giovedì 6 settembre 2018

Ricordi di Moldova


Quando ho saputo che sarei partito per la Moldova ero molto scettico, vedevo i nomi delle altre destinazioni dei Cantieri di Caritas: Kenya, Bolivia, Haiti, nomi certamente esotici che generalmente si crede abbiano bisogno degli aiuti maggiori, e pensavo “Cos’è la Moldova? Cosa ci vado a fare lì?”. Nonostante le perplessità iniziali, il colloquio con Sergio, le giornate di formazione e i racconti delle nostre coordinatrici sul posto, Faustina e Lisa, hanno fatto crescere in me l’interesse verso questo campo e, con il senno di poi, a ragione.

La parola d’ordine di queste 2 settimane è stata ADATTAMENTO: con i miei compagni di viaggio ci siamo ritrovati in una realtà, quella dei villaggi, tanto interessante quanto complessa e contraddittoria. Se da un lato le strade sono per la quasi totalità sterrate e piene di buche, la gente si muove con cavalli e carretti, i bagni non hanno le fognature, l’acqua viene ancora presa dai pozzi e si fa fatica ad arrivare a “fine mese”; dall'altro, però, le scuole sono dotate di Wi-Fi e a volte di lavagne multimediali, e i bambini, seppur con vestiti e scarpe consumati, hanno gli ultimi modelli smartphone, che purtroppo sono necessari per mantenere i contatti con i genitori molto spesso lontani per lavoro in Italia o in Russia.

Ma andiamo ai fatti. 2 settimane passate nei villaggi di Voloviţa e Floriţoaia Veche, durante le quali la nostra attività principale prevedeva al mattino l’organizzazione di giochi, balli, scenette e lavoretti con i bambini, mentre nel pomeriggio, dei lavori socialmente utili alla comunità del villaggio come pulire la chiesa o andare ad assistere gli anziani con qualche lavoro in casa.
Il campo con i bambini è stato ricco di sorrisi, gioia e divertimento, ma anche di molta fatica, ripagata però dalla felicità che gli occhi dei bambini esprimevano nel momento in cui incrociavi il loro sguardo, mentre erano impegnati nelle varie attività. Intenso è stato l’incontro con Roman, un bambino che un giorno si è presentato in stampelle e, nonostante le sue difficoltà nei movimenti ha insistito per partecipare a tutti i giochi e le attività con grandissimo entusiasmo. Ma quello che mi ha colpito veramente è stata la fiducia che i bambini riponevano in noi: nonostante fosse la prima volta che ci vedevano, fin da subito si sono fidati ciecamente di quello che proponevamo, spingendoci a dare ancora di più per cercare di non lasciarli delusi.

Durante i lavori sociali, invece, abbiamo avuto degli incontri molto toccanti: a partire da quello con un uomo che aveva perso una gamba e cercava come meglio poteva di curare da solo la sua casa, dal momento che tutta la sua famiglia era all'estero, oppure quello con una signora che abbiamo aiutato a pulire le noci che voleva vendere, per cercare di integrare la pensione bassissima. Situazioni di grande povertà che mi hanno permesso di capire un po’ più dall'interno la comunità nella quale ero ospitato e sentirmi in qualche modo parte di quel mondo che mi ha permesso di fare un salto indietro nel tempo, a quella che, secondo i racconti dei nonni poteva essere l’Italia pre-guerre.

Mi sono trovato faccia a faccia con una povertà, una rassegnazione che mai mi sarei immaginato di trovare in un paese europeo a 2 ore d’aereo dall'Italia e spesso mi chiedevo come questo paese potesse rialzarsi, migliorare le condizioni di vita dei propri abitanti, quale futuro ci potesse essere per i giovani, ma non sono riuscito a trovare una risposta. L’incontro con Igor, presidente di Diaconia ha confermato la peggiore sensazione: non c’è futuro per Moldova se non quello di essere in futuro annessa alla Romania o alla Russia e ho pensato a come i volontari moldavi potessero sentirsi nell'ascoltare queste parole. Nonostante tutto, abbiamo comunque sperimentato una generosità, un’ospitalità e una voglia di festa incredibili e ti rendi conto che “Sono sempre i più poveri a donare di più” non è più solo una delle tante frasi fatte, ma qualcosa che si può toccare realmente con mano. Questo mi ha fatto ricordare quanto bello possa essere sentirsi veramente accolti, anche da qualcosa o qualcuno completamente diverso da te, ed è allora che riesci a entrare nella relazione con l’altro, perché non ci sono più barriere, sei solo tu e il bambino che sorride per il gioco appena concluso, tu e l’anziana che ti ringrazia perché le hai dato un piccolo aiuto in casa.


Emanuele Bosetti

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