“E’ davvero un gesto maleducato”.
Con queste parole César Cocarico, ministro boliviano
della terra e dello sviluppo rurale ha rifiutato il ‘regalo’ prodigalmente
offerto al suo Paese dal grande miliardario americano Bill Gates.
La notizia è stata riportata dal Financial Times,
ripresa da diversi quotidiani di tutto il mondo e giunta anche sotto i miei
occhi. Lo scorso mese di giugno il fondatore della Microsoft ha annunciato di
voler distribuire, per mezzo di un’organizzazione umanitaria, un totale di 100mila galline in dono ai Paesi più
poveri del mondo e nella lista dei beneficiari, accanto a diverse nazioni
dell’Africa subsahariana, compare anche la Bolivia. “E’ chiaro che chiunque stia vivendo in
condizioni di estrema povertà migliorerebbe la propria situazione se avesse dei
polli da allevare. Se io fossi nei loro panni è questo quello che farei,
alleverei dei polli”, scriveva il ricco filantropo sul suo blog, con tutte le migliori intenzioni, ma con un effetto piuttosto straniante.
“Pensa che viviamo
ancora nella giungla, senza sapere come si produce”, è stata la reazione
stizzita del membro del governo di Evo Morales. “Con tutto il rispetto,
dovrebbe smetterla di parlare della Bolivia, informarsi, e una volta imparato qualcosa in più, scusarsi con noi.
Non abbiamo bisogno dei suoi polli, abbiamo la nostra dignità”.
Dietro questa
risposta mi è sembrato di intravedere un pezzo di storia dell’America Latina.
La Bolivia, ricorda l’articolo, alleva 197 milioni di polli
all’anno e ne esporta 36 milioni. Nell’ultimo decennio l’economia del Paese è
cresciuta tre volte tanto, e secondo le stime nel 2016 crescerà del 3,8%, più
di tutti gli altri paesi dell’area latino americana.
A poche ore dalla partenza per Cochabamba, la mia valigia è quasi completa ed è proprio questo episodio
a tornarmi in mente.
“Se io fossi nei loro
panni”- “If I were in their shoes” -
è la frase che mi rimbalza in testa. Un ragionamento per assurdo. Un ‘periodo
ipotetico della irrealtà’, che esprime tutta la siderale distanza di chi, in quei panni, e in quelle scarpe, non ci entrerà
mai.
Aspettando che venga il momento
di prendere l’aereo che mi porterà
dall’altra parte dell’Oceano, mi dico che forse è anche dal “se fossi” e “se
avessi”che sto provando a scappare, che è proprio questa la distanza che voglio provare a
percorrere.
Non da turista, non da ‘filantropa’
e nemmeno da missionaria.
Non vedo l’ora di approdare in
Bolivia, anzi di ‘sconfinare’, come dicono quelli di Caritas Ambrosiana. Ma
non è mia intenzione portare doni poco graditi. Né, tantomeno, far ridere i polli…
Franci R.
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