giovedì 8 novembre 2007

To Nairobi...

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Dopo la bellezza di tre settimane “kegnane” (in dellokese si dice così) forse era anche l’ora di mettere la testa in quel di Nairobi-town (che poi, tradotto, vuol dire: dopo tre settimane di durissimo e intensissimo lavoro finalmente siamo riusciti a prendere una giornata di riposo e svago! Eh eh…si scherza ovviamente…). Giusto per fare chiarezza…non è che io e Stefano, ops…io e “Teto” viviamo fuori Nairobi…semplicemente c’è la town (centrocittà) e al di fuori i suburbs (quartieri periferici, tra cui il nostro…KAHAWA!!!).


Assistiti dall’autista/amico/babysitter Ambros (si DEVE leggere con pronuncia alla milanese), unico africano nella storia a prensentarsi in anticipo a un appuntamento, prendiamo, per la prima volta nella vita, il mezzo di trasporto per eccellenza a Nairobi…il matatu (una sorta di minibus da 14 posti), ovviamente sempre stracolmo e mai troppo affidabile in quanto a tenuta (il nostro, dopo cinque minuti, si è improvvisamente fermato: non c’era più benzina…dopo la giusta attesa –ricordiamoci che siamo in Africa- l’autista è tornato con una tanica che ci ha permesso di ripartire…ma è normale così, per ogni matatu che funziona ce n’è sempre uno sul ciglio della strada in fase di riparazione con cinque o sei kegnani impegnati a tamponare le numerose falle del veicolo). Per non parlare dei veri e propri numeri dei conducenti nel pauroso traffico cittadino.


Insomma…giungiamo in town. Avevamo alcune impellenze da sbrigare, tra cui acquistare un libro per l’apprendimento del kiswahili e…una chitarra per il sottoscritto (un invito per l’esimio collega Dell’Oca: quando passi da Nairhobi porta palline e palloni da giocoliere…io con la chitarra e tu con i tuoi numeri, calcistici e non, sbanchiamo la piazza!!!). Ma per il resto ci siamo proprio goduti una bella giornata da turisti. E tutto sommato la città si presta a questo scopo.


Merita una citazione l’argomento-sicurezza. Nairobi è detta anche “Nairobbery” (solo per Paolo: robbery means “rapina”) per l’elevato tasso di furti e truffe ai danni dei turisti. Proprio oggi, in un incontro-scambio avuto con alcuni comboniani, abbiamo conosciuto due volontarie italiane reduci, alla loro prima visita in town, da una mega-truffa con alcuni locali che si sono finti poliziotti (secondo ben informati forse erano veri poliziotti) che, intimando di arrestarle, hanno poi preso loro tutti i soldi. Ebbene…date le tante avvisaglie, io e Stefano eravamo assolutamente preparati a fronteggiare qualsiasi tentativo di raggiro. E, a dir la verità, in tanti ci hanno, più o meno, provato…ma non c’è stato proprio verso. Eh eh…curioso come, di fronte al tentativo di un uomo che, sostenendo che ci fossimo già conosciuti (forse in un’altra vita…), voleva che lo seguissimo, non so bene dove, per aiutarlo a riparare la sua auto (?!?!?!?!?!), e, dopo tanta insistenza, tanti tentativi, tante argomentazioni, ma soprattutto, dopo l’assoluta noncuranza mia e di Stefano, se ne sia andato lanciandoci un sonorosissimo “VAFF…beeeeeeeep…LO” in perfetta lingua italiana!!!


Saluti a todos, Ema

martedì 6 novembre 2007

Acque etiopi

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S.P.P.C. Office, 16e37
Ok, si é fatto tempo. Precipito la telecamera, il microfono. Ke poi è la tastiera. Tastiamone il sound subacqueo. Giovedì 18 ottobre.

Forse li cercavo. Non che lo sapessi, s’intende. Però mi sa che avevo bisogno duna partenza del genere.

Se non mi spingeva in piscina io non ci sarei mai entrato. Camminavo intorno, cauto e piantato sulle mattonelle bourdeaux, guardando curioso gli altri bambini; al massimo mi sedevo e, dondolando un piede nell’acqua clorata, provavo ad immaginare come sarebbe stata quella freddezza moltiplicata per tutto il corpo; guarda: avrei potuto anke abbassare un pokino la gamba, in questo modo, x avere un’idea un attimo più… splash, ALLARME: un corpo estraneo sulla mia skiena, mano umana, mano d’istruttrice di nuoto, ha premuto improvvisamente, come si è permessa, mi ha ucciso, ora muoio, forse no. La pagano per farlo? Bel lavoro di (se qualcuno sa giocare a taboo le parole proibite sono: gabinetto inter cioccolata letame pampers) si è scelta. Che io non ci volevo venire, ma poi dopo la mamma mi compra le patatine fritte e allora.
Sono qua da 2 giorni. Il 1° ho dormito. O meglio, avrei potuto dormire, ma ero un po’ emozionato, così con Stefania abbiamo fatto un joco ke consisteva nel versare semi di legno in una piccola piattaforma bucherellata. In senso orario. In Costa d’Avorio lo chiamano “Auallà”, all’Italia basti sapere che non si tratta proprio di un impiego da ninja, è una sorta di “Non t’arrabbiare” africano. Take it easy. Ti ricordi ch’ero sfinito e non vedevo l’ora d arrivare x dormire? Appunto. Comunque il 1° è andato + o meno così.

