venerdì 28 luglio 2017
giovedì 27 luglio 2017
Kenya. Non scorderò mai...
Solo adesso che mi sono abituato al tuo stile chiassoso.. solo adesso che mi sono abituato ai tuoi ritmi blandi, talvolta assonnati.. solo adesso che mi sono abituato al tuo voler negoziare sempre ogni cosa.. ahimè , caro Kenya,
tra poco ti dovrò lasciare.
Sembra ieri il primo giorno qua in Cafasso, le prime volte nei campi a zappare.. i tentativi goffi nel tagliare l'erba con un machete..
provare a mungere una mucca, e perfino spalare letame da usare come concime. Tutto questo sempre
sotto l'occhio attento e l'aiuto costante dei "Cafasso Boys", ragazzi kenyani poco meno che diciottenni, con un passato difficile e, per la legge locale, meritevoli di una pena di quattro mesi già
scontata nel carcere minorile. Ragazzi a cui pensavo di dover solo "insegnare" ed invece ho appreso molto. Ragazzi a volte sopra le righe ma sempre pronti a darsi da fare per gli altri, indistintamente dal colore della pelle. Ragazzi come tanti, con
i propri pregi e difetti, ma con la sfortuna di essere nati in un contesto a volte ostile.. da una famiglia che per necessità, negligenza o convenienza li ha abbandonati per strada fin da piccoli.
Strada.. quella strada che ti sbatte in faccia tutta la cruda realtà..! Che inghiottisce giovani anime e ne priva del loro futuro..
Non scorderò lo sguardo assente ed assuefatto dalla colla dei bambini e adolescenti incontrati a Githurai 44, quartiere periferico di Nairobi. Come non scorderò il fondamentale lavoro dei volontari e civilisti italiani, conosciuti
in queste tre settimane, capaci di strapparli dalla strada e di dare loro nuove prospettive.
Non scorderò mai questa esperienza.. una parentesi di vita preziosa che, causa molteplici motivi ho più volte rimandato, ma finalmente ho trovato il coraggio di fare!
Andrea
alle
16:38
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[Nicaragua] Parto. Ma dove vado?
“La valigia è pronta;
I vari documenti sono stati stampati e catalogati quasi
perfettamente;
Le cuffie e il cellulare sono carichi e pronti all’uso;
Gli esami sono stati fatti e, dai, sono anche andati quasi
bene;
Gli amici e i parenti sono stati tutti salutati;
Mamma e papà li saluto domani mattina appena sveglio;
La voglia di partire e di scoprire il Nuovo Mondo, direi che
non è mai mancata;
Le richieste di tranquillizzarmi e rilassarmi, non sono
state ascoltate;
Dai, ci sono, partiamo.”
“Si, ok, partiamo; ma, Fil, dove andiamo?”
“Andiamo a Managua, in Nicaragua. Dai è da febbraio che sai
che andiamo lì. È da febbraio che te lo ripeto e che ci prepariamo.”
“Si, abbiamo fatto il colloquio, abbiamo fatto le
vaccinazioni mancanti, le giornate di formazione, abbiamo letto quasi tutto il
dossier. Ma ti sei fermato un secondo a pensare dove stiamo andando?”
“Massì dai. Sto andando in piccolo stato tra Honduras e
Costarica. Non so lo spagnolo, questo è vero. La cosa un pochettino mi
preoccupa. Ma in fondo noi italiani ce la caviamo. Una “s” alla fine e via, cosa
ci sarà di così difficile. Poi mi sono preparato guardando “El Chapo” su
Netflix, tutto in spagnolo con i sottotitoli in Inglese. Fantastico! Poi sono 5 anni che parto durante le vacanze
per fare questo tipo di viaggi: Gornja Bistra, Sarajevo, Nairobi e ora Managua.
Sono abbastanza pronto. Esperienze ne ho.”
“Fil, dove stiamo andando?”
“Ancora? Te l’ho già spiegato. Nicaragua, Managua, Ciudad
Sandino. Non mi è ben chiaro ancora cosa faremo; ho raccolto tanti materiali da
portare e sono pronto a fare tutto quello che ci sarà bisogno di fare. Sto andando
dall'altra parte del mondo, in un posto che non conosco, in cui non sono mai
stato. Anche gli anni scorsi non sapevo dove stavo andando e non sapevo bene
cosa avrei fatto però è sempre andata bene. Sei il solito pessimista rompi
balle.”
“Non sono pessimista. Non ti irritare. Ti sto solo chiedendo
dove stiamo andando; Fil, dove stiamo andando?”
“…”
“Fil?”
“Stiamo andando via. Via da Vedano al Lambro. Via da Monza.
Via da qui.”
“Perché?”
“Perché è giunto il momento di pensare.”
