sabato 19 novembre 2016

Nueva Vida



Il primo posto dove ho messo piede appena arrivata a Managua non è stato, come spesso capita arrivando in un luogo sconosciuto, il centro, ma un quartiere periferico, Nueva Vida, barrio ai confini di Ciudad Sandino comune all’estremo Nord Ovest della città.
Per diversi giorni Nueva Vida ha costituito il mio orizzonte principale, arrivavo qui poco dopo l'alba e tornavo a casa appena prima del tramonto tanto che ad un certo punto ho avuto la sensazione di essere segregata, che da qualche parte ci fosse un'intera città, di cui ancora non sapevo nulla, di cui non conoscevo le strade e gli snodi vitali, che sentivo il bisogno di esplorare e afferrare e che da lì non fosse possibile.
Mi sono ben presto accorta di quanto questa sensazione non avesse senso e di come Nueva Vida non sia altro che una parte integrante e costitutiva della storia e del presente di questa città, uno spazio tanto marginale quanto fondamentale nella comprensione dell'ecosistema che la circonda.

Nueva Vida è nata nel 1998 quando a seguito dell'Uragano Mitch migliaia di persone che abitavano nei quartieri a ridosso del lago di Managua, sfollate si accamparono ai margini di Ciudad Sandino (che a sua volta era il risultato degli accampamenti post terremoto del 1972) e qui vi rimasero. Negli anni la popolazione è cresciuta, sempre più persone hanno cominciato ad abitare il barrio principalmente per via del costo molto basso della vita.
Le prime persone che si insediarono nel barrio, non ebbero mai la possibilità di tornare alle loro case in riva al lago, sebbene la zona sia stata poi ricostruita e oggi sia sede di ristoranti e locali alla moda.

Il governo dopo aver costruito alcune case in muratura, ha completamente abbandonato l'area dove ancora oggi mancano i servizi fondamentali, le strade sono quasi tutte in terra battuta le scuole sono sovraffollate, c'è un unico ospedale (a Ciudad Sandino) che non riesce a garantire un effettiva copertura sanitaria e manca completamente una rete fognaria.
Oltre a questo Nueva Vida vanta della presenza della cosiddetta “Chureka”, una discarica a cielo aperto in continua espansione, che è diventata per gli abitanti della zona una delle principali fonti di lavoro, ovviamente informale. Numerose sono le persone di tutte le età e genere che lavorano nella discarica, principalmente si occupano di raccogliere e rivendere i materiali riciclabili.
Il lavoro formale quasi non esiste e chi non lavora nella chureka ha messo in piedi piccole attività commerciali all'interno delle proprie abitazioni, per la maggior parte “pulperie”, sorte di spacci dove si trovano prodotti di vario genere dagli alimentari, ai prodotti per la casa; altri ancora lavorano in una delle zone franche di Managua.1

Gli anni successivi all'uragano sono stati anche anni in cui i Paesi occidentali investivano ampie somme nella cooperazione internazionale e proprio a causa dell’uragano, che portò il Nicaragua ad
essere considerato uno dei Paesi più poveri dell’America Latina, il Paese divenne un obiettivo privilegiato per l’investimento di tali fondi.
Tali interventi umanitari hanno operato nell’ottica dell’emergenza, caratterizzandosi per un approccio fortemente assistenzialista , che nella maggior parte dei casi non ha lasciato traccia sui territori, se non nel creare dipendenza e ulteriore isolamento.
Col passare degli anni i fondi internazionali sono diminuiti drasticamente, fino quasi a sparire e all’assistenzialismo internazionale è subentrato quello del governo, unito a quello delle Chiese a maggioranza evangeliche, che nel caso di Nueva Vida concentrano moltissimi sforzi nell’evangelizzazione.

Ad oggi Nueva Vida è uno dei quartieri più poveri di Managua, come tale si porta addosso un immaginario stereotipato in cui realtà e leggenda si fondono e che racconta di questo barrio come luogo di criminalità e violenza.
Colpisce camminando per le strade del barrio vedere case di lamiera difese da matasse di filo spinato, le piccole attività commerciali trincerate dietro sbarre con una sola finestrella da cui vengono erogati i prodotti e l’intuire dai racconti un forte senso di insicurezza e diffidenza.
Questo contrasta con altri aspetti per così dire più solidali, come il fatto che quasi tutte le “pulperie” facciano credito senza interessi, o che spesso e volentieri si trovino a vivere sotto lo stesso tetto persone non appartenenti al nucleo famigliare stretto e a volte addirittura nemmeno al gruppo famigliare toutcourt, o la presenza costante di persone per le strade e il movimento, che certo non incute alcun timore.
Nueva Vida appare come una realtà complessa, in continua espansione, sia per un impoverimento che produce un movimento dal centro alla periferia, sia per una costante migrazione dalla campagna alla città; è una realtà che rimanda a situazioni e contesti che trascendono la vita di questo barrio.

Così è apparsa Nueva Vida al mio sguardo curioso e fugace a poco più di due settimane dal mio arrivo, con la consapevolezza che non basti una vita per cogliere le sfumature e la complessità di un posto, figuriamoci di un intero Paese continuerò a cercare connessioni, contraddizioni e resistenze a partire da questo relativamente piccolo e marginale quartiere.










1 Già nel 1976 fu approvata la legge che permetteva lo sviluppo di zone commercialia a statuto speciali, non tassate. Lo sviluppo di tali aree fu interrotto negli anni ottanta durante tutto il periodo Sandinista e fu ripreso a inizio anni ’90 con il governo Chamorro, che diede nuovo impulso alla liberalizzazione del mercato e nuove aree vennero aperte in accordo con Stati Uniti e Taiwan. Ad oggi sono circa 109.000 le persone che lavorano in tali aree e la crescita è costante. Il ritorno di un governo sandinista dal 2006 non ha cambiato questa tendenza.


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