Poi c’erano Maurizio Il Capo e i Due Kegnani ke han perso il volo… e anke qui, non è che l’abbiano proprio perso. Non è tecnicamente corretto scrivere così. Il volo è partito in anticipo d’un paio d’ore senza dir gnente, capita. A te è mai capitato? A me no. Ai kegnani una volta. A Maurizio due. Forse allora è uno dei 4 ke? Non sta  a me. Fattostà ke mentre il loro aereo decollava erano a ridere con me d Stefagna: men3 le controllavano il passaporto 1 virus paralizzò il computer del suo funzionario aeroportuale. Avrei riso meno qdo lo stesso virus avrebbe bloccato il mio intestino, ma in qel momento ero ancora Qello Ke Non Si Ammala Mai.


A dirla popo tutta non è neanke esattissimo sostenere ke i compari kenioti (c’è la regola: se ci fanno una bella figura si scrive “kegnani”, altrimenti “kenioti”) sian completamente esenti da.. (inferno innocente Alfredo tribunale confessione): lo stewart ha provato a spiegargli ke dovevano imbarcarsi, imaerearsi. Ma Emanuele, the best anglophone among us (e da qua si capisce comè ke Sara m’ha omaggiato di un tipico prodotto di artigianato locale: una collana Etiope, composta da piccole punte cui è attaccato un medaglione metallico, molto tradizionale, con incisi in ordine: il mio nome, il mio indirizzo qua ad Addis, il suo numero di telefono e la scritta in amarico “TI SUPPLICO RIPORTAMI A CASA”. Così se lo dovessi perdere melo riportano o kiamano lei ke sa la lingua. Basta parentesi, interrompono il discorso), ma Emanuele, scrivevo, non ha voluto sentir ragioni. Non era in effetti concepibile a 4 piccole, aguzze menti occidentali come le nostre, che un aereo partisse prima. A maggior ragione essendo le nostre menti cresciute a pizze ingollate durante italike interminabili attese in ogni luogo, specie dove c’è un mezzo d trasporto da prendere. Maurizio, sornione, probabilmente lo sapeva (l’alternativa sarebbe dare anke a lui della piccola mente, e la mia non mi pare gerarchicamente la posizione + confortevole x farlo, considerato che lui ha in mano il mio biglietto di ritorno. O dovevo averlo io? Stefààniaaaaa…) ma tuttosommato gli garbava una giornata ad Addis.

Bello, però, ke sia partito prima? Sì, bello ke abbiam passato una giornata d + insieme, ma bella intendo proprio l’idea del partire prima. Melo vedo il capitano ke butta un occhio dietro, ci sono già un po’ di viaggiatori e magari lui a Nairobi se arriva presto va a vedersi la partita di rugby subacqueo e allora toglie il freno a mano e fa un fiskio alle hostess ke vadano giù di mimo. Prima parti, prima arrivi, è scientifico.


Tergiverso? Tergicristallo? Sono qua da 2 giorni. Il 1° avrei dovuto dormire. Il secondo non avrei potuto farlo.

Il terzo sono andato a visitare il carcere di Sheno.

Forse li cercavo. Quando non sai cosa cerki fino a qdo non lo trovi (tipo volevo scrivere Oceanomare, non lo sapevo e  poi l’ho letto). C’inciampo contro in una camerata, durante il giro di visita alla prigione. La camerata. Una stanza un po’ grande per 2 persone, meno per 200. Lunga, con 2, 3 file parallele di giacigli ininterrotti. Come tripli letti a castello a venti piazze, e però ad ogni piano si dorme in 50. Beh, io son lì con 2 suorine in borghese d qelle ke prima d spedirle sulla Terra le han calate nell’acciaio fuso, la pubblicità della nike dovrebbero farla loro mica Cantona. Invece ke sollevarsi il colletto della maglietta, loro solleverebbero gli angoli della bocca. Beh, son lì con loro ke mica lo capisci ke son suore e con il vicedirettore ke mica lo capisci kè un vicedirettore. Io me  lo aspetterei quantomeno un po’ burbero un vicedirettore dun carcere etiope, molto burbero un direttore. Più burbero 6, + l’arrampicata sociale alla torretta del penitenziario è easy… Beh, lui non è berbero; e neanke burbero. O meglio, non mi sembra. In partenza devo stare attento alla parvenza.

Forse li cercavo. Ero lì da 2 giorni. Non sai ke li cerki fino a quando… trovati. Le esaurienti parole in amarico coinciso del vice direttore sono esaurite, alcuni secondi per roteare lo sguardo nella stanza. Poi roteo il collo, e c’è un inmate. Un carcerato, un prigioniero,un detenuto, un condannato. Ma uno, eh, non 4. Reo di qualcosa? No… cosa c’entra? Dipende, non necessariamente. Occhi negli occhi (..), duri come il diamante, ci posso fare la punta della matita. Comè possibile? Abba Girma nel suo briefing  sopravvivenza m’ha avvertito: “Non saprai mai cosa pensa di te la gente: non siamo europei, faccia e mente sono scollegati. E in + noi sappiamo cosa pensi tu, e ti sorridiamo se ci sorridi”. Orcaz, almeno i bosniaci erano ermetici ma portavano a spasso una maskera truce, ke t ricordava ke non erano x forza entusiasti d sentire cos avevi da dire.  Qua invece è + complesso perchè le persone si mostrano miti, anke nel carcere paion tranquille. Non credo qdi ke lui fosse stanco d esserlo, semmai era stanco d sembrarlo. Aveva rinunciato per qualche respiro a sfoggiare dei lineamenti innocui, per scandirli. E ki t’incontra mentre li scandisce? Paolino. Ancora + facile ke li scandisca dopo avermi visto. Non perché sono io, non credo. O forse sì ma.