“Pensare a cosa?”
“Pensare a questo ultimo anno. Appena tornato dal Kenya, mia
mamma aveva notato che ero cambiato. Io non me ne ero accorto. Solo ora me ne
sono accorto. Quest’anno ho scelto di cambiare. Ho scelto di concentrarmi sulle
tematiche penali ed internazionali che la mia facoltà mi offre. Ho scelto di
scrivere, di scrivere delle mie esperienze e non solo, su un blog. Ho scelto di
abbandonare quel blog. Ho scelto di non fare un esame. Ho scelto di allontanare
l’amore. Ho scelto di piangere per quella lontananza. Ho scelto di fare
politica, di candidarmi a Monza con una lista civica, perdere, non mollare,
ricominciare da capo, con nuove avventure e nuovi incarichi. Ho scelto di fare
volontariato anche qui, dietro casa mia. Ho scelto di mangiare ad orari
assurdi, di non essere mai a casa, di dormire 4 ore per notte. Ho scelto di
essere “social”. Ho scelto di non fermarmi e di non accontentarmi. Ho scelto di
partire per il Nicaragua. Ho scelto di studiare come un dannato fino al 25 di
luglio per prendere un cazzo di 23. Ho scelto di tralasciare i miei migliori amici
per fare tutte queste cose ma, nonostante questo, hanno scelto sempre di
sostenermi e di starmi vicino. Ho scelto di essere contento, di crederci sempre
e di non mollare. Ho scelto di fare tutte queste cose contemporaneamente, senza
pensare. Dobbiamo pensare”.
“E dobbiamo andare fino in Nicaragua?”.
“Bhè si, qui fa troppo caldo.”
“Ma là ci sono 34 gradi con un umidità del 85% !”
“Dettagli.”
mercoledì 26 luglio 2017
Kenya. Semplici, coraggiosi e felici
Incontro
Incontro: cos'è?
Un volto, una parola, un gesto.
Qualcosa che non sai perché ma rimane dentro di te.
Se penso all'Africa, a quella che io ho vissuto, sono indefiniti gli scambi con persone, luoghi e contesti che ho avuto.
Ma una delle più grandi scuole di vita che ho ricevuto è durata non più di un pomeriggio.
Usciti da una messa colorata, ecco Padre Maurizio, appena terminato di celebrare in swahili.
Un uomo determinato dalla prima impressione, con la risposta sempre pronta, capace di mettere in discussione ogni tua convinzione.
Un pranzo insieme, una chiacchierata sul quotidiano.
Un uomo semplice, chiaro e diretto.
E in qualche ora ci ritroviamo a parlare insieme di cosa fa in Kenya, a Nairobi, da due anni ad oggi.
Ecco subito che è chiaro quanta passione ci sia nel seguire il centinaio di ragazzi presi dalla strada che sono accolti nei centri di cui è responsabile.
Presenza, vocazione, radicalità: i cardini della discussione, forse i pilastri di una vita.
"La cosa più importante è esserci", una frase che racchiude l'essenza del vero amore verso il prossimo, che non guarda all'egoismo di avere risultati fisici da poter guardare e con cui sostenere la propria autostima; ma all'ascolto rispettoso del bisogno umano.
Ecco la presenza, ecco il "sedersi accanto e aspettare che Dio accada", come Maurizio ha ricordato.
Quanto siamo tormentanti dal trovare segni per capire quale sia quella che il mondo chiama: " la strada giusta per noi?"
La strada giusta non è altro che seguire ciò che ci rende felici.
Siamo fatti per la felicità, nonostante il mondo sembra quotidianamente che ce la metta tutta per farci credere il contrario.
Si tratta di prospettive da cui guardare questo mondo tanto grande quanto piccolo.
E questo luogo me lo ha insegnato e confermato ancora una volta.
Come si fa a sorridere in mezzo a cumuli di immondizia e l'odore di urina che solca le strade delle baraccopoli?
Eppure a Soweto, una baraccopoli del Kenya, ho visto accadere proprio questo.
Una vecchia dalla pelle arida di sole e consumata dal tempo, ci accoglie stringendoci la mano e con un sorriso sincero.
Sotto un ponte, a Ghidurai, bambini vestiti di stracci e che la notte dormono soli tra altre milioni di persone che sniffano colla, si svegliano e alcuni alla nostra vista hanno il coraggio di sorridere e seguirci.
E potrei parlare così per ogni luogo che ho visitato in queste tre settimane.
Allora quella domenica, quando Padre Maurizio ci parlava di felicità, come criterio per scegliere la propria via, la nostra vocazione, passo a passo, giorno dopo giorno, aveva ragione.
A volte la vocazione ci impone di cambiare, di imboccare sentieri che sempre avevamo percepito dentro di noi, ma che mai avremmo immaginato di avere il coraggio di camminare.
