lunedì 28 novembre 2016

Marocco: i frutti dei fichi

Carissimi tutti,

circa tre mesi fa i carissimi Bu.Ca. (buoni cantieristi) lasciavano definitivamente il suolo marocchino, dopo alcune settimane itineranti estremamente intense. Da Bu.Co. (buon coordinatore), è stato davvero un piacere leggere i tanti post scritti, le tante riflessioni portate avanti, gli sforzi di comprendere davvero l’esperienza vissuta; di “portare a casa” questa “solidarietà geometrica” di cui si parlava tempo fa. Ho aspettato giustamente un trimestre prima di scrivere questo post, spinto dalla convinzione che alcune riflessioni sono ancora più preziose se consegnate “a freddo”, e mosso dalla certezza che se una cosa veramente “ci sta a cuore”, la si riporta al cuore (re-cordis) nel tempo, la si lascia fruttificare in se stessi.
Per questo, mi piacerebbe condividere anche con voi quelle tre riflessioni consegnate ai ragazzi durante l’eucarestia finale, poche ore prima di decollare. Tre spunti su tre temi che ci hanno accompagnato nel nostro itinere. Affinché ci possano guidare nella nostra vita qui, nella nostra quotidianità.

Prima settimana:  migrazioni sconfinanti

Di migranti, di storie strazianti, di muri, di reti, di leggi, di documenti mancanti, di ferite ne abbiamo sentite abbastanza. Eppure Inma, che naviga in questa disperazione ogni giorno, ci ha consegnato così, quasi di sfuggita, ma con un sorriso amaro, queste parole:

“altri soldi per costruire un altro muro, sì, dietro questo … sì … ma chi vuoi fermare? La Storia non si ferma certo davanti a un terzo muro …”.

Questa è la prima riflessione che mi piace portare a casa. Questa certezza di Inma, che tanto mi ha ricordato la canzone di De Gregori. Una canzone che ci chiama a gran voce:

La storia siamo noi, siamo noi queste onde nel mare.
La storia non si ferma davvero davanti a un portone.
La storia dà i brividi, perché nessuno la può fermare.
La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso.

Seconda settimana: alterità inconfessate

Il secondo fil rouge del nostro CdS è stato il concetto di alterità, la diversità che abbiamo incontrato in Marocco, da nord a sud, dalla cosmopolita Tangeri, alla tranquilla Rabat, alla sperduta Midelt, fino alle tradizionali città di Fez e Meknès. E ancora, l’alterità berbera di Tatiouine, l’alterità migrante, l’alterità religiosa cristiana in un contesto musulmano, la nostra alterità di italiani in un paese ospite. La frase della settimana era “Je est un autre” (parafrasando, “Il mio essere è l’altro”), un po’ più ambiziosa del “je suis Charlie” o “je suis Paris” di turno. Eppure quanto ci ha riempito questa alterità? La frase che mi piacerebbe consegnarvi è di Mohammed (ovviamente!), il receptionist dell’ostello di Rabat, che, assaporando un Tajine, ha detto: “Nella differenza sta la Misericordia”. Ecco, che sia questa sua frase il nostro sestante nel mare dell’Alterità.

Terza settimana : dialogo interreligioso

Il terzo grande argomento che ha impregnato il nostro viaggio marocchino è stato il dialogo interreligioso e, nello specifico, le relazioni tra una “Chiesa di frontiera e totalmente in uscita” e il suo anfitrione, il mondo musulmano. Siamo passati per alcuni luoghi chiave di questo dialogo continuo, abbiamo ascoltato e letto testimoni preziosi e uno di loro, Frère Christian de Chergé, monaco di Tibhirine, ci ha consegnato una frase da conservare per bene: ci parlava di un una scala doppia, di quelle che poggiano a terra su due punti, con la parte alta che tocca il cielo, formando dunque una specie di triangolo. Il credente cristiano sale da un lato, quello musulmano dall’altro, ognuno con il suo metodo, la sua Via. Al salire sempre più vicini a Dio, ci si ritrova, inevitabilmente, più vicini all’altro. E viceversa. Su quella scala doppia noi cantieristi marocchini, guarda te il caso, ci siamo saliti pochi giorni dopo aver letto quel testo mistico. Già! Perché, con buona pace della 626, l’imbianchino di Meknès aveva soltanto delle scale così, e per pitturare il soffitto, non ci resta che salire in coppia su queste scale e tenersi in equilibrio a vicenda, con i nostri rulli che sbatacchiavano  un po’ contro muro, un po’ nel vuoto. E che brividi quando dall’altra parte della scala l’altro si muoveva senza avvisare. Questa è la frase-immagine che porterei a casa: una scala sulla quale siamo chiamati a salire, corresponsabili, interreligiosamente, dell’altro.    

Tre frasi, tre immagini, tre semi (di fico di Volubilis?) da coltivare in noi, da ripiantare qui, nella nostra quotidianità e per cui ringraziare. Perché, come ci ha detto Frère Joel : « Tout est Grâce ».


R


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