Sono partita, ho vissuto e sono tornata. Sono passati ormai tanti giorni eppure la Bolivia è ancora lì, nel mio cuore.
L’esperienza boliviana è finita, tutto sembra così lontano, passato direi, eppure oggi più che mai la Bolivia è viva nel mio cuore.
Strano, vero? Dopo tanto girovagare, una breve parentesi abruzzese, un matrimonio in Puglia, oggi sono qui, sola soletta nella mia casa milanese e davanti al mio zaino ancora da disfare (ebbene sì, care amiche, compagne di viaggio, non sono poi così “perfetta”!!!) tutto riaffiora con forza: gli odori, i colori, i sapori, le storie ascoltate, le persone incontrate, i luoghi visitati, ma soprattutto quegli occhi neri, profondi che tutte le mattine aspettavano con gioia di incrociare il mio sguardo e che tutte le sere mi salutavano con riconoscenza, trafiggendomi il cuore.
Ebbene sì, sono loro, i bambini di Sayaricuy la mia Bolivia.
Una Bolivia contraddittoria dove la povertà diffusa stride con una ricchezza incredibile di culture e di tradizioni lontane, ma ancora molto vive, incapaci però di innescare un vero processo di sviluppo.
Dove i paesaggi si alternano in maniera quasi prepotente: la catena andina che con le sue vette innevate sembra toccare il cielo, le distese senza fine degli altipiani dove non vedi la linea dell’orizzonte, ma vai oltre con lo sguardo e capisci allora che cos’è l’infinito, le foreste della zona
tropicale così fitte e piene di colori.
Dove il sole ti scalda la pelle e a volte te la brucia, ma dove il freddo ti colpisce inaspettatamente.
Dove le bellezze naturali contrastano con le miserie che s’incontrano durante il cammino.
Dove la gente, tanta, vive con dignità il proprio destino.
Dove i bambini che crescono nella *calle*, nella violenza e nella miseria più totale, ti rispettano per quello che sei e per quello che fai ti sono riconoscenti. Bambini che pur vivaci e a volte anche un po’ difficili, ti sanno ascoltare. Bambini con sentimenti veri, puri e inaspettatamente ricchi di valori.
Non dimenticherò mai le parole di quei piccoli di strada l’ultimo giorno a Sayaricuy, un giorno di festa per loro, con la *comida* italiana e i regali per tutti. Un grande insegnamento di vita, per me che pur vivendo nell’abbondanza a volte sono “infelice” e per questo sempre alla ricerca di altro.
Eppure basta veramente poco per essere felici.
Insomma, la Bolivia, una terra così lontana dalla mia terra, ma che oggi posso dire sentire anche un po’ mia.
L’esperienza boliviana è finita, tutto sembra così lontano, passato direi, eppure oggi più che mai la Bolivia è viva nel mio cuore.
Strano, vero? Dopo tanto girovagare, una breve parentesi abruzzese, un matrimonio in Puglia, oggi sono qui, sola soletta nella mia casa milanese e davanti al mio zaino ancora da disfare (ebbene sì, care amiche, compagne di viaggio, non sono poi così “perfetta”!!!) tutto riaffiora con forza: gli odori, i colori, i sapori, le storie ascoltate, le persone incontrate, i luoghi visitati, ma soprattutto quegli occhi neri, profondi che tutte le mattine aspettavano con gioia di incrociare il mio sguardo e che tutte le sere mi salutavano con riconoscenza, trafiggendomi il cuore.
Ebbene sì, sono loro, i bambini di Sayaricuy la mia Bolivia.
Una Bolivia contraddittoria dove la povertà diffusa stride con una ricchezza incredibile di culture e di tradizioni lontane, ma ancora molto vive, incapaci però di innescare un vero processo di sviluppo.
Dove i paesaggi si alternano in maniera quasi prepotente: la catena andina che con le sue vette innevate sembra toccare il cielo, le distese senza fine degli altipiani dove non vedi la linea dell’orizzonte, ma vai oltre con lo sguardo e capisci allora che cos’è l’infinito, le foreste della zona
tropicale così fitte e piene di colori.
Dove il sole ti scalda la pelle e a volte te la brucia, ma dove il freddo ti colpisce inaspettatamente.
Dove le bellezze naturali contrastano con le miserie che s’incontrano durante il cammino.
Dove la gente, tanta, vive con dignità il proprio destino.
Dove i bambini che crescono nella *calle*, nella violenza e nella miseria più totale, ti rispettano per quello che sei e per quello che fai ti sono riconoscenti. Bambini che pur vivaci e a volte anche un po’ difficili, ti sanno ascoltare. Bambini con sentimenti veri, puri e inaspettatamente ricchi di valori.
Non dimenticherò mai le parole di quei piccoli di strada l’ultimo giorno a Sayaricuy, un giorno di festa per loro, con la *comida* italiana e i regali per tutti. Un grande insegnamento di vita, per me che pur vivendo nell’abbondanza a volte sono “infelice” e per questo sempre alla ricerca di altro.
Eppure basta veramente poco per essere felici.
Insomma, la Bolivia, una terra così lontana dalla mia terra, ma che oggi posso dire sentire anche un po’ mia.
Federica
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