La radicalità della scelta è qualcosa che personalmente mi ha sempre affascinato, perché chiede il coraggio di chi vuole conoscere profondamente a cosa la vita lo chiama.
Ma non basta.
Perché ogni scelta va sostenuta da un'immensa forza, tenacia, unicità.
E quel pomeriggio, ascoltando quest'uomo, che ha espresso la propria radicalità , scegliendo di vivere una vita di obbedienza, a fianco degli uomini, abbandonando una vita stabile, normale agli occhi del mondo, ho capito che è possibile essere così forti.
È possibile se scegliamo con il cuore.
È possibile se ascoltiamo la felicità.
È reale se è impegno quotidiano, se è accettazione delle possibili sconfitte.
È infinitamente bella se ci credi e continuerai a crederci.
Padre Maurizio quella domenica pomeriggio, è arrivato al cuore, al centro del senso che può avere trovarsi qui, in Kenya, a Nairobi, dove ricchi viaggiano accanto a bambini che crescono da soli ai margini dei marciapiedi.
Qui in Africa, dopo anni che qualcosa chiedeva questo dentro me, ho scelto di spendere poco tempo, solo tre settimane, per cominciare a conoscere, a dare la mano e a guardare negli occhi, che colore, che nome, che odore ha il mio desiderio.
L'Africa è magica, mi aveva detto un missionario incontrato per caso prima di partire.
La mia Africa è stata naturale, povera e ricca, faticosa e gioiosa, tanto semplice quanto sfidante.
Si, la mia Africa è stata magica.
Grazie a chi mi ha fatto arrivare qui, a chi è stato con me in questo tempo, e a quelli che rimarranno in ogni caso i compagni della mia prima Africa.
alle
19:18
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Pronti, partenza, via....LIBANO!!
Vshgciuuuu!!! (inconfondibile rumore di un aereo in partenza...)
Il gruppo Libano con il suo stile futurista un po' trash (in pieno stile libanese) è tornato all'attacco, finalmente pizza!!
Dopo qualche settimana dal primo incontro, ho rivisto questo gruppo di matti e ho rivelato loro la mia vera identità: partirò con loro per coordinare il Cantiere!
In questa giornata hanno dovuto affrontare numerose prove, tra cui, prima fra tutte, sopportare il torrido caldo lombardo in una scatola di cemento senza docce a Melegnano, in cui l'aria non gira manco ci fossero i cecchini appostati.
Sono però sicuro che ricapitolare la storia del Libano dall'epoca degli assiro-babilonesi ad oggi li abbia fatti riprendere alla grande!
A pensarci bene hanno retto bene il colpo e non si sono lasciati scoraggiare neanche dal mio tentativo ossessivo di ridimensionare le loro aspettative sul paese....la realtà che li aspetta è molto composita e complessa, segnata da profonde cicatrici non del tutto sanate. Infatti, come recita una canzone:
٤٠ عاما ٤٠ عاما یعیش اللبنان و شعبه جمیعا الحروب, حرب اهلیة, ثاني دینیة و اخرى طائفیة
٤٠ عاما أصبح في لبنان الصغیر كبیرا جدا بجرائه و ببأسه یومیة
“il Libano ha sopportato 40 anni di guerre...guerre civili, guerre religiose e guerre settarie...il piccolo
Libano è diventato grande grazie al suo coraggio e ai suoi mali quotidiani...”
Ma ora il Libano chiede pace:
لبیروت من قلب سلام لبیروت و قبل لالبحر و البیوت لصخرة كأنه وجه بحار قدیم
“Per Beirut...dal cuore pace per Beirut...e baci al mare e alle case...ad una roccia che assomiglia al volto di un vecchio marinaio...”
Dopo aver parlato un po' troppo io, li ho lasciati liberi di raccontare le loro aspettative, e poi siamo entrati più nel dettaglio sulla realtà degli shelter in cui svolgeremo le varie attività.
Nel pomeriggio hanno avuto un assaggio delle difficoltà di comunicazione che incontreranno nel corso di questa esperienza: hanno dovuto spiegare come costruire un ponte di carta a dei dardiani, una razza strana, orgogliosa ma ospitale, che urla apparentemente a caso.
Ma la prova più ardua sembra sempre la stesura dei capitoli del loro libro, che per la verità non sta venendo niente male...
Ma questi ragazzi sono tosti e carichi e allora:
یلا یلا خلینا نفوق یلا یلا یلا
(Yalla! Yalla! Khallyna nafawa' Yalla! Yalla! Yalla!)
Anche per oggi è tutto
Byt-in!! (perchè il duale spacca e una lingua sola non basta!)
Il gruppo Libano con il suo stile futurista un po' trash (in pieno stile libanese) è tornato all'attacco, finalmente pizza!!
