sabato 7 settembre 2013

Bolivia 2013: Visita al carcere San Antonio


Siamo a Cochabamba da neanche 48 ore quando per cinque di noi avviene il primo incontro con una realtà diversa e tipicamente boliviana: il carcere San Antonio.
La visita è prevista per domenica, ore 9. Sabato pomeriggio, durante la prima esplorazione della cancha (l’immenso e labirintico mercato coperto di Cochabamba), ci fermiamo a comprare enormi pacchi di pasta e confezioni formato famiglia di biscotti e caramelle per i bambini. 
Alt. Un attimo.
Bambini? In Carcere?!
Ebbene sì, in Bolivia tutta la famiglia entra in carcere. Mogli e figli, di qualunque età, seguono l’uomo di casa e restano a vivere in prigione con lui per tutta la durata della pena,  possono uscire per andare a scuola e svolgere le commissioni quotidiane ma scontano sostanzialmente una pena uguale a quella del padre-marito-carcerato. 
La cosa mi lascia non poco sorpresa, per non dire sconvolta. 
Cresce l’attesa per la visita.
Domenica mattina ci avviamo finalmente verso il carcere con David, volontario veronese che vive con noi alla Casa del Volontario, e Nicola, missionario laico ex bergamasco, ormai cochabambino. Fuori dal carcere ci recupera l’hermana Maria de Los Angeles, uragano di donna che si occupa dei carcerati e delle loro esigenze, spirituali e non.
Dividono ragazze e ragazzi per una perquisizione personale: niente telefoni, niente macchine fotografiche, niente di niente a parte le fotocopie dei nostri passaporti.
Perquisiti e timbrati, entriamo. 
All’inizio la sensazione è un po’ quella di essere un pesce in una boccia di vetro, migliaia di occhi ti scrutano, incuriositi dal tuo essere bianco ed occidentale. Se poi sei una ragazza, gli sguardi intensi aumentano e ti mettono anche un po' in imbarazzo.
Assistiamo tutti insieme alla messa nel cortile del carcere e al termine passiamo alla distribuzione di caramelle e biscotti, con i quali ci “compriamo” la simpatia dei bambini che, abbandonata ogni remora, si avvicinano sorridenti. 
Il delegato, cioè il rappresentante dei detenuti, si offre per una visita guidata. Visitiamo, in rapida successione: le cucine, sudice e maltenute, la sala comune, dove un centinaio di persone guardano rapite il magico strumento, cioè la televisione, i bagni, per i quali vi risparmio ogni descrizione. 
Qui ogni cosa è un piccolo mondo a sé: c’è calle del commercio, dove la sera è meglio non passare perchè si spaccia droga, il cortile del carcere dove ogni giorno si svolgono le varie attività lavorative che permettono ai carcerati di mantenersi, le celle. Queste ultime mi hanno particolarmente stupito: dei minuscoli loculi di compensato costruiti uno sopra l’altro in ordine sparso dove tutta la famiglia vive, cucina, dorme e fa i compiti. 
La nostra guida ci spiega che in Bolivia la giustizia, se così la si può chiamare, ha un funzionamento tutto suo: intanto ti portano in carcere, poi se e quando capiterà l’occasione verrai giudicato. Ci sono persone che sono in carcere da anni in attesa di processo per aver rubato un telefonino, altre che devono pagare i poliziotti per poter uscire e assistere alle udienze. Quando entri in carcere devi mantenerti, lo stato ti passa una minima diaria ma il resto è a tuo carico, per questo i detenuti lavorano e portano in carcere mogli e figli, non avrebbero altro modo di mantenerli all’esterno.
San Antonio è stato costruito per ospitare 150 persone, attualmente sono 600. 
Chiamiamolo sovraffollamento...
Caritas, con i suoi volontari, si occupa delle esigenze di tutte queste persone: promuove gli incontri con i componenti della famiglia che non sono entrati in carcere, in modo che i legami non si spezzino e sia più facile ricostruirsi una vita una volta fuori; quando è possibile cerca di offrire un minimo di assistenza legale; compra medicinali e va a fare la spesa (a David è toccato peregrinare un giorno per tutti i macelli di Cocha per cercare due teste di mucca...) per organizzare estemporanee feste; recupera i materiali necessari alla falegnameria e agli artigiani-detenuti, i cui prodotti saranno poi venduti grazie sempre all'aiuto di Caritas.
Ci sono tante cose da fare e, anche se l'entusiasmo non manca, ogni tanto è difficile star dietro a tutto. 
Vsita terminata, il delegato ci congeda, usciamo ammutoliti e sconcertati.
Una boccata d'aria, non dimenticheremo molto presto quello che abbiamo visto.

Camilla

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