Carissimi tutti,
circa tre mesi fa i carissimi Bu.Ca. (buoni
cantieristi) lasciavano definitivamente il suolo marocchino, dopo alcune
settimane itineranti estremamente intense. Da Bu.Co. (buon coordinatore),
è stato davvero un piacere leggere i tanti post scritti, le tante riflessioni
portate avanti, gli sforzi di comprendere davvero l’esperienza vissuta; di “portare
a casa” questa “solidarietà geometrica” di cui si parlava tempo fa. Ho
aspettato giustamente un trimestre prima di scrivere questo post, spinto dalla
convinzione che alcune riflessioni sono ancora più preziose se consegnate “a
freddo”, e mosso dalla certezza che se una cosa veramente “ci sta a cuore”, la
si riporta al cuore (re-cordis) nel tempo, la si lascia fruttificare in
se stessi.
Per questo, mi piacerebbe condividere anche con voi
quelle tre riflessioni consegnate ai ragazzi durante l’eucarestia finale, poche
ore prima di decollare. Tre spunti su tre temi che ci hanno accompagnato nel
nostro itinere. Affinché ci possano guidare nella nostra vita qui, nella
nostra quotidianità.
Prima settimana:
migrazioni sconfinanti
Di migranti, di storie strazianti, di muri, di reti,
di leggi, di documenti mancanti, di ferite ne abbiamo sentite abbastanza.
Eppure Inma, che naviga in questa disperazione ogni giorno, ci ha consegnato
così, quasi di sfuggita, ma con un sorriso amaro, queste parole:
“altri soldi per costruire un altro muro, sì, dietro
questo … sì … ma chi vuoi fermare? La Storia non si ferma certo davanti a un
terzo muro …”.
Questa è la prima riflessione che mi piace portare a
casa. Questa certezza di Inma, che tanto mi ha ricordato la canzone di De
Gregori. Una canzone che ci chiama a gran voce:
La storia siamo
noi, siamo noi queste onde nel mare.
La storia non si
ferma davvero davanti a un portone.
La storia dà i
brividi, perché nessuno la può fermare.
La storia siamo
noi, attenzione, nessuno si senta escluso.
Seconda settimana: alterità inconfessate
Il secondo fil rouge del nostro CdS è stato il
concetto di alterità, la diversità che abbiamo incontrato in Marocco, da nord a
sud, dalla cosmopolita Tangeri, alla tranquilla Rabat, alla sperduta Midelt,
fino alle tradizionali città di Fez e Meknès. E ancora, l’alterità berbera di
Tatiouine, l’alterità migrante, l’alterità religiosa cristiana in un contesto
musulmano, la nostra alterità di italiani in un paese ospite. La frase della
settimana era “Je est un autre” (parafrasando, “Il mio essere è
l’altro”), un po’ più ambiziosa del “je suis Charlie” o “je suis
Paris” di turno. Eppure quanto ci ha riempito questa alterità? La frase che
mi piacerebbe consegnarvi è di Mohammed (ovviamente!), il receptionist
dell’ostello di Rabat, che, assaporando un Tajine, ha detto: “Nella differenza
sta la Misericordia”. Ecco, che sia questa sua frase il nostro sestante nel
mare dell’Alterità.
Terza settimana : dialogo interreligioso
Il terzo grande argomento che ha impregnato il nostro
viaggio marocchino è stato il dialogo interreligioso e, nello specifico, le
relazioni tra una “Chiesa di frontiera e totalmente in uscita” e il suo
anfitrione, il mondo musulmano. Siamo passati per alcuni luoghi chiave di
questo dialogo continuo, abbiamo ascoltato e letto testimoni preziosi e uno di
loro, Frère Christian de Chergé, monaco di Tibhirine, ci ha consegnato
una frase da conservare per bene: ci parlava di un una scala doppia, di quelle che poggiano a terra su due punti, con la
parte alta che tocca il cielo, formando dunque una specie di triangolo. Il
credente cristiano sale da un lato, quello musulmano dall’altro, ognuno con il
suo metodo, la sua Via. Al salire sempre più vicini a Dio, ci si ritrova,
inevitabilmente, più vicini all’altro. E viceversa. Su quella scala
doppia noi cantieristi marocchini, guarda te il caso, ci siamo saliti pochi
giorni dopo aver letto quel testo mistico. Già! Perché, con buona pace della
626, l’imbianchino di Meknès aveva soltanto delle scale così, e per pitturare
il soffitto, non ci resta che salire in coppia su queste scale e tenersi in
equilibrio a vicenda, con i nostri rulli che sbatacchiavano un po’ contro muro, un po’ nel vuoto. E che
brividi quando dall’altra parte della scala l’altro si muoveva senza avvisare.
Questa è la frase-immagine che porterei a casa: una scala sulla quale siamo
chiamati a salire, corresponsabili, interreligiosamente, dell’altro.
Tre frasi, tre immagini, tre semi (di fico di
Volubilis?) da coltivare in noi, da ripiantare qui, nella nostra quotidianità e
per cui ringraziare. Perché, come ci ha detto Frère Joel : « Tout
est Grâce ».
R
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