Dopo qualche settimana dal primo incontro, ho rivisto questo gruppo di matti e ho rivelato loro la mia vera identità: partirò con loro per coordinare il Cantiere!
In questa giornata hanno dovuto affrontare numerose prove, tra cui, prima fra tutte, sopportare il torrido caldo lombardo in una scatola di cemento senza docce a Melegnano, in cui l'aria non gira manco ci fossero i cecchini appostati.
Sono però sicuro che ricapitolare la storia del Libano dall'epoca degli assiro-babilonesi ad oggi li abbia fatti riprendere alla grande!
A pensarci bene hanno retto bene il colpo e non si sono lasciati scoraggiare neanche dal mio tentativo ossessivo di ridimensionare le loro aspettative sul paese....la realtà che li aspetta è molto composita e complessa, segnata da profonde cicatrici non del tutto sanate. Infatti, come recita una canzone:
٤٠ عاما ٤٠ عاما یعیش اللبنان و شعبه جمیعا الحروب, حرب اهلیة, ثاني دینیة و اخرى طائفیة
٤٠ عاما أصبح في لبنان الصغیر كبیرا جدا بجرائه و ببأسه یومیة
“il Libano ha sopportato 40 anni di guerre...guerre civili, guerre religiose e guerre settarie...il piccolo
Libano è diventato grande grazie al suo coraggio e ai suoi mali quotidiani...”
Ma ora il Libano chiede pace:
لبیروت من قلب سلام لبیروت و قبل لالبحر و البیوت لصخرة كأنه وجه بحار قدیم
“Per Beirut...dal cuore pace per Beirut...e baci al mare e alle case...ad una roccia che assomiglia al volto di un vecchio marinaio...”
Dopo aver parlato un po' troppo io, li ho lasciati liberi di raccontare le loro aspettative, e poi siamo entrati più nel dettaglio sulla realtà degli shelter in cui svolgeremo le varie attività.
Nel pomeriggio hanno avuto un assaggio delle difficoltà di comunicazione che incontreranno nel corso di questa esperienza: hanno dovuto spiegare come costruire un ponte di carta a dei dardiani, una razza strana, orgogliosa ma ospitale, che urla apparentemente a caso.
Ma la prova più ardua sembra sempre la stesura dei capitoli del loro libro, che per la verità non sta venendo niente male...
Ma questi ragazzi sono tosti e carichi e allora:
یلا یلا خلینا نفوق یلا یلا یلا
(Yalla! Yalla! Khallyna nafawa' Yalla! Yalla! Yalla!)
Anche per oggi è tutto
Byt-in!! (perchè il duale spacca e una lingua sola non basta!)
Moldova: Sorpresa
Sorpresa: con questa parola si riassume la mia esperienza nel villaggio di Feteşti dove, con un gruppo di sette volontari italiani dell'associazione "Bambini in Romania" e una decina di volontari moldavi di questa località, abbiamo realizzato cinque giorni di attività per i bambini del "sat".
Ho iniziato questa avventura senza particolari aspettative, perché conoscevo poco la realtà che avrei incontrato e avevo pochi elementi per potermi anche solo fare un' immagine di ciò che avrei vissuto. Un po' impaurita ma curiosa di fronte all'incognita sono partita e quello che ho ricevuto è molto di più di quello che mai avrei potuto immaginare.
Sorpresa: riscoprire la bellezza della Moldova, questo paese che nonostante le molte ferite dà tanto, spesso proprio attraverso di esse. Paesaggi incontaminati e meravigliosi, come le persone incontrate, così disponibili e accoglienti, con tanta voglia di raccontare e farsi raccontare. I bambini, a volte faticosi, ma capaci di affezionarsi sinceramente.
Sorpresa: ho scoperto di più me stessa, d'altronde non si smette mai di conoscersi. Sono emersi punti di forza e limiti che non sempre sono riuscita a superare, ma questi ultimi non sono stati l'ultima parola su questa esperienza, perché quello che ricevevo era molto di più e sfondava qualsiasi tentazione di chiusura e sconforto di fronte ad essi.
Sorpresa: il mio gruppo di volontari, la sorpresa più grande e bella. Ho conosciuto persone con tanta voglia e grande capacità di scoprire, imparare, incontrare, ascoltare, mettersi in gioco, condividere e voler bene, persone da cui ho molto da imparare. Siamo diventati una squadra "tosta", che ha superato molte avversità grazie al sostegno reciproco e l'attenzione verso l'altro sempre presenti. Mi ha sorpreso molto la libertà e la familiarità con cui siamo stati in rapporto; li ringrazio, perché mi hanno permesso di essere me stessa e mi hanno fatto sempre sentire accolta, anche nelle nostre differenze.