Nei suoi occhi c’è scritta una cosa e la so senza leggerla, ma la sa lui e la sapete anke voi. E non ha senso parlare di politica internazionale, ma neanke in inglese, anzi, non ha senso parlare proprio. Specie il 3° giorno ke sono qua. Il senso qui è unico e va da lui a me. Non son concessi feedback.
Perché sei qua?

Melo kiedi tu ke forse non hai scelto di essere qua. E comunque non hai scelto di trovarti la mia bella faccia di fronte.

Già. Telo dico ke questavolta le patatine fritte non c’entrano?

Paolo

colazione da Gemini

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mentre i nostri cari kenioti piantano grano a piedi scalzi, paolo rimane fuori dalla “disco più in” di addis con un rotolo di carta igienica e i boliviani si mangiano i manicaretti della nonna luisa..e dal nicaragua tutto tace..la fra che non si ammazza certo di lavoro decide che forse non è più il caso di andare in giro con le scarpe rattoppate e piena di fiducia si avventura in città..

la prima tappa è stata il mercato...beh sì un po' mi sono persa però ho anche scoperto che quelle scarpe col taccone e la punta lunghissima che qui hanno praticamente tutti e che io vorrei provare sono quasi passate di moda così un po' rattristata mi sono spostata sulla via principale dove ogni centimetro quatrato compresi i marciapiedi è ricoperto di negozi di tutti i tipi aperti praticamente sempre..quindi mi sono detta vuoi vedere che non le trovi le scarpine lì??

mi stupisce come possano esistere tanti negozi che vendono le stesse cose precise identiche, mi stupisce che le cose di “qualità” vengano dall'Italia e mi vergogno che per un paio di scarpe che da noi costerebbero 100 euro qua se ne chiedono almeno 150, per un cappotto invece 600..peccato che gli stipendi siano un decimo di quelli italiani.. mi stupisce soprattutto come i prezzi siano proibitivi per molti (anche per me!) e bassi per pochi altri che invece potrebbero comprarsi tutto..

e poi all'improvviso è arrivato babbo natale..sì sì proprio lui quello con la barba e il vestitone rosso quello che beve la famosa bibita con le bollicine..beh in questo non voglio essere polemica però immaginate la mia faccia quando il 3 di novembre mi sono girata e ho visto un negozio pieno di babbi natali...non me lo aspettavo mica io!

Ma non divaghiamo torniamo alle scarpine..ad un certo punto sono entrata in un portone che sembrava l'ingresso di un negozietto e invece dentro era una cosa gigantesca pieno di banchetti tipo al mercato...Gemini si chiama..

allora un po' timorosa ma curiosissima mi ci sono avventurata ed ad un certo punto ho anche cercato di comprare qualcosa sofderando le uniche quattro parole di romeno imparate..solo che lì mica parlano tutti russo??? ohi ohi!

Ma io non mi sono fatta prendere dal panico e volevo portare avanti la mia missione..fino a che nell'ennesimo banchetto di scarpe alzo la testa e trovo un sacco di lampadari..che chiaramente non potevano essere lì solo di bellezza..scarpe e lampadari...allora ho capito che questa città non può fare altro che stupire..

poi stremata dalla giornatina sono tornata a casa..del pullman vi racconto la prossima volta..

Sabato magari con un dizionario russo-italiano ritento lo shopping non si sa mai che trovo il lampadario che mi piace!!

fra

lunedì 5 novembre 2007

Da Addis a Milano passando da mosca

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Avrà 7 anni, ei nostri volti sono praticamente adesi, a 4 millimetri di vetro l’uno dall’altro (Roberto D’Avanzo suda). Una distanza inespugnabile. Una distanza culturale. Ci sono esseri volanti ke trascorrono ore ad andarci a sbattere contro, dicono: “Com’è possibile? Io sono una mosca, vedo di là ma non vado di là, non riesco, ke ccaspita succede?”. Il mistero della trasparenza: o qualcuno gli rimuove la lastra ostacolante o la mosca presto o tardi farà il giro da un’altra stanza. Mosca estrarrebbe il pendolino, Vespa cerkerebbe le porte in mezzo alle quali collocare un plastico per spiegare agli italiani la situazione. E io? Lo spacco quel vetro? Qualcuno melo apre? Devo passare per un’altra parte? Ke differenza c’è tra me ed una mosca? Se volassi cambierebbe qualcosa? E se volessi?

