È che suonava bene anche come editoriale della newsletter, e quindi poi ho lasciato la missione a mezz'aria, ma ora è giusto che sto post torni a ricoprire il posto per cui era stato concepito, pur se in ritardo.
“Come se ogni pensiero che immaginavi nella mente fosse così intelligente che ti sembrava un crimine non condividerlo”.
Il New Yorker definisce i dialoghi di Aaron Sorkin per “Social network” “i migliori ascoltati dai tempi di Ben Hect e Preston Sturges”. In questi giorni ho trovato anche molto bellini i dialoghini de “La prima cosa bella”, ma riconosco che la frase che il babbo di fb si sente sparare dalla ex folgora.
Isole Andamane, ragazzi. Tappa breve, umida e sedentaria. Breve, umida e sedentaria. Aggettivi che non fanno onore a Port Blair e neanche ai nostri partner in loco. Ma tiro dritto, perché altrove voglio andare.
Una delle sensazioni più marcate è stata quella di sentirsi disegnati addosso i panni dei benefattori. Però è quello che è successo. Nella stanza di un'abitazione costruita dopo lo tsunami. Noi seduti su sedie. 50 donne indiane a terra, a raccontarci delle loro esperienze nei gruppi di mutuo auto aiuto cui appartengono.
Quand'ecco che una di loro prende la parola e noi non capiamo nulla delle sue accorate frasi fino a quando la traduttrice non ci sintetizza in inglese: "Vuole ringraziarvi personalmente per il bene che state facendo arrivando qua da così lontano a supportarle. Lei non avrebbe mai immaginato che potesse capitarle una cosa simile nella sua vita e non capisce perché voi lo facciate, ma vuole ringraziarvi".
Capisco che necessito di corsi di formazione per potere accogliere ringraziamenti affini senza desiderare di smaterializzarmi. Forse dovrebbe esistere una controfigura, agli antipodi del sempre buon Benjamin Malaussene (professione: capro espiatorio), qualcuno capace di rimanere lì, impassibile e sorridente, salvatore servitore e quelle cose lì. No perché, non faccio per dire, quando la ragazza del collegio c’indirizza un ringraziamento che sa di: “Prima di venire qui non sapevo che le donne avessero dei diritti, grazie a voi l’ho imparato”, a me viene da pensare ai coriandoli, ai paguri e a Houdini. Troppo imbarazzato e a disagio per accogliere dei grazie che mi spettano fino ad un certo punto.
Invece, a sorpresa, rimango lì serio e compiaciuto. Perché so cosa dire. In India, come in Nicaragua, come in Moldova o in Congo. Sappiamo cosa dire.
"Non siamo noi. Chi ha deciso di aiutarti sono loro, gli abitanti della nostra Diocesi".
Sarebbe stato un crimine non condividerlo?
“Come se ogni pensiero che immaginavi nella mente fosse così intelligente che ti sembrava un crimine non condividerlo”.
Il New Yorker definisce i dialoghi di Aaron Sorkin per “Social network” “i migliori ascoltati dai tempi di Ben Hect e Preston Sturges”. In questi giorni ho trovato anche molto bellini i dialoghini de “La prima cosa bella”, ma riconosco che la frase che il babbo di fb si sente sparare dalla ex folgora.
Isole Andamane, ragazzi. Tappa breve, umida e sedentaria. Breve, umida e sedentaria. Aggettivi che non fanno onore a Port Blair e neanche ai nostri partner in loco. Ma tiro dritto, perché altrove voglio andare.
Una delle sensazioni più marcate è stata quella di sentirsi disegnati addosso i panni dei benefattori. Però è quello che è successo. Nella stanza di un'abitazione costruita dopo lo tsunami. Noi seduti su sedie. 50 donne indiane a terra, a raccontarci delle loro esperienze nei gruppi di mutuo auto aiuto cui appartengono.
Quand'ecco che una di loro prende la parola e noi non capiamo nulla delle sue accorate frasi fino a quando la traduttrice non ci sintetizza in inglese: "Vuole ringraziarvi personalmente per il bene che state facendo arrivando qua da così lontano a supportarle. Lei non avrebbe mai immaginato che potesse capitarle una cosa simile nella sua vita e non capisce perché voi lo facciate, ma vuole ringraziarvi".
Capisco che necessito di corsi di formazione per potere accogliere ringraziamenti affini senza desiderare di smaterializzarmi. Forse dovrebbe esistere una controfigura, agli antipodi del sempre buon Benjamin Malaussene (professione: capro espiatorio), qualcuno capace di rimanere lì, impassibile e sorridente, salvatore servitore e quelle cose lì. No perché, non faccio per dire, quando la ragazza del collegio c’indirizza un ringraziamento che sa di: “Prima di venire qui non sapevo che le donne avessero dei diritti, grazie a voi l’ho imparato”, a me viene da pensare ai coriandoli, ai paguri e a Houdini. Troppo imbarazzato e a disagio per accogliere dei grazie che mi spettano fino ad un certo punto.
Invece, a sorpresa, rimango lì serio e compiaciuto. Perché so cosa dire. In India, come in Nicaragua, come in Moldova o in Congo. Sappiamo cosa dire.
"Non siamo noi. Chi ha deciso di aiutarti sono loro, gli abitanti della nostra Diocesi".
Sarebbe stato un crimine non condividerlo?
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