Quando ho saputo che sarei partito per
la Moldova ero molto scettico, vedevo i nomi delle altre destinazioni dei
Cantieri di Caritas: Kenya, Bolivia, Haiti, nomi certamente esotici che
generalmente si crede abbiano bisogno degli aiuti maggiori, e pensavo “Cos’è la
Moldova? Cosa ci vado a fare lì?”. Nonostante le perplessità iniziali, il
colloquio con Sergio, le giornate di formazione e i racconti delle nostre
coordinatrici sul posto, Faustina e Lisa, hanno fatto crescere in me
l’interesse verso questo campo e, con il senno di poi, a ragione.
La parola d’ordine di queste 2
settimane è stata ADATTAMENTO: con i miei compagni di viaggio ci siamo
ritrovati in una realtà, quella dei villaggi, tanto interessante quanto
complessa e contraddittoria. Se da un lato le strade sono per la quasi totalità
sterrate e piene di buche, la gente si muove con cavalli e carretti, i bagni non
hanno le fognature, l’acqua viene ancora presa dai pozzi e si fa fatica ad
arrivare a “fine mese”; dall'altro, però, le scuole sono dotate di Wi-Fi e a
volte di lavagne multimediali, e i bambini, seppur con vestiti e scarpe consumati,
hanno gli ultimi modelli smartphone, che purtroppo sono necessari per mantenere
i contatti con i genitori molto spesso lontani per lavoro in Italia o in
Russia.
Ma andiamo ai fatti. 2 settimane passate nei
villaggi di Voloviţa e Floriţoaia Veche, durante le quali la nostra attività
principale prevedeva al mattino l’organizzazione di giochi, balli, scenette e
lavoretti con i bambini, mentre nel pomeriggio, dei lavori socialmente utili
alla comunità del villaggio come pulire la chiesa o andare ad assistere gli
anziani con qualche lavoro in casa.
Il campo con i bambini è stato ricco di
sorrisi, gioia e divertimento, ma anche di molta fatica, ripagata però dalla
felicità che gli occhi dei bambini esprimevano nel momento in cui incrociavi il
loro sguardo, mentre erano impegnati nelle varie attività. Intenso è stato
l’incontro con Roman, un bambino che un giorno si è presentato in stampelle e,
nonostante le sue difficoltà nei movimenti ha insistito per partecipare a tutti
i giochi e le attività con grandissimo entusiasmo. Ma quello che mi ha colpito
veramente è stata la fiducia che i bambini riponevano in noi: nonostante fosse
la prima volta che ci vedevano, fin da subito si sono fidati ciecamente di
quello che proponevamo, spingendoci a dare ancora di più per cercare di non
lasciarli delusi.
Durante i lavori sociali, invece,
abbiamo avuto degli incontri molto toccanti: a partire da quello con un uomo
che aveva perso una gamba e cercava come meglio poteva di curare da solo la sua
casa, dal momento che tutta la sua famiglia era all'estero, oppure quello con
una signora che abbiamo aiutato a pulire le noci che voleva vendere, per
cercare di integrare la pensione bassissima. Situazioni di grande povertà che
mi hanno permesso di capire un po’ più dall'interno la comunità nella quale ero
ospitato e sentirmi in qualche modo parte di quel mondo che mi ha permesso di
fare un salto indietro nel tempo, a quella che, secondo i racconti dei nonni
poteva essere l’Italia pre-guerre.
Mi sono trovato faccia a faccia con
una povertà, una rassegnazione che mai mi sarei immaginato di trovare in un
paese europeo a 2 ore d’aereo dall'Italia e spesso mi chiedevo come questo
paese potesse rialzarsi, migliorare le condizioni di vita dei propri abitanti,
quale futuro ci potesse essere per i giovani, ma non sono riuscito a trovare
una risposta. L’incontro con Igor, presidente di Diaconia ha confermato la
peggiore sensazione: non c’è futuro per Moldova se non quello di essere in
futuro annessa alla Romania o alla Russia e ho pensato a come i volontari
moldavi potessero sentirsi nell'ascoltare queste parole. Nonostante tutto,
abbiamo comunque sperimentato una generosità, un’ospitalità e una voglia di
festa incredibili e ti rendi conto che “Sono sempre i più poveri a donare di
più” non è più solo una delle tante frasi fatte, ma qualcosa che si può toccare
realmente con mano. Questo mi ha fatto ricordare quanto bello possa essere
sentirsi veramente accolti, anche da qualcosa o qualcuno completamente diverso
da te, ed è allora che riesci a entrare nella relazione con l’altro, perché non
ci sono più barriere, sei solo tu e il bambino che sorride per il gioco appena
concluso, tu e l’anziana che ti ringrazia perché le hai dato un piccolo aiuto
in casa.
Emanuele Bosetti
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