In questi ultimi mesi di permanenza in Moldova porto tutti questi incontri e tutte queste scoperte con me, convinta che questo paese mi riserverà altrettante sorprese e sarà ancora in grado di stupirmi.
Ho iniziato questa avventura senza particolari aspettative, perché conoscevo poco la realtà che avrei incontrato e avevo pochi elementi per potermi anche solo fare un' immagine di ciò che avrei vissuto. Un po' impaurita ma curiosa di fronte all'incognita sono partita e quello che ho ricevuto è molto di più di quello che mai avrei potuto immaginare.
Sorpresa: riscoprire la bellezza della Moldova, questo paese che nonostante le molte ferite dà tanto, spesso proprio attraverso di esse. Paesaggi incontaminati e meravigliosi, come le persone incontrate, così disponibili e accoglienti, con tanta voglia di raccontare e farsi raccontare. I bambini, a volte faticosi, ma capaci di affezionarsi sinceramente.
Sorpresa: ho scoperto di più me stessa, d'altronde non si smette mai di conoscersi. Sono emersi punti di forza e limiti che non sempre sono riuscita a superare, ma questi ultimi non sono stati l'ultima parola su questa esperienza, perché quello che ricevevo era molto di più e sfondava qualsiasi tentazione di chiusura e sconforto di fronte ad essi.
Sorpresa: il mio gruppo di volontari, la sorpresa più grande e bella. Ho conosciuto persone con tanta voglia e grande capacità di scoprire, imparare, incontrare, ascoltare, mettersi in gioco, condividere e voler bene, persone da cui ho molto da imparare. Siamo diventati una squadra "tosta", che ha superato molte avversità grazie al sostegno reciproco e l'attenzione verso l'altro sempre presenti. Mi ha sorpreso molto la libertà e la familiarità con cui siamo stati in rapporto; li ringrazio, perché mi hanno permesso di essere me stessa e mi hanno fatto sempre sentire accolta, anche nelle nostre differenze.
alle
10:43
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martedì 25 luglio 2017
Kenya. Tornerò un giorno, questa è una promessa che mi sono fatta.
Non lo sapevo prima di partire, non lo
avrei mai immaginato, ma il mio cuore, la mia mente stavano
aspettando il Kenya. Io, il mio essere, stava aspettando il Kenya.
Era anni che desideravo partire per una
missione, ma per mancanza di coraggio o futili motivi non mi decidevo
mai. Poi quest'anno la svolta.
Mi sentivo vuota, incastrata in una
vita che non sentivo più mia, alla continua ricerca di un senso, di
risposte, e così ho deciso: avevo bisogno di un cambiamento, di
qualcosa che mi facesse sentire davvero viva.
E così sono partita, con
tanta insicurezza e paura di non farcela, lo ammetto, ma dall'altra
parte anche con tanta gioia e voglia di conoscere, vedere e ascoltare
persone e situazioni da me lontane, ma senza aspettative, con la
mente più aperta possibile, per accogliere dentro di me ogni cosa,
ogni sensazione, positiva o negativa che avrebbe potuto presentarsi.
Non so ancora descrivere bene ciò che
sto provando stando qui, e forse non ci riuscirò neanche quando sarò
tornata. Le sensazioni sono così forti così totalizzanti che
descriverle mi sembrerebbe quasi di sminuirle.
Posso dire che ogni giorno sento, e
sono circondata da calore, da amore. Le testimonianze di chi lavora e
vive qui da anni mi riempiono, mi instillano la voglia di essere
migliore, di dare e non tirarmi mai indietro. Mi fanno capire che
quando “aiuti” sei in realtà tu che vieni aiutato perchè la
gioia, l'amore che ricevi in cambio è un dono talmente prezioso da
non avere prezzo.
Le persone kenyane con i loro sorrisi,
i loro abbracci mi fanno sentire più a casa qui che in italia, dove
molte volte si è troppo impegnati da se stessi per ricordarsi che un
sorriso è capace di abbattere ogni muro, ogni barriera, e che
l'indifferenza verso l'altro rende aridi.
Non è tutto positivo però. La
povertà, la sofferenza, la disperazione che mi circondano mi fanno
sentire impotente, una privilegiata che non potrà mai capire fino in
fondo le persone del luogo. C'è così tanto da dare qui ma così
poco con cui aiutare.
Inoltre non si è sempre accettati, la
parola “musungu”, straniero con un'connotazione dispregiativa, si
sente spesso. Gli sguardi non amichevoli non sono rari, e noi donne
siamo trattate da alcuni kenyani più come oggetti che come persone.
Ma tutto ciò non rende negativo il mio
stare qui, perchè c'è molto più affetto e vicinanza che estraneità
e disprezzo.