Lei è una talentuosa attrice. Io dico che diventerebbe anke una portentosa regista. Maurizio, in visita pastorale, è seduto davanti sul sedile del copilota e sparla senza filtro dell’Area Internazionale di Caritas; quando s’interrompe, e lo so. Il paradosso è difficile da sostenere a lungo: lei è lì fuori, appiccicata al finestrino all’interno del quale io appoggio la testa. È vicinissima, tenta di entrarmi nella coscienza passando dal canale uditivo. Pronuncia colla sua vocina un tedioso sortilegio amarico: le parole non le riconosco ma il messaggio credo sia: “Dammi un birr, perfavore, ricco uomo bianco. Ho fame”. Un birr ammonta ad 1\13 d euro, 7 centesimi e 69, in caduta libera. In precedenza sia io ke Maurizio avevam tentato di farla desistere, cosa c’è di poco chiaro nella parola “No”?

C’è che ci troviamo contro una verità, e quando joki contro la verità se 6 bravo puoi puntare al pareggio. O almeno, io non conosco nessuno ke abbia mai propriamente vinto contro la verità. La postulante sa benissimo ke a un certo momento corrisponderà un punto di rottura; ci saremo rotti a sufficienza e saremo disposti a pagare per liberarci, per scollarla dal vetro, per cacciarla nel cestino del desktop inconscio. E riavere la mia vita dove l’avevo lasciata: proseguire la conversazione comodo, dalla parte calda del finestrino. Agghiacciante. Dov’è la mia cerebralità a difendermi? No, il Vangelo non c’entra, tienilo fuori, non può essere semplificato così. Perché il Vangelo è complesso, giusto? È un messaggio articolato intendibile solo da colti studiosi. Ho colto giusto, nevvero? È cultura alta e va interpretato. O è cultura altra, ke è meglio interpretare, si sa mai ke dica qcsa d veramente scomodo?

Posso calarmi nei patetici panni della vittima: il vero povero sono io, piccola. Sono io che provengo dalla società del benavere, e tu ke conosci il benessere. Io dipendo dai miei consumi, dalle mie proprietà, dai miei sogni con logo; beata la tua libertà, e beata te ke sei capace d accogliere con gratuità. La mia lietezza ha la data di scadenza, dev’essere rimpinguata quotidianamente, un’idrovora. Tu sopravvivi nelle relazioni, conosci la vita. Ancora qualke riga e son capace d invidiarti.

leina

Uff, sbocco, mi districo da qsta dicotomia erroneamente impostata (iuuhhuu) e rifletto ke questioni irrisolte han preso il volo con me, clandestine trai 30 kg d valigie e ora sela sbrazzano x Addis Abeba come amici immaginari al mio seguito, con un particolare: sono grandi il doppio d come li avevo lasciati; ingigantiti da una certa discriminazione razziale maskerata. Pochi giorni dopo avrej portato l’immondizia di casa ai bidoni della pattumiera (un compito di grave responsabilità che Stefania mi ha affidato confidando nelle mie potenzialità); giacciono questi, romboidali come enormi caccia imperiali aperti, abbandonati ai lati della nostra somala via. Sono perennemente strapieni: una mattina son passato di lì, ho visto ke li avevano svuotati, son ripassato dopo un’ora ed erano di nuovo zeppi. Illusioni ottike. Beh, mi avvicino coni miei 3 sakketti d skifo, qdo un ragazzino salta giù dalla cima di uno dei cumuli odorosi e mi si porta discretamente incontro, un po’ a lato. Non serve un master in antropologia culturale per identificare la sua richiesta.

E io faccio finta di niente. Faccio brillantemente finta di niente. Non ci penso molto, viene così, istintivo.

Oplà, scaglio i miei rifiuti sopra la nave madre di una tribù d moske e inverto la rotta. Dopo una decina d metri mi giro, i sakketti stan venendo ravanati e non è un x-file pronosticare ke saranno anke trai + preziosi della giornata. Per fortuna non ho assistito ad una contesa tra + ragazzini per il diritto alla prima perquisa. E non sono ragazzini, amico, sono bambini. Ma io non ci riesco, i bambini jocano, tutt’al + sono anestetizzati dalla tele, ma non sguazzano nella monnezza. Vero? Torno a casa. Non vorrej lezzare oltre quella porzione di mondo colla mia hypocrisia. Tipo: fai quello ke vuoi colla mia immondizia, ma aspetta almeno ke io mi allontani. Mi sa ke a Milano io quei sakketti li avrej consegnati al piccolo rom.. Ma mi sa anke ke qa li consegnerò. Il tempo di trovare dei puntifissi.

scialuppa di salvataggio?
Se non mangiavo il prosciutto cotto nel piatto di plastica argentea, Suor Gianpaola mi invitava a pensare ai bambini africani ke morivano d fame. E qualcuno trai + audaci le poteva rispondere “E portaglielo, ai bambini africani”. La reazione era rivoluzionaria, ma non illogica: mica dovevamo diventare obesi come piccoli yankee x’ ci veniva detto ke da un’altra parte del pianeta qualcuno non sarebbe morto se avesse avuto quel piatto; quasi fosse colpa nostra. Senzi d colpa. Al fine d ponderare melio lo studio di fattibilità del pranzo successivo, sotto lo sguardo materno di Sister Gianpaola: “È fattibile ke io mangi ciò?”. Ora se volessi educarmi allo stesso modo (se fossi 1 bambino) potrej kiedermi qualcosa tipo “Mangia, dài, pensa ai tuoi vicini di casa”. Già, po3j uscire e dar via la mia terrificante carne in scatola avanzata.

