Dove sono finiti i sogni di
Beirut?
E’ la domanda che riecheggia
nelle nostre teste, dopo che incontriamo un rifugiato o una migrante in questa
città, piena di interrogativi irrisolti.
A questa domanda dà risposta Majdi,
allenatore della squadra femminile di basket di ragazze palestinesi che abitano
nel campo di Shatila, “Real Palestine Youth F.C.”, ci dice che i ragazzi al campo palestinese non
hanno sogni perché il loro destino è miseramente segnato da quei pochi, umili e
sottopagati lavori che hanno il permesso di fare.
In Libano infatti i palestinesi
hanno pesanti restrizioni lavorative, che permettono loro di lavorare solo in 20 tipi di professioni. Non è
concesso loro esercitare alcuna professione che preveda l’iscrizione ad un albo,
nonostante non sia negato loro l’accesso all’università e quindi il
conseguimento di una laurea.
In questo contesto l'impegno di
Majdi come allenatore assume ancora più importanza, poiché dà a queste ragazze una passione, un
modo di realizzarsi e svagarsi e una possibilità di aprirsi sul mondo, grazie a
tornei internazionali.
Lo stesso vale per i profughi
siriani, noi ne abbiamo incontrati alcuni al campo di Tel Abbas, i quali si trovano in condizioni lavorative molto
simili a quelle dei palestinesi. Sono fortunati se trovano lavoro nei campi e
prima iniziano a lavorare meglio è per tutta la famiglia. A ciò si aggiunge
l’astio dei Libanesi che spesso accusano
i siriani di sottrarre loro il lavoro poiché disposti ad accettare salari più
bassi.
I loro figli crescono già
disillusi, con poche speranze per il futuro e pochi ricordi della terra che
hanno lasciato, ma con tanta energia, come ogni bambino, che troppo spesso sfocia
in violenza incontrollata se non si dà loro qualcosa di bello per cui valga la
pena faticare.
Vista da uno dei centri
I bambini che abbiamo incontrato quest'estate nei centri cosa potranno sognare oltre quei cancelli che guardano con occhi grandi e
innocenti?
Chiediamo a Peter, un bambino
del centro cosa vuole fare da grande e non ci sa rispondere, dopo essere
incalzato con proposte di lavori fantasmagorici quali lo speaker radiofonico,
l’astronauta,
il calciatore ci dice: “l’impiegato e stare davanti al computer”.
Stanno tagliando la fantasia a
un bambino di 9 anni, o forse la normalità è per lui il sogno più grande.
Per tutte le persone che abbiamo
incontrato la normalità è il sogno, ma sembra ancora lontano.
Non possiamo che ripeterci le
parole di Ben Harper: “You have a right to your dreams and don’t be denied
believe in a better way”.
Giò, Molly, Cla, Giuly, Mary,
Michè, Vero, Sos
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