giovedì 28 luglio 2016

Bolivia: i polli di Bill Gates e una distanza da percorrere

“E’ davvero un gesto maleducato”. 
Con queste parole  César Cocarico, ministro boliviano della terra e dello sviluppo rurale ha rifiutato il ‘regalo’ prodigalmente offerto al suo Paese dal grande miliardario americano Bill Gates
La notizia è stata riportata dal Financial Times, ripresa da diversi quotidiani di tutto il mondo e giunta anche sotto i miei occhi. Lo scorso mese di giugno il fondatore della Microsoft ha annunciato di voler distribuire, per mezzo di un’organizzazione umanitaria, un totale di 100mila galline in dono ai Paesi più poveri del mondo e nella lista dei beneficiari, accanto a diverse nazioni dell’Africa subsahariana, compare anche la Bolivia.  “E’ chiaro che chiunque stia vivendo in condizioni di estrema povertà migliorerebbe la propria situazione se avesse dei polli da allevare. Se io fossi nei loro panni è questo quello che farei, alleverei dei polli”, scriveva il ricco filantropo sul suo blog, con tutte le migliori intenzioni, ma con un effetto piuttosto straniante.
“Pensa che viviamo ancora nella giungla, senza sapere come si produce”, è stata la reazione stizzita del membro del governo di Evo Morales. “Con tutto il rispetto, dovrebbe smetterla di parlare della Bolivia, informarsi, e una volta imparato qualcosa in più, scusarsi con noi. Non abbiamo bisogno dei suoi polli, abbiamo la nostra dignità”. 
Dietro questa risposta mi è sembrato di intravedere un pezzo di storia dell’America Latina.
La Bolivia, ricorda l’articolo, alleva 197 milioni di polli all’anno e ne esporta 36 milioni. Nell’ultimo decennio l’economia del Paese è cresciuta tre volte tanto, e secondo le stime nel 2016 crescerà del 3,8%, più di tutti gli altri paesi dell’area latino americana.

A poche ore dalla partenza per Cochabamba, la mia valigia è quasi completa ed è proprio questo episodio a tornarmi in mente.
“Se io fossi nei loro panni”-  “If I were in their shoes” - è la frase che mi rimbalza in testa. Un ragionamento per assurdo. Un ‘periodo ipotetico della irrealtà’, che esprime tutta la siderale distanza di chi, in quei panni, e in quelle scarpe, non ci entrerà mai.

Aspettando che venga il momento di  prendere l’aereo che mi porterà dall’altra parte dell’Oceano, mi dico che forse è anche dal “se fossi” e “se avessi”che sto provando a scappare, che è proprio questa la distanza che voglio provare a percorrere.

Non da turista, non da ‘filantropa’ e nemmeno da missionaria.

Non vedo l’ora di approdare in Bolivia, anzi di ‘sconfinare’, come dicono quelli di Caritas Ambrosiana. Ma non è mia intenzione portare doni poco graditi. Né, tantomeno, far ridere i polli…

Franci R.

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