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venerdì 5 agosto 2016

Libano: sale d'aspetto

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Tempo.
Chi di numeri se ne intende dice che è un'ora e sempre un'ora, ma io credo che un'ora a volte può durare una vita intera. Pensaci. Se la lezione è noiosa quanto ci mette la lancetta a spostarsi anche solo di un minuto? E quando invece sei felice quanto ci mette ad arrivare l'ora di andare a casa?

Tempo pieno.
A Milano ci insegnano così, riempi tutte le tue ore, incastra i tuoi impegni uno dietro l'altro, non lasciare buchi per ritagliarti dei momenti liberi, che in realtà poi non ti prenderai mai. Devi ottimizzare il tuo tempo. I ronci chic, come me, si giustificano dicendo che lo facciamo perché siam gente che coglie ogni opportunità, che deve vivere ogni cosa gli passi davanti agli occhi, ma la verità è che siamo anche noi imprigionati in questo circolo vizioso del "o mangio il tempo o il tempo mi mangerà".

Tempo pieno di pensieri.
Se corri non pensi. Male mi mormora già qualcuno. "Sei il frutto di questa società che corre alla velocità di suoi apparecchi elettronici e di quella generazione che non sa più nemmeno come si pensa".

Tempo vuoto.
Oggi non ho nulla da fare. Nessun esame da preparare, nessuna persona da incontrare, solo me e il dolce far nulla. E non so voi, ma quasi questo vuoto mi dà fastidio, perché non riempirlo con qualche cosa fare: una bella gita al lago. Oppure oggi me la prendo scialla, oggi me la prendo comoda, nessun impegno, e anche domani, e anche dopodomani.

Ma poi al tempo pieno ci torno. Forse mi prometterò di non riempirlo proprio tutto il mio tempo, ma ne ho bisogno, e il mio respiro, è quella cosa che si chiama vita.

E se al tempo pieno non ci potessi tornare? Se non dipendesse da me? Se non avessi altra scelta se non che il tempo vuoto, per di più pieno di pensieri, magari non troppo felici, e di responsabilità? Allora un'ora non è più un'ora ma è un tempo infinito, quasi eterno, senza via di fuga. Solo tempo. Quella lancetta non si sposta mai.

Le sale d'aspetto.
Quelle sale dai colori brutti dove aspetti, ma aspetti qualcosa che hai la certezza di aspettare, che sai accadrà anche in un tempo piuttosto ragionevole.

La sala d'aspetto che ho visto oggi però è un salone grande con qualche sedia bianca e un paio di divani, con in televisore che spara Bollywood con sottotitoli in arabo, piena di ragazze, tante ragazze. Con sguardi di attesa, un'attesa di qualcosa, non una specifica, basta qualsiasi cosa, una qualunque che le porti via da quelle sedie e da quei pensieri.

Loro aspettano.
Aspettano noi, forse sperando qualcosa che spezzi la routine. Aspettano forse di sentire il loro nome perché è tempo di ritornare a casa. Perché è così, qui allo shelter per donne migranti, le donne aspettano. Ma quando dico aspettano non sto parlando di un appuntamento prefissato con largo anticipo. Ma aspettano un qualcosa di simile a un miracolo che per arrivare ci può mettere anche anni, non di certo i nostri minuti. Aspettano l'occasione di ritornare a casa, di cancellare forse un po di quelle preoccupazioni che hanno in testa, anche se ne rimangono altre migliaia.


Loro aspettano. Ed io?

Io stasera uscirò di qui, io si posso uscire. Uscirò da questa sala d'attesa e mi muoverò, uscirò e non aspetterò. Se non che si liberino le docce che qui in 15 non è mica una storia facile.
Ma io sono libera di scegliere quando riempire o svuotare il mio tempo. Di poltrire sul divano vagando tra i canti senza alcun interesse o di rivoluzionare la mia vita andando in capo al mondo.
Ma soprattutto io stanotte nel mio letto non aspetto altro che domani, non vedo l'ora, perché si farà qualcosa di nuovo ed è tutto da scoprire. E intanto mi chiedo se anche loro aspettano con ansia il domani. Io aspetterei un domani uguale ad oggi?
Allora un po' capisco cosa siamo qui a fare. A fare il diverso, diverso è buono. A spezzare la routine, a rompere il cerchio. E' come se il nuovo, il cambiamento fosse la salvezza. E mi pare che tanta gente seria lo dica. 