Oh, ieri l’ho quasi fatto. Mi sono alzato da tavola, ho preso il piatto, Stefania (+ attenta all’igiene) m’ha invitato a mettere il cibo in un tovagliolo, e l’ho portato nel nostro cortile. Dopo alcune ora il gatto aveva quasi sciolto la carta a furia di leccare, niente avanzi degli avanzi per le moske.

Traetene ciò ke, allungo una battuta di Jack Folla in un dialogo (non c sono vetri ke tengano alla fine del mondo).

- Sta x venire l’Apocalisse e non ho niente da mettermi.
- Ah, e quando arriva?
- Boh..
- Oh, allora c’è tempo..
- Io vado a fare shopping


paolo

venerdì 2 novembre 2007

AMICIZIE DA COLTIVARE...

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Eccomi qua...dopo qualche giorno di assenza dal blog è giunto il momento di ragguagliarvi un po' sulla situazione qui in quel di Nairobi.

Innanzitutto un invito a Paolo...tranquillizza mia mamma!!! Dopo la “Lettera al Direttore” mi ha chiamato e mi ha detto: “Cosa è successo?” “Sta male?” e io a tener botta ma a un certo punto mi fa “Ma Paolo è normale?”...non ho saputo rispondere...

Insomma quando la conta dei ragni ti dà un po' di tregua bastano due righe e la fai contenta!

Ma torniamo a noi....

Oggi vi racconterò del nostro primo incontro informale con i Cafasso Boys...ora vi domanderete: “Ma chi sono sti Cafasso Boys?”.

Sono dei ragazzi che dopo aver trascorso 4 mesi al YCTC (Youth Correctional Training Center), unico carcere minorile in Kenya per chi compie il primo reato di lieve entità, hanno avuto la possibilità di entrare a far parte della St. Joseph Cafasso Consolation House.

La casa è stata aperta nell'Aprile del 2006 su idea di Sister Raquel, la nostra “capa” (senza offesa Maurizio...), e ha come obiettivo un positivo reinserimento nella società di questi ragazzi.

Dove eravamo rimasti...ah al primo incontro informale coi ragazzi. Informale perchè fino a quel momento gli incontri erano sempre stati “ufficiali”, con tanto di presentazione e quanto ne segue...ma questa volta siamo arrivati di sorpresa!!!

Arrivati alla casa vediamo che 3 dei 7 ragazzi che abitano la struttura sono intenti alla semina del grano. Ci avviciniamo per salutarli e intanto scruto la loro “attrezzatura”...allora ci sono due zappe, dei semi di grano di pannocchie vecchie ma soprattutto mi chiedo: “Dove sono le scarpe?”...niente, tutto a piedi nudi...certo qui la primavera è appena iniziata ma sono le 3 di pomeriggio e a sensazioni siamo più vicini ai 30° che ai 25°.

Non facciamo in tempo a salutarli e vedo che Emanuele si toglie i sandali e “apparentemente” disinvolto raggiunge i ragazzi nella shamba...sarà che avrà i piedi “testati” dal cammino di Santiago di questa estate ma apprezzo il coraggio!

Passano forse 30 secondi e un ragazzo mi fa “Go ahead!”...mi giro ma non c'è nessuno...mi tocca...mi tolgo prima le scarpe, poi le calze e infine mi arrotolo i pantaloni fino alle ginocchia...sono pronto!

Il primo passo è un po' come quando si va al mare a fare il bagno...con l'alluce tasto il terreno per sentire la temperatura...alla fine mi faccio forza e affondo/sprofondo il mio primo passo nella shamba...poi il secondo, il terzo e...sono arrivato da loro. Non è stato così terribile, anzi la sensazione è piacevole anche se bisogna stare attenti alle vecchie sterpaglie e ai sassolini che se ti finiscono sotto i piedi...son dolori!

A questo punto la curiosità è tanta perciò proviamo a dare qualche zappata ma la carenza di forza e soprattutto la paura di affettarci qualche dito dei piedi ci fanno ripiegare sulla semina...alle zappe ci pensano loro che sono più esperti!

Il lavoro è questo: uno davanti con la zappa che zappa e dietro, in questo caso noi, c'è chi semina...quindi buttare tre semini di grano nella buca e coi “piedini” ricoprire di terra il tutto.

Il nostro “lavoro” è durato un oretta e mezza circa, giusto il tempo farci diventare i piedi belli rossi ma soprattutto per iniziare a conoscere i ragazzi con i quali staremo per tutto il prossimo anno...e da quel poco/tanto che ho capito mi sembra di poter dire che sono proprio simpatici e ben disposti nei nostri confronti.

Insomma i primi semini sono stati buttati...alla prossima!!!

Stefano

giovedì 1 novembre 2007

Cochabamba, Bolivia, primi passi da occidentali (Europei).

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4 ottobre 2007, Marco (25, ingegnere gestionale) e Giulia (27, scienze della comunicazione), SCE in erba, giungono a Cochabamba, BOlivia.

Un po' di più della città e della cultura boliviana, i due l'hanno conosciuta grazie a una Cochabambina incontrata durante il viaggio: lei, Miranda, faceva ritorno alla terra natìa dopo sette anni vissuti a Bergamo insieme alla famiglia di cinque figli.

