Come al
solito mi ritrovo all’ultimo a fare le cose.
Prima di
una partenza, prendo (e perdo) sempre troppo tempo in occupazioni più o meno
importanti: un calcetto, una serie tv, un libro, il lavoro o il solo dormire.
Per le
ultime ore lascio i momenti più importanti: salutare gli amici, preparare la
valigia (quanta fatica ogni volta! ), ascoltare le ultime raccomandazioni in
famiglia e mettere giù due pensieri.
Dove vai in
vacanza quest’anno?
Questa è la
domanda più gettonata degli ultimi mesi.
In Kenya,
rispondi. A fare volontariato.
Lo dici un
po’ a bassa voce, come per tenerlo per te, e un po’ con il cuore pieno di
orgoglio, forse troppo. Troppo, perché inevitabilmente non è una scelta
di tutti i giorni.
Sai che la
tua risposta sorprenderà comunque l’altro e a volte pensi di passare per quello
snob, per quello che “io faccio solo cose di questo tipo, io sì che sono un
uomo di mondo”, anche se sai bene che non è così.
Sai anche che mentre lo dici, stai pensando a tutto fuorché immaginarti su quell’aereo che ti porterà dritto a Mombasa.
Arrivano
gli esami, la sessione estiva sembra non finire più. Passi nottate sui libri
con i compagni di università e dai tutti gli esami per concederti poi il
meritato riposo. Riposo? Sì, riposo. Ma dove?
- “Dov’è
che vai che non mi ricordo bene?”
- “Kenya”
dici automaticamente.
- “Kenya!?”
- “Sì,
Kenya.”
- “Sì ok,
ma dov’è il Kenya?”. Quest’ultima domanda me l’ha fatta mia nonna.
- “Eh
nonna, si trova in Africa, a livello dell’equatore”.
Prendo una
cartina e indico il luogo.
- “Guarda
nonna, Milano-Mantova, dove è nata, è tanto così, - nemmeno mezzo centimetro
sulla cartina – Mombasa si trova qui, a due spanne e mezzo di mano
dall’Italia.”
- “Sì, però
se vai a Mantova ti ci perdi di sicuro” la sua risposta.
Ora sono io
quello che rimane spiazzato. E mi cresce sul viso una risata.
Una volta
finiti gli esami inizi subito a lavorare, per stare tranquillo durante il
prossimo anno universitario. Inizi a riassaporare la spensieratezza e la
libertà dagli studi: esci la sera, vedi vecchi amici che come te hanno
condiviso le loro nottate con i rispettivi libri e compagni, hai tempo per
guardare un film o leggere un libro Sei più sereno, qualche settimana di lavoro
e poi parti. E di nuovo fai fatica a ricordarti la destinazione. Detta così
però sembra che questo viaggio valga poco per te.
Bisogna
specificare meglio.
Non è che
non vale nulla il viaggio, anzi….è solo che, come qualche mese prima, non
riesci ancora a pensare di essere su quell’aereo. Non è mancanza di volontà o
pochezza di spirito, è che non ce la fai proprio. È una cosa troppo grande.
Poi
arrivano le notizie.
Nizza,
Turchia, Monaco.
E proprio
in quel momento, quando ti arrivano queste informazioni, inizi a comprendere
cosa significa partire per il Kenya. Riesci finalmente a fare luce sulle
motivazioni che ti spingono così lontano da quella che è la tua casa.
Come è
stato scritto da altri ragazzi cantieristi, il primo pensiero è stato “stai a
vedere che ora non parto più”. Subito dopo viene la rabbia. Per quello che è
successo, per le vittime, per la finta solidarietà del giorno dopo, per il tuo
viaggio che rischia di non iniziare mai.
Tra i tanti
articoli che si leggono dopo queste tragedie te ne capita uno in particolare
che attira la tua attenzione. La giornalista attacca duramente le reazioni del
giorno dopo, sostiene che la maggiore parte delle persone scandalizzate o
solidali del giorno seguente a eventi di questo tipo “sono quelle che fino al
giorno prima non hanno mosso un dito per rendere il mondo un posto migliore, ma
che delegano agli altri questo compito e quando si perde…è sempre colpa degli
altri, dall’arbitro della partita di calcio al capo del lavoro”.
In
particolare mi colpisce una frase: “Noi
non facciamo mai una fatica. Per cambiare il mondo si deve fare fatica. E non
si deve andare da nessuna parte. Si deve fare fatica in casa, ogni giorno, nel
nostro piccolo e dannatamente complicato universo”
Lì realizzi
la meta del tuo viaggio.
“Sì, ok,
l’hai già detto Lore, vai a Mombasa, in Kenya.” Stai anche stressando un po'!
Ora però
non parli solo del luogo fisico, parli anche del motivo che ti spinge a
compiere questo viaggio.
Imparare a fare fatica.
Imparare a
fare fatica non nell’agio della quotidianità milanese, ma in Kenya, a Mombasa,
in quella precisa parrocchia, con quelle precise persone, per tre settimane.
Per essere pronti un domani a fare fatica qui, in
Italia, a Milano, ogni giorno.
Per imparare a fare prima le cose importanti,
quelle vitali.
Solo dopo
vengono le altre.
Ora scusate
ma devo salutarvi, sto andando in aeroporto, ho un volo che mi aspetta.
Del resto
ve lo avevo detto che faccio sempre le cose all’ultimo.
Lorenzo
Nessun commento:
Posta un commento