
Capita quindi che mi ritrovo in un taxi guidato da un signore con il viso segnato dagli anni che, indicando fuori dal finestrino, mi mostra qualcosa che non riesco a vedere e mi racconta una storia che non posso capire.
Capita che, dopo svariati tentativi di comunicazione che non hanno portato alcun frutto, ricambio con sguardo dispiaciuto e colpevole lo sguardo profondo e curioso delle ragazze siriane ed etiopi che vogliono sapere di più sulla straniera appena arrivata dall'Italia.
E allora, nei casi in cui il tempo lo permette, riscopro altre forme di comunicazione e tra gesti, mimi e un po' di fantasia si costruisce insieme un linguaggio condiviso, che mi costringe ad andare oltre un fiume di parole accostate con disattenzione e mi impone di essere presente e attenta, per capire l'altro e quello che cerca di dirmi.
Nel frattempo, inizierò la settimana prossima il corso di arabo e, da non-alfabetizzata, ricomincerò da capo per imparare a leggere e scrivere un alfabeto che non conosco e, passo dopo passo, addentrarmi un po' di più nella complessità di questo mondo.
Beirut mi sta sfidando e io accetto la sfida.
Giulia
Mi sfida il suo traffico, il rumore dei clacson, lo smog e le sue polveri.
Mi sfidano le strade, che sembrano un campo da gioco dove macchine anarchiche fanno a gara a chi passa per prima o a chi trova lo spazio più angusto dove infilarsi per guadagnare qualche metro.
Mi sfida l'odore di spazzatura ammucchiata a cielo aperto e mi sfida questo quadro disordinato di case ammassate senza ordine né criterio.
Ma più di tutto mi sfida la sua lingua, che tanto mi affascina e tanto mi confonde. Una lingua che si fa muro quando il suo suono non mi riporta a niente di conosciuto. Mi capita per strada, sui taxi, nei centri in cui lavoro. E così ci sono domande che non trovano risposta, curiosità che non trovano informazioni, approcci che non trovano dialogo.
Me ne sto accorgendo piano, giorno dopo giorno.
È da due settimane che sono arrivata in Libano quando, in circa tre ore di viaggio, un aereo mi ha portata dall'Europa al Medio Oriente. Con una sensazione mista di spaesamento e stupore, mi sono trattenuta sulla soglia e ho sbirciato da lì.
Lunedì ho cominciato a lavorare a tempo pieno e, sarà per i ritmi definiti, sarà per l'incontro con i colleghi locali, sento di aver cominciato ad addentrarmi, lentamente, in questo Paese, piccolo ma complesso. Tuttavia, per ogni passo che muovo sembra comparire di fronte a me un mattoncino e, mattoncino dopo mattoncino, quel muro.
Capita quindi che mi ritrovo in un taxi guidato da un signore con il viso segnato dagli anni che, indicando fuori dal finestrino, mi mostra qualcosa che non riesco a vedere e mi racconta una storia che non posso capire.
Capita che, dopo svariati tentativi di comunicazione che non hanno portato alcun frutto, ricambio con sguardo dispiaciuto e colpevole lo sguardo profondo e curioso delle ragazze siriane ed etiopi che vogliono sapere di più sulla straniera appena arrivata dall'Italia.
E allora, nei casi in cui il tempo lo permette, riscopro altre forme di comunicazione e tra gesti, mimi e un po' di fantasia si costruisce insieme un linguaggio condiviso, che mi costringe ad andare oltre un fiume di parole accostate con disattenzione e mi impone di essere presente e attenta, per capire l'altro e quello che cerca di dirmi.
Nel frattempo, inizierò la settimana prossima il corso di arabo e, da non-alfabetizzata, ricomincerò da capo per imparare a leggere e scrivere un alfabeto che non conosco e, passo dopo passo, addentrarmi un po' di più nella complessità di questo mondo.
Beirut mi sta sfidando e io accetto la sfida.
Giulia
Nessun commento:
Posta un commento