Non lo sapevo prima di partire, non lo
avrei mai immaginato, ma il mio cuore, la mia mente stavano
aspettando il Kenya. Io, il mio essere, stava aspettando il Kenya.
Era anni che desideravo partire per una
missione, ma per mancanza di coraggio o futili motivi non mi decidevo
mai. Poi quest'anno la svolta.
Mi sentivo vuota, incastrata in una
vita che non sentivo più mia, alla continua ricerca di un senso, di
risposte, e così ho deciso: avevo bisogno di un cambiamento, di
qualcosa che mi facesse sentire davvero viva.
E così sono partita, con
tanta insicurezza e paura di non farcela, lo ammetto, ma dall'altra
parte anche con tanta gioia e voglia di conoscere, vedere e ascoltare
persone e situazioni da me lontane, ma senza aspettative, con la
mente più aperta possibile, per accogliere dentro di me ogni cosa,
ogni sensazione, positiva o negativa che avrebbe potuto presentarsi.
Non so ancora descrivere bene ciò che
sto provando stando qui, e forse non ci riuscirò neanche quando sarò
tornata. Le sensazioni sono così forti così totalizzanti che
descriverle mi sembrerebbe quasi di sminuirle.
Posso dire che ogni giorno sento, e
sono circondata da calore, da amore. Le testimonianze di chi lavora e
vive qui da anni mi riempiono, mi instillano la voglia di essere
migliore, di dare e non tirarmi mai indietro. Mi fanno capire che
quando “aiuti” sei in realtà tu che vieni aiutato perchè la
gioia, l'amore che ricevi in cambio è un dono talmente prezioso da
non avere prezzo.
Le persone kenyane con i loro sorrisi,
i loro abbracci mi fanno sentire più a casa qui che in italia, dove
molte volte si è troppo impegnati da se stessi per ricordarsi che un
sorriso è capace di abbattere ogni muro, ogni barriera, e che
l'indifferenza verso l'altro rende aridi.
Non è tutto positivo però. La
povertà, la sofferenza, la disperazione che mi circondano mi fanno
sentire impotente, una privilegiata che non potrà mai capire fino in
fondo le persone del luogo. C'è così tanto da dare qui ma così
poco con cui aiutare.
Inoltre non si è sempre accettati, la
parola “musungu”, straniero con un'connotazione dispregiativa, si
sente spesso. Gli sguardi non amichevoli non sono rari, e noi donne
siamo trattate da alcuni kenyani più come oggetti che come persone.
Ma tutto ciò non rende negativo il mio
stare qui, perchè c'è molto più affetto e vicinanza che estraneità
e disprezzo.
Manca poco meno di una settimana al mio
ritorno, e so già che mi mancherà tutto del Kenya. Tornerò un
giorno, questa è una promessa che mi sono fatta.
Ringrazio per quest'esperienza che mi
ha posto di fronte a mille domande, che mi ha riempita di dubbi, e
che non è mai stata banale, né vuota.
Grazie Kenya.
Sara
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