martedì 25 luglio 2017

Kenya. Tornerò un giorno, questa è una promessa che mi sono fatta.

Non lo sapevo prima di partire, non lo avrei mai immaginato, ma il mio cuore, la mia mente stavano aspettando il Kenya. Io, il mio essere, stava aspettando il Kenya.
Era anni che desideravo partire per una missione, ma per mancanza di coraggio o futili motivi non mi decidevo mai. Poi quest'anno la svolta.
Mi sentivo vuota, incastrata in una vita che non sentivo più mia, alla continua ricerca di un senso, di risposte, e così ho deciso: avevo bisogno di un cambiamento, di qualcosa che mi facesse sentire davvero viva.
E così sono partita, con tanta insicurezza e paura di non farcela, lo ammetto, ma dall'altra parte anche con tanta gioia e voglia di conoscere, vedere e ascoltare persone e situazioni da me lontane, ma senza aspettative, con la mente più aperta possibile, per accogliere dentro di me ogni cosa, ogni sensazione, positiva o negativa che avrebbe potuto presentarsi.
Non so ancora descrivere bene ciò che sto provando stando qui, e forse non ci riuscirò neanche quando sarò tornata. Le sensazioni sono così forti così totalizzanti che descriverle mi sembrerebbe quasi di sminuirle.
Posso dire che ogni giorno sento, e sono circondata da calore, da amore. Le testimonianze di chi lavora e vive qui da anni mi riempiono, mi instillano la voglia di essere migliore, di dare e non tirarmi mai indietro. Mi fanno capire che quando “aiuti” sei in realtà tu che vieni aiutato perchè la gioia, l'amore che ricevi in cambio è un dono talmente prezioso da non avere prezzo.
Le persone kenyane con i loro sorrisi, i loro abbracci mi fanno sentire più a casa qui che in italia, dove molte volte si è troppo impegnati da se stessi per ricordarsi che un sorriso è capace di abbattere ogni muro, ogni barriera, e che l'indifferenza verso l'altro rende aridi.
Non è tutto positivo però. La povertà, la sofferenza, la disperazione che mi circondano mi fanno sentire impotente, una privilegiata che non potrà mai capire fino in fondo le persone del luogo. C'è così tanto da dare qui ma così poco con cui aiutare.
Inoltre non si è sempre accettati, la parola “musungu”, straniero con un'connotazione dispregiativa, si sente spesso. Gli sguardi non amichevoli non sono rari, e noi donne siamo trattate da alcuni kenyani più come oggetti che come persone.
Ma tutto ciò non rende negativo il mio stare qui, perchè c'è molto più affetto e vicinanza che estraneità e disprezzo.
Manca poco meno di una settimana al mio ritorno, e so già che mi mancherà tutto del Kenya. Tornerò un giorno, questa è una promessa che mi sono fatta.
Ringrazio per quest'esperienza che mi ha posto di fronte a mille domande, che mi ha riempita di dubbi, e che non è mai stata banale, né vuota.
Grazie Kenya.

Sara


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