Lunedì mattina
in ufficio si respira un’aria di scoraggiamento e preoccupazione. Domenica
13/11 ci sono state le elezioni presidenziali e come spesso accade, soprattutto
ultimamente, il risultato non è quello auspicato. Si è trattato di un momento
storico fondamentale per la Moldova. Innanzitutto perché queste elezioni erano
le prime dirette dal 1997; inoltre perché l’esito sarebbe stato un punto di
svolta decisivo riguardo la direzione intrapresa dal paese, se verso Bruxelles
o Mosca. Infatti la politica moldava, come la sua gente, si trova divisa in due
correnti fondamentali, una filorussa l’altra filo-europeista. Questi due
orientamenti sono incarnati dai due candidati maggiormente sostenuti: Igor Dodon,
rappresentante del partito socialista e dichiaratamente filorusso e Maria
Sandu, del partito dell’Azione e solidarietà prossimo all'Europa. Numerosi
sondaggi davano come favorito Dodon, previsione non sorprendente dato l’andamento
poco positivo degli ultimi governi filo-europeisti. Dopo una svolta governativa verso
l’Occidente, le cui promesse di miglioramento delle condizioni di vita e un
avvicinamento all'Europa sono miseramente fallite, è comprensibile come i
cittadini moldavi pongano le proprie speranze altrove. I più disillusi sono gli
anziani, che guardano con nostalgia agli anni del dominio russo, in cui di
certo mancava la libertà, ma non il pane in tavola. La mia iniziale riluttanza
di fronte a questo desiderio di un passato così drammatico, è andata via via
scemando guardando un documentario in cui veniva descritta la crisi economica
che ha investito la Moldova dopo il crollo dell’Unione Sovietica e il raggiungimento dell’autonomia.
Dalla testimonianza di alcune persone emergeva il passaggio da uno stato di
relativo benessere a una condizione di povertà assoluta. Così mi sono trovata,
non a condividere questa posizione, ma a comprenderla di più, constatando che è
più semplice speculare di libertà e altri valori a stomaco pieno. Tornando a
noi, Lunedì ci e stato comunicato il verdetto e come previsto Dodon ha
trionfato. La sua vittoria tuttavia non si può definire pacifica. Una delle
polemiche più accese riguarda la votazione estera. Infatti è stata denunciata
la disfunzione di numerosi seggi elettorali: a Londra, Bologna, Padova, Parigi,
Bucarest sarebbero finite le schede elettorali, impedendo il voto di molti
moldavi espatriati. Così la cocente delusione si ricopre di un velo di
indignazione, che al lavoro scaturisce in dibatti accesi. In particolare noto
lo sconforto di una mia giovane collega, attiva sostenitrice della candidata
democratica Sandu. Quello che mi colpisce, aldilà del resoconto di tutti le
“gabole” propagandistiche ed elettorali per cui Dodon e i suoi sostenitori sono
accusati, è la sua rassegnazione di fronte a un insanabile spaccatura del
popolo Moldavo. Una divisione geopolitica, storica, culturale, ritratta alla
perfezione dall'andamento di queste elezioni. Una mancanza di identità riscontrabile
nel quotidiano: prodotti con etichette scritte in russo, cartelli stradali
scritti in russo, le centraliniste dei taxi che ti rispondono in russo, persone
più anziane che ti parlano in russo e che a un tuo tentennante accenno di
risposta in romeno, non sembrano disponibili ad adeguarsi e continuano con l’inaccessibile
cirillico. Dopo un iniziale abbattimento nel ritrarmi la complessa problematicità
della situazione moldava attuale, ritrovo un barlume di fiducia
negli occhi della mia collega che ad un tratto mi dice: “sicuramente non ne vedrò
i frutti, forse li vedranno i figli dei miei figli, ma io e gli altri giovani
moldavi possiamo farci promotori, con il nostro piccolo contributo, di un
cambiamento, tratteggiando insieme un volto comune per il nostro paese."
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