Scesi dall'aereo, frastornati, ci togliamo in fretta gli strati di abiti autunnali italianissimi per sentirci un po'più locali: 2600 metri di altezza, sì, ma con il secco e il caldo di un luglio siciliano.

Pochi minuti di attesa e arriva Padre Eugenio: bergamasco, direttore e uomo tutto fare della Caritas di qui, nostro primo essenziale punto di riferimento. Saliamo sul suo furgone nero e vissuto (alla A-team), una corazza che nesconde andinissime fantasie interne, e arriviamo al nostro alloggio.

Beh, in questo primo periodo, vivremo niente-po-po-di-meno-chè presso il Vescovo di Cochabamba, Monsignor Tito: lui, impegnatissimo, c'è poco, lo incontriamo solo durante qualche pasto; ma la sua casa è grande e accoglie altre volontarie italiane - Ester e Alessandra - qualche Padre e due studenti di teologia con cui sperimenteremo il nostro tentennante spagnolo..e poi c'è l'immancabile "perpetua" Luisa, che cucina come le nostre nonne quando i quattro salti in padella non entravano nelle nostre TV..

La giornata si conclude alla pizzeria "Sole Mio", di origine napoletano - ligure, dove ci sbaffiamo una gustosa pizza cucinata a forno a legna. Padre Eugenio non manca di spiegarci perchè ci abbia portato lì: pare che le altre cucine locali avrebbero avuto standard igenici poco tollerati dal nostro stomaco immacolato.."mah, sperimenteremo" ci siamo detti io e il Marco.

Quella notte abbiamo provato a dormire, ma il fuso orario ha svegliato alle 3 e 30 la Giulia!

più fortunello il Marco: il gallo sotto la sua finestra gli ha cantato il buongiorno alle 4..

Ora dice che si è abitauto (ma non escludo che, al gallo, gli abbia tirato il collo)

Altre:

Nei giorni seguenti, scopriamo che i panni ce li dovremo lavare perchè la lavatrice della casa funge solo da mobile. Per questo, al momento, è in corso un'azione diplomatica volta a spingere il Padre-Amministratore della casa di MOnsignor a fare il grande acquisto per i giovani volontari (che forse esportano un po'di bamboccianesimo): d'altra parte siamo ormai una forza numerica piuttosto nutrita e, anche per questo, potremmo spuntarla...

INoltre e perfortuna, le volontarie conosciute, hanno ben presto pensato di aggiornarci sui costumi toilettistici locali. Data la precarietà delle fogne della città, dovremo ricordarci di gettare la carta igenica - piuttosto ruvida - nei cestini e non nel water: se facciamo il contrario i cessi si intasano.. e sturarli non è molto piacevole (parola di Ester, la volontaria)..

Infine, abbiamo iniziato sin dal giorno successivo al nostro arrivo, a visitare qualche realtà in cui potremmo iniziare a lavorare a partire da gennaio: le carceri. Questa esperienza "diversa", però, la raccontiamo un'altra volta!

UN saluto
Giulia

martedì 30 ottobre 2007

arrivi e partenze moldavi

4 commenti:
Ecco sì direi che a una settimana dalla partenza è arrivato il momento di scrivere anche per me!

di questi giorni mi piacerebbe potervi fare vedere tutte le immagini che ho in testa, potrei raccontarvi di chisinau che con il suo autunno d'oro mostra la sua bellezza, oppure delle campagne e delle oche al pascolo che poi alla sera tornano da sole dai loro padroni, restando in tema potrei raccontarvi degli ospiti non troppo desiderati che dividono la cucina con noi, oppure degli autobus e i microbus, del mercato, della portinaia e delle vecchine o dell'allacciamento a internet passando dalla finestra e dall'appartamento del vicino, potrei ancora scrivere della povertà materiale e della storia del paese e della forza di volontà e gentilezza delle persone che mi hanno accolta..

ma mi sa che per questa volta vi regalo un incontro..

mercoledì con elisa e oleg siamo andati a Leova dove Diaconia, che è l'Associazione che mi ospita nel servizio civile, segue alcuni progetti..nu nu non ve li voglio mica raccontare tutti però voglio farvi conoscere la famiglia del parinte (sacerdote ortodosso) di quella cittadina..per me è stao prezioso incontrarli.

ad un certo punto della giornata piena di incontri e stimoli mi sono trovata di fronte a una mamma giovanissima che oltre ad occuparsi dei suoi quattro bambini con suo marito (il parinte) ha deciso di ospitare in casa sua altri tre bambini in modo tale che non vengano istiuzionalizzati negli internat (dei grossi orfanotrofi), insieme hanno poi organizzato una mensa sociale e un centro per il volontariato e ora si stanno lanciando in un progetto per informare sulla tratta di esseri umani..magari viste da occhi italiani quete cose possono sembrare belle, ma io sono convinta che siano molto più che belle..non si tratta solo di azioni come potrebbero essercene di molte altre, quello che mi colpisce è che questa famiglia non si è fermata di fronte alla sua povertà materiale aspettando che qualcuno aiutasse lei e la sua comunità, ma con semplicità ha investito la sua ricchezza di generosità e questo ha portato frutti e certo un grande impegno e fatica.