Manca poco meno di una settimana al mio
ritorno, e so già che mi mancherà tutto del Kenya. Tornerò un
giorno, questa è una promessa che mi sono fatta.
Ringrazio per quest'esperienza che mi
ha posto di fronte a mille domande, che mi ha riempita di dubbi, e
che non è mai stata banale, né vuota.
Grazie Kenya.
Sara
alle
12:51
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venerdì 21 luglio 2017
Kenya. Mambo Africa!
A te scrivo, a te volgo
il mio sguardo e la mia mente, a te dono un pezzo di me stesso ogni
sera e ogni mattina; Ad ogni alba e ad ogni tramonto il mio animo
altro non può che lasciarsi avvolgere dal tuo abbraccio; un
abbraccio di madre, un abbraccio di padre, un abbraccio di famiglia.
Sei tu, Kenya, terra
ancestrale, paese lontano; sei proprio tu, Kenya, mondo che mi ha
accolto e si è lasciato scoprire.
Sono trascorsi rapidi i
giorni della mia esperienza a Nairobi, così veloci che, senza
accorgersi, già si è giunti al giro di boa della mia esperienza in
questa terra.
Combattuta fu la
partenza, piena di indecisioni, di timori, di speranze; la meta non
era quella inizialmente desiderata, il periodo neanche e tanto meno
avevo potuto scegliere con chi compiere questa esperienza; ma già
percepivo come qualcosa di nascosto, nascosto sì, ma allo stesso
tempo ben visibile. Una possibilità, una grande possibilità, di
maturazione, di crescita, ma anche di semplice e genuina gioia; non
potevo perderlo.
E così, giorno dopo
giorno, questa possibilità cominciò a diventare realtà. Come
dimenticare l'accoglienza ricevuta fin dall'aeroporto da parte delle
responsabili del centro che ci sta ospitando, abbracci donati come
amiche di vecchia data; come scordare i sorrisi dei giovani del
centro, sorrisi che riuscivamo a conquistare pian piano, o forse che
pian piano ci erano donati gratuitamente.
Nulla può far fuggire
dalla mia mente le miriadi di esperienze che abbiamo rincorso: le
visite ai giovani carcerati, il lavoro nei campi l'uno affianco
all'altro, la scoperta di una natura incontaminata che non può
trasmettere altro che stupore, la condivisione della fede con un
altro popolo attraverso la preghiera mattutina e la messa...
Mille e più sono le
storie e le cose misteriose, quasi magiche, da raccontare su questo
paese meraviglioso e pieno di contraddizioni, dove gli opposti
sembrano mischiarsi e la scala tra il bianco e il nero moltiplica le
sue sfumature.
In tutto questo però di
una cosa ho la certezza: ogni nostra esperienza, ovunque essa sia e
in qualunque tempo abbia luogo, è fatta di incontri; nulla è
viaggiare se non incontrare persone; sono queste persone a cambiarti
la vita, e tra tutte queste persone alcune hanno un valore
particolare, uno spazio nel tuo cuore che immancabilmente si fa più
ampio. Sono queste le persone con cui viaggi, con cui condividi, con
cui trascorri le tue giornate; persone prima sconosciute e con cui
ora ridi, con cui ora piangi, persone che accogli e da cui ti lasci
accogliere, persone con cui semplicemente vivi.
Il Kenya sarà fisso
nella mia memoria attraverso molte immagini, molte fotografie,
proprio come un posto di ricordi; un poster nel cui centro altro non
ci sono che i volti dei miei compagni di viaggio.
Grazie del cammino fatto
insieme.
Asante sana Africa.
Giovanni
Cantiere Nairobi 2017
alle
19:53
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martedì 18 luglio 2017
Kenya. Capitolo II: UN PASSO DI… 9258 CHILOMETRI
Kenya, 10 giorni dopo: l'Immaginazione diventata realtà.
Ci guardiamo i piedi, sono rossi; ci guardiamo le mani, sono sporche; ci guardiamo negli occhi, sono diversi.
Tra nuove inaspettate conoscenze, attività faticose in fattoria e nuovi sapori con cui entrare in confidenza, siamo ormai giunti a metà percorso.
Solo ora, seduti in cerchio, ci rendiamo conto di quanto quest'esperienza ci stia cambiando. Quanto questa esperienza stia cambiando il nostro sguardo, lo stesso sguardo che, quella mattina in aereoporto era sì assonnato, ma ricco di motivazioni, paure e aspettative.
Ci scopriamo persone capaci di vivere cose che mai avremmo immaginato, capaci di entrare in relazione con persone che mai avremmo pensato di conoscere e che forse, anzi, saremmo stati portati ad evitare.
Mai avremmo pensato di entrare in un carcere, conoscere le storie di coloro che lo abitano, diventare un frammento della loro storia.
