Piazzi i
calzini in fondo al cassetto. Dopo capisci che non ha senso che stiano dietro
le coperte di cambio: quelle non le usi
mica tutti i giorni. Riponi le camicie sulla mensola in alto in alto, ma poi ti
rendi conto che neanche le vedi e ogni mattina è una scommessa sapere quale sta
in cima alla pila.
Mettere la
cosa giusta al giusto posto. E aprire al momento giusto il giusto cassetto.
A volte mi
sembra che la vita funzioni come un armadio.
Hai un certo numero di spazi e sta
a te decidere come disporre le cose. Se mettere lo studio nell’anta grande o in
quella piccola. Se impilare la famiglia sopra gli amici o viceversa. Poi compri
un nuovo cappello e decidi di metterlo a lato della sciarpa, così come inizi un
nuovo corso di Zumba e lo metti di fianco al portar fuori il cane. Magari
alcune magliette ti hanno stancato, proprio come la pallavolo, e decidi di
cacciarle nell’angolo per far posto a canottiere nuove. Per non parlare dei
catastrofici cambi di stagione: preso da foga maniacale prendi e sbatti tutto
il guardaroba invernale in puzzolenti scatoloni di plastica finchè non passa
questo caldo infernale. Come quando non superi un esame o litighi col fidanzato
e hai una gran voglia di buttare tutta la tua vita in un sacchetto di plastica senza
neanche metterci un foglietto profumato dell’Ikea.
Non è facile
gestire un armadio. Io ad esempio sto imparando solo ora a chiudere le ante. Il
mio ragazzo mi rimprovera sempre ogni volta che vede che le lascio socchiuse.
Anche nella vita trovo difficile aprire un cassetto alla volta: aprire,
chiudere, aprirne un altro, chiuderlo. Mi lascio prendere dall’entusiasmo e
voglio fare tutto, scegliere sia i pantaloni che le mutande in contemporanea
così va a finire che mi vesto un po’ a caso. Però a volte è difficile
affrontare le cose con ordine, dare priorità ad un impegno e solo dopo prestare
attenzione allo scaffale!
Adesso fremo
per aprire lo sportello grande anche se è ancora tempo di concentrarsi sul
cassetto degli esami. Ma non resisto più! C’è qualcosa lì dentro che mi sta
chiamando. Mi chiama da tutta la vita forse. Anni fa era solo un sussurro, il
brusio dei folletti che vivono tra la polvere e i guanti. Poi è diventata
sempre più intensa, profonda, e da anni riecheggia incessante dai visceri del
mobile. Solo pochi mesi fa mi sono convinta a darle retta e ho preso la
decisione di partire per un Cantiere della Solidarietà con Caritas Ambrosiana,
ad Agosto, in Libano.
Alcuni la
chiamano “vocazione” per il volontariato, un po’ come quella che ti spinge ad
entrare in seminario. Ecco, direi che una voce in un mobile non è esattamente
comparabile alla Voce di Dio. Però in effetti io sento qualcosa che “vocat”. È qualcosa
di più simile a una di quelle dichiarazioni sibilline mistico-esistenziali che
rivela il cowboy dai baffi bianchi nei film americani. Non sai bene come
interpretarle, ti lasciano lì un po’stranito a guardare il vecchio che galoppa
verso il deserto. Razionalmente non le comprendi. Ma una parte di te le capisce
eccome. Non viviamo soltanto pensando, nella vita non prendiamo solo scelte
sensate. Perché dopo mesi di studio non preferisco lucertolare sotto il sole?
Non lo so! Ma è quello che voglio, che provo, sulla mia pelle.
Non so
spiegare logicamente perché lo faccio, non riesco a dare una risposta sensata.
Posso dire perché non lo faccio però: non lo faccio perché penso di poter
salvare il mondo. Non lo faccio tanto per fare qualcosa di alternativo. Non lo
faccio per amore del rischio, né per far vedere come sono coraggiosa ad andare
nel Paese vicino alla guerra Siriana, né per farmi ammirare ben che meno
compatire. Non lo faccio neanche perché spero di cambiare la vita a qualcuno.
Però lo
faccio. E lo facciamo in tanti.
Forse è
questo che conta.
Magari
dentro quest’armadio non troveremo Narnia, ma il cowboy mi ha detto che non ci
deluderà.
Cla :)
Nessun commento:
Posta un commento