Quando ci hanno accompagnati a vedere la mensa che stanno finendo di costruire, abbiamo incontrato la mamma del parinte, ci ha raccontato che è stata in italia per un po' di tempo e che adesso aspettava a giorni di tornare con tutti i documenti in regola...ci ha detto del suo dispiacere di partire e lasciare la figlia ancora adolescente, il figlio e i nipotini, ma poi mentre parlava ci ha spiegato la sua contentezza perchè grazie al suo lavoro aveva potuto aiutare il figlio nel suo desiderio di migliorare le condizioni della sua comunità ed era contenta per davvero.

Così il pensiero è volato in italia a tutte quelle badanti che troppo spesso vengono considerate come numeri che devono rientrare in un decreto flussi e che invece fanno dei grandi sacrifici e ho pensato che la storia di questa signora e della sua famiglia dovevo proprio raccontarvela!

A presto!

fra

mercoledì 24 ottobre 2007

Ultima lettera al direttore

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Oct 24, 2007

17:21

Addis Abeba, base

Direttore Dottore Don D'avanzo, duongiorno.

Le digito questa missiva informatica al fine di aggiornarLa riguardo un misfatto; si tratta simultaneamente duna revisione finale della mia esperienza come Volontario in Servizio Civile Nazionale all’Estero, la cui durata era stata prevista d’un anno ma pare ridimensionata dall’impatto del mio organismo con la terra etiope; Le esplico in seguito.

Intanto Le rammento della bontà della nostra relazione: io e Lei mai 1 diverbio, mai una parola d troppo, mai neanche una parola. Bene, sulla scorta di questa cementata fiducia reciproca, procedo colla presentazione della situazione; mi ritrovo in Etiopia insieme alla collega Dott.ssa Cardinale, sotto una doppia responsabilità: siamo stati affidati in loco alla Dott.ssa Carcatella, mentre dalla sua sauna italica finge di seguire le nostre mosse il Dottor Maffi.

Porto alla Sua conoscenza lo schifoso malessere in cui è incorsa la mia persona nella giornata di oggi; senza entrare in dettagli gastrici, le descrivo la mia condizione: allo stremo delle energie, sguardo catalettico sul soffitto a tenere d’occhio i ragni più carismatici, che forse percepiscono la mia indegenza e son pronti a calarsi su me per finirmi o forse vogliono farsi vicini alla mia sofferenza. Probabilmente entrambe le versioni rispondono a verità. La Caritas profetizzò: “La vostra casa avrà dei bei bagni”, sbagliando una consonante.

Sono fortunato: il Dottor Maffi è passato da Addis domenica 21 e si è fermato un po’; una decina d giorni, una settimana? No. Pausa teatrale, respiri a fondo. 50 ore. Appena 50 ore. Il tempo d mangiare a sbafo al nostro desco, d farsi benedire e poi parte, tacendo che non si tratta d una sosta, ma d’un banale scalo al ritorno da Nairobi, il cui progetto è evidentemente + redditizio, e i cui volontari sono + quotati. Quindi Maffi è corso ora in Italia a preparare a noi (e agli amati kegnani) l’accoglienza per dicembre, e non mi sarà punto d’aiuto.


Sono fortunato: le Dott.sse Carcatella e Cardinale si prenderanno cura di me; d’altronde dottoresse sono e sapranno come restituirmi alla normalità. La Carcatella enuncia le lodi duna zigulì e mela fa ingollare. La Cardinale s’affretta ad appoggiarla, millantando come lei in passato sia guarita popo con quella caramella. E poi, sghignazzando, non indugiano oltre ed escono a divertirsi. Abbandonandomi.

Sono fortunato: mi sono fatto un amico, si chiama Secchio Blu, ed essendo un secchione potrebbe conoscere le ricette per la mia guarigione. Fino a quando son riuscito a strisciare me lo trascinavo ovunque, sapeva rendersi utile.. come dire? Accogliendo una parte d me. Ora abbiamo innegabili tratti in comune: zero mobilità e capacità nulla di verbalizzare il nostro pensiero (troppo affaticante), e so che lui, secchio secchio delle mie brame, rimarrà al mio fianco quando tirerò le cuoia; ai ragni in una disperata ultima difesa. E saprà accogliere le Sue lagrime quando il Suo elicottero privato Caritas La deporrà nel nostro giardinetto, Lei, mio ultimo Direttore, a piangere le mie spoglie. Leggerà allora queste mie righe, che non ho possibilità d farle giungere se non provando a scagliarle fortissimo verso il suo ufficio dal momento che qua, nonostante le numerose rassicurazioni ricevute prepartenza, Internet non c’è.



Tranquillizzo amici e parenti: Caritas Ambrosiana ha scelto al meglio l’assicurazione, la mia salma tornerà in Italia senza che voi spendiate un bir, per un massimale ammontante a 15.000,00 euro a carico di Unipol S.p.A., eventuale recupero della salma e cerimonia funebre escluse.

In un estremo accorato saluto, avanzo perplessità riguardo la condotta dello staff alle sue dipendenze nei confronti dei quali confido saprà prendere misure adeguate; a presto (…).