Camminare per le via di Nairobi, pensavamo di esserne abituati, d'altronde Milano è una grande città multiculturale, invece no, non eravamo pronti.
Strade polverose, macchine che sfecciano in tutte le direzioni innalzando nubi di terra che ti tingono la faccia, bancarelle che sembrano uscite da un tempo ormai passato. Questo significa andare a far la spesa per chiunque abita in questo posto. Ed ecco qui noi. Abituati alle nostre comodità, per scelta ci troviamo a condividere una vita a noi estranea, ricca di provocazioni che istillano nei nostri animi talvolta gioia, generata dal sorriso di una venditrice di banane, talvolta rammarico nel sentirsi chiamare muzungu, straniero, dalla gente che incontri per strada.
La realtà in cui viviamo, in questo contraddittorio paese, è una realtà di sofferenza e insieme di rinascita. Trascorriamo infatti la gran parte delle nostre giornate a Cafasso, centro di recupero per giovani usciti dal carcere. Ed è l'incontro proprio con questi giovani che più ha cambiato il nostro sguardo: abbiamo condiviso parti delle loro vite, scoperto somiglianze ed affrontato differenze. Siamo entrati in relazione con loro nonostante le difficoltà, ma anche noi ci siamo fatti scoprire, aprendo la nostra vita a loro e, sebbene le diffidenze, c'è stata una scoperta di umanità da entrambe le parti.
L'impatto con questa realtà non è stata una passeggiata ed anche il nostro corpo ha dovuto adattarsi alle situazioni: ci siamo improvvisati contadini, abbiamo subito le conseguenze del cambio di alimentazione, ci siamo bruciati la pelle, abbiamo capito cosa vuol dire centellinare l'acqua, ma abbiamo pian piano imparato ad adattarci e a cogliere la ricchezza in ciascuna difficoltà incontrata.
In questi pochi giorni tante cose abbiamo scoperto degli altri, tante cose di noi; ancora due settimane ci aspettano da trascorrere in questa terra e siamo ansiosi di vivere con passione tutte le esperienze che ancora ci attendono, aprendoci alle novità e facendo tesoro prezioso di tutto ciò che ci verrà donato.
mercoledì 5 luglio 2017
Romanzo Cantiere, capitolo 1: pronti, partenza, Boli-via!
Mancano 23 giorni alla partenza e stiamo entrando sempre di più nell’ordine di idee di passare un mese della nostra vita in maniera totalmente diversa dal solito. La valigia sta prendendo forma, anche se stiamo partendo dai giochi vari per intrattenerci in quelle simpatiche 30 ore di viaggio che stanno tra noi e questa nuova avventura.
Il nostro “Via” è la capitale più alta del mondo, La Paz, dove arriveremo attorno alle 4 del mattino di uno dei giorni che si prospetta come uno dei più lunghi.
Il primo trasporto boliviano sarà un viaggetto di appena 8 ore in pullman (speriamo non ancora sulla Ruta de la Muerte) che ci porterà alla nostra adorata Cochabamba.
La nostra immaginazione già spazia nel cercare di capire come sia la nostra città e i suoi abitanti, che le nostre fonti segrete (nome in codice RosariO) ci dicono che si definiscono cochabambini. La nostra casa sembra grande e Victor ed Alessio cercano, anche se in netta minoranza, di prenotarsi un bagno solo uomini (la vedo
abbastanza dura).
Ci siamo fatti già una cultura sul cibo, e abbiamo capito che a casa cucineranno Flora (che sarà controllata a vista mentre si laverà le mani dopo aver lavato il bagno) e Alessandra (anche supporto lavatrice); Sara dormirà in giardino; Margherita avrà un’ottima prospettiva per disegnare “el Cristo de la Concordia”, Victor sparecchierà ma sarà Serena a lavare i piatti; Alessio e Arianna li vedo bene a tenere il giardino in ordine.Abbiamo conosciuto Maria Rosaria, RosariO o Rosy per gli amici, che sarà la nostra coordinatrice e che ci ha già fatto un’introduzione alla Bolivia, che possiamo riassumere così: donne basse, uomini brutti, cibo buono se cotto, diarrea se crudo e coca q.b..
Come ci sentiamo? Bella domanda.
Alessandra è una persona estrema: è estremamente eccitata, è estremamente curiosa ed estremamente in the mood Bolivia.
Flora è iperattiva: non vede l’ora di spendere, di spanciarsi sull’amaca che vuole mettere in giardino dopo aver fatto pranzi pantagruelici a base di tutto quello che incontra.
Sara è vogliosa… ma no, cosa credete: ha più voglia di partire rispetto a prima, e aumenta man mano che si addormenta durante i lavori e sogna la sua permanenza là.