Allora brindo a un domani diverso!
Diverso dalla routine, dagli schemi, perché il cambiamento è vita. Diverso perché oggi certe cose fanno proprio schifo. Chissà mai che il domani sarà migliore.

Buon cammino!
Giù






lunedì 31 agosto 2015

KENYA 2015: WE ARE NOT MOUNTAINS THAT CAN'T MOVE

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Oggi è il giorno della ripresa per tanti di noi che abbiamo trascorso un'estate che ha lasciato il segno.
E alcune volte ricominciare, o cominciare diversamente, non è proprio così facile. Forse perché si ha la certezza che qualcosa in noi è cambiato, forse perché siamo in attesa di qualcosa, forse perché la quotidianità dei cantieri ci faceva sentire a casa.

E allora regalo a noi tutti, cantieristi, coordinatori, equipe e a chiunque legge questo blog, queste poche righe che a mia volta ho ricevuto da un carissimo amico, a-brother-from-another-mother, che quest'anno ho rivisto dopo tanto tempo proprio durante il cantiere.


"What you do is more important as how you do it.
How beautiful will be when you will realize that your work, experience and your project are building your nation?
If you work with honesty the definitely your post will prepare food for the poor, 
your home will be open to everyone, 
your busyness will become an important business for you 
and for your entire future plan.

I have learned a lot from you people and whatsoever you have learned here in Kenya, kindly share it with the people who never got the privilege of this experience.

My request to all of you is to remain united and remember that no matter what happens in your future, always turn to your daily diaries that you have been writing your feelings and the experiences that will help you discover your attitude towards the experience gained in Nairobi. 


We are not mountains that cannot move"


Asante sana Kevin, tutaonana badaye!

Let's build our future!

domenica 16 agosto 2015

Kenya - PORTO NEL CUORE...

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porto nel cuore le domande dei ragazzi che mi sono stati affidati, che spaziavano in ogni ambito con la voglia di capire e di avere delle risposte anche dove non ce n’erano;
porto nel cuore le facce sorprese, stupite, di fronte alle contraddizioni che il Kenya offre e regala a chi va a visitarlo;
porto nel cuore la sorpresa e le urla di gioia di fronte a una pentola di spaghetti al sugo cucinati a sorpresa;
porto nel cuore la voglia di fare, la voglia di esserci a pieno in questa esperienza e di fare tutto il possibile nelle attività, nei momenti di confronto;
porto nel cuore la voglia di provare esperienze nuove, dal piki piki, al matatu, al tuc tuc (solo per citarne alcuni);

porto nel cuore i nuovi amici, e quelli di vecchia data rincontrati durante questa esperienza;

porto nel cuore chi ci ha seguiti passo dopo passo durante queste tre settimane, e ci ha accompagnato ovunque;
porto nel cuore le camminate, a volte molto lunghe, che ci hanno permesso di vedere, guardare e osservare, e soprattutto conoscere e conoscerci;
porto nel cuore le messe, i canti e le danze, che fanno venire voglia di pregare, le canzoni imparate e le preghiere condivise;
porto nel cuore la quantità indefinita di bambini, ragazzi, giovani incontrati durante le nostre attività, la loro voglia di conoscerci e di capire, e magari di sfatare qualche mito sull’Europa
porto nel cuore gli abbracci, i sorrisi, le lacrime, i saluti e la non voglia di tornare a casa, le valigie che non volevano chiudersi, e la necessità di stare con la gente fino all’ultimo secondo;
porto nel cuore i ragazzi della Cafasso, i bimbi di Kamiti, i detenuti della YCTC e delle altre prigioni, i bimbi dei vari centri di accoglienza e riabilitazione, gli abitanti di Soweto e Korogocho,  gli abitanti della parrocchia di Kahawa West e i suoi giovani, tutti i social worker incontrati, i ragazzi del centro Mahali pa Usalama, i bimbi e i giovani della parrocchia di Changamwe;
porto nel cuore i pensieri che volavano insieme agli aerei che ci hanno riportato in Italia, che confondono, che spettinano la vita!

Porto ovviamente nel cuore, in un posto speciale, i MIEI cantieristi, i loro sorrisi, i loro abbracci, la loro musica, il loro lavoro, il loro esserci nella loro semplicità.