Suo Paolo


Ps. Per quanto è in suo potere le suggerisco di evitare che questa lettera trapeli in spazi informatici troppo pubblici, son consapevole non costituisca un’eccezionale propaganda per la Sua Associazione e non desidero provocarle ulteriori dispiaceri. Men che meno dare adito al pensiero che sia mossa da intenzioni, che so.. vendicative. Non sono – non erano - nel mio carattere e mi sorprenderebbe scoprirle in punto d morte.

Kenya news

5 commenti:
A proposito del viaggio già avete saputo da Stefano…io posto qui solo un paio di immagini.

La prima è appunto simbolica del nostro arrivo a Addis e della rocambolesca perdita del volo per Nairobi. Notare l’espressione affranta di Stefano e Maurizio!!!

La seconda riguarda invece la messa di domenica scorsa, nella quale, all’interno dei vari festeggiamenti legati alla Giornata Missionaria Mondiale, io e Stefano abbiamo partecipato alla processione dell’offertorio. Oltre a noi c’erano anche altri giovani e ognuno, oltre a portare un dono, rappresentava un continente: Stefano giustamente l’Europa, io invece l’Asia. Tutto ciò con le vesti colorate che potete vedere.

Ok…buona visione e un carissimo saluto a tutti!!!

Ema



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lunedì 22 ottobre 2007

Paolo: Addis, Addis: Paolo

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Oct 22, 2007

21:34 pm

Addis

Ho 1 tot d materiale da buttare giù, qcsa arriverà al blogh, qcsa altrove. Non so cosa ho intenzione d scrivere ora, ma mi sa kei primi posti saranno oqqpati da cornici, già. Così voi capite come scrivo, e poi potrete melio capire cosa scrivo. Qdo mauriziomaffi m’avviserà con una mail in tono cortese ma fermo, d fermarmi o di cortare; o qdo sarò stufo d scrivere e qello ke v resterà sarà un mukkio d ludike intro, d contorni d niente.


Vediamo.. un giorno magari v parlo della casetta, nostro nido damarico. Mio e d Stefania, la ragazza d (“Dovè ke vivi tu, Stefania?”, “A) Monte San Biagio”, vicino a Latina, collega&coinqilina. Per ora v teletrasporto appena fuori ma appena dentro; ho una vera veranda (non veneranda, e vabbeh) in cemento: dondolandomi sul mattone ove siedo, la mia linea d’orizzonte si stende fino a 4 metri, come il filo dei panni, dove si scontra, avendo la peggio, col confine muro cancello; come il filo dei panni. Ma se sguardo in alto vedo un cielo solcato da volatili mitologici metà corvi metà falki metà avvoltoi (in Africa l’epica e l’algebra si prendono a gran cazzotti sul becco). Okkio a passarc sotto durante i loro attakki d dissenteria, danno un’aria preistorico apocalittica ad una capitale africana ke.

Ke sta indietro nel tempo dal momento ke è in vigore il calendario giuliano, è il 2000, qdi io ho 19 anni e un sogno: aprire un export Italia Etiopia d prodotti italiani scaduti. E tra 7 anni manderemo i nostri fogli presenza e d conseguenza tra 7 anni saremo retribuiti.

Ke è zeppa d maggioloni e muli ke passeggiano a braccetto x ampie strade lasciandosi vivere, mentre i pedoni si divertono ad aspettare l’ultimo momento x muoversi d 1 casella in avanti, facendoti inkiodare il pedale del freno nella makkina mentre t prevedi in un carcere locale, dentro x omicidio colposo, kel progetto sulle carceri lo si segue melio da un pto d vista interno. Internato.


Ke si kiede cosè lo sviluppo, sfoggiando malinconike carcasse d edifici per cui si avevano i soldi e poi non si avevano +, dove scucendo 100 neuri puoi andare al concerto d Beionsè. Dura 3 ore e lei riesce a stare ad Addis 2 ore e mezza; dura, eh?

Ke per il Millenium (e qdo rimiro i falki + grossi posso Solo pensare a Han) brilluccica come un flipper tricolore, con rosso giallo verde lampeggianti appesi ogni secondo; per fortuna c sono pokissimi semafori se no. Dove le bandiere sinnalzano tanto qto il Bir (la moneta locale) si affossa, ma è un po’ acerbo l’anno x un’analisi politica economica etiope.

Ke marted mattina ciò messo un mukkio d tempo ad uscire come un bolo dal Bole (l’aeroporto) e appena fuori Zed m’ha detto “Paolo, qesta è Addis”, e io l’ho guardata e non ho pensato a molto, solo ke mi piaceva ke me l’avesse presentata. Ke poi continua a farlo. Ki è Zed? Beh, legittimo, non lo sapete, al massimo 4 tra voi han fatto qa il sevizio civile; Zed è il marito d Sara.

Ke ora mi faccio 1 film, ieri qualcuno volò sul nido del cuculo e cera 1 supergiovane Doc d Ritorno al futuro e volevo kiedergli dovè nascosta la Delor x volare lì a Natale come il migliore Mc Fly, ma poi sono incappato nel cuculo ke m’ha dato del fifone, sfidandomi, volevo rispondergli insultandolo ma ho avuto un attacco d balbuzie e gli ho dato del cuculo; allora volevo farne un cappone, ma con un kappaò qualc1 volò dal nido del cuculo e vado a vedere il film, ok?

Paolos