Serena è pensierosa, però rimane “serena” perché sua mamma le ha già impiantato un chip e le ha fatto tatuare il sito della Farnesina.
Margherita è una visionaria, nel senso che si è fatta delle fisime, cioè scusate, volevo dire delle foto mentali in cui si immagina come tutto possa essere, ma che vuole comprovare una volta arrivati lì.
Alessio è Alessio, che c’è da dire, lo conoscete, è un po’ strano e non vede l’ora di schiarire un po’ quei bozzetti di idee che si è fatto su questa avventura.
Arianna è carica, ma di ansia, perché prima di pensare alla Bolivia deve pensare a certi simpatici e tattici esami che le mancano prima di potersi mettere anima e corpo in questa avventura, però ha già voglia di vedere come si sta tutti insieme, e vuole capire come riuscirà a “disciularsi” nella comunicazione lì in Bolivia.
Victor non pensa molto, ma d’altronde non l’ha mai fatto, e si perde nelle sue battute e nel cercare di farsi valere, pur essendo, come al solito, il più piccolo; anche lui non vede l’ora di fare questa esperienza perché man mano che passa il tempo si trova sempre meglio con il gruppo, ed è felice di poter condividere questa esperienza con loro.
A Rosario non chiediamo cosa pensa perché abbiamo paura di prendere insulti, ma non sembra troppo shockata dalla C.B.B.A., cioè la nostra Curiosa Brigata Boliviana all’Attacco.
Ora siamo carichi, pieni d’iniziativa, e di voglia di capire come si troveranno i Gringos a Cochabamba… ma ne riparliamo a 5.000 metri.
Hasta luego!
alle
19:18
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"Dove due o tre sono riuniti nel mio nome"
Se ripenso a questi mesi in Kenya non posso certo dire che sia stata, e che sia tutt'ora, un'esperienza spiritualmente illuminante.
Purtroppo, in chiesa come in molti altri ambiti della vita, spesso prevale l'immagine, l'apparire, più dell'essere.
La lingua poi non aiuta, e a causa di tutte queste piccole cose, il mio entusiasmo nel frequentare luoghi e momenti religiosi è ai minimi storici.
Poi però, recentemente, ho partecipato a due momenti forti, profondi, che hanno riacceso in me quella fiammella diventata tanto flebile.
Il 20 giugno sono stata al Consolata Day, un giorno di festa e di preghiera dove Suore, Padri e Fratelli di quest'ordine si sono trovati assieme, per celebrare con gioia la loro presenza in Kenya e nel mondo.
In chiesa, fra queste donne e uomini che hanno scelto per la loro vita la fede, il coraggio e l'amore, mi sono sentita parte di un qualcosa di forte, di grande, di profondo. Quello che ci animava era una forza interiore che ci univa e ci faceva sentire parte di una famiglia immensa e bellissima.
Qualche giorno dopo ho partecipato alla Jumuia (video), un momento di condivisione e preghiera con i ragazzi di Cafasso, al quale non partecipavo da tempo perché nelle stesse ore solitamente ero al carcere femminile.
Lì, in mezzo a questi ragazzi a volte un po' sciocchi, ho nuovamente sentito una forte energia, una spinta interiore che chiamava a qualcosa di alto, a valori e sentimenti importanti.
Dopo questi due momenti ho riflettuto, e mi è venuta in mente una splendida canzone: "Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sarò con loro, pregherò con loro, amerò con loro".
Ecco, lì penso di aver capito che il trucco non è dove si prega o come si prega, ma che si sia tutti uniti da uno stesso valore di fratellanza, e Dio sarà veramente in mezzo a noi.
alle
09:35
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lunedì 3 luglio 2017
Cantiere Haiti: CAPITOLO 1
La nostra formazione
Il caldo tropicale di Melegnano
ci introduce al clima Haitiano,
che prima di questa giornata
era l'unica cosa da noi immaginata.
Nonostante "abbandonate" dai nostri coordinatori
sono venuti in nostro aiuto tre salvatori
Matteo, Letizia e Stefania i loro nomi.
Della doccia in un fiume ci hanno parlato
cosa che noi mai avremmo sognato!
Nel fiume faremo anche il bucato
per rendere tutto lindo e profumato.
Port au Prince, Mare Rouge e Pendu visiteremo
dove altri animatori Haitiani incontreremo
e con loro tante attività organizzeremo!
Ma Haiti a noi un' altra sorpresa regalerà
Silvia e Federico ci presenterà!
"nou pral ekri yon liv"* sapete cosa vuol dire?
studieremo il creolo e in qualche modo proveremo a farci capire!
Di scrivere un libro tutto in rima saremmo fieri,
ma non siamo mica Dante Alighieri!!
Margherita, Dana, Giulia, Giorgia
*scriveremo un libro
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