giovedì 26 ottobre 2017
Nel cuore l’Argentina e il Nicaragua sulla strada.
Ormai manca poco, la mia partenza per il Nicaragua è imminente. In trepidante attesa vivo questi ultimi giorni di formazione ma i miei pensieri già corrono a immaginari lontani, alle ultime piogge che ora bagnano Managua, all' estate a cui vado incontro, alle persone, ancora sconosciute...
Ma come sono arrivata a questo punto?
Il mio servizio civile si innesta, in parte, su un altro servizio: nel 2015 mia sorella è partita con Caritas Roma per l’Argentina e io ho avuto la fortuna di poter vivere con lei venti giorni a Salta, la “linda” città ai piedi delle Ande argentine.
Un altro pezzo di America Latina, un luogo diverso che ha segnato particolarmente la mia strada, quella che oggi mi porta qui.
Era agosto, era inverno e a Salta si celebrava “El dia del niňo” quel giorno in cui, nel primo pomeriggio, ci avviammo verso Atocha, il quartiere più periferico e dimenticato della città. Il freddo pungente e la stanchezza che mi pesavano sulle spalle mal si abbinava all’atmosfera di festa che mi circondava.
La festa era stata organizzata da due signore del quartiere, la Pato e la Colo, mamme e nonne, sorridenti ed entusiaste come ragazzine. Ricordo un impianto stereo un po’ arrangiato e nell’aria musiche per bambini; le mie mani, intirizzite, che distribuivano pan dulce e leche y chocolate, lo zucchero sulle dita; bambini di ogni età infagottati in cappelli colorati che cadevano nella polvere di uno scivolo, divertiti più che mai; le manine di Luna che pettinavano i miei capelli, quelli di una “coloradita”; gli occhi grandi e speranzosi di Edoardo che, durante il gioco della pesca, sperava nella palla da calcio.
Ricordo la sera, lunga e fredda, in casa di Pato. Empanadas y asado de pollo per il suo compleanno; il fumo del fuoco e di sigaretta, le uniche fonti di calore; fernet e cola, un mate condiviso; i sorrisi e i pianti di Vicky, la piccola della casa, due anni come il mio nipotino.
Quel giorno lo ricordo difficile e pieno di sforzo ma rimane il ricordo più bello del mio viaggio argentino: perché il servizio è fatica, è anche freddo che sferza le guance, ma è gioia, è visi e nomi che restano oltre la distanza e il tempo.
Quel giorno ho capito che ne volevo ancora, che era tempo di partire e mettermi in gioco, da qualche parte del mondo.
Oggi, arricchita di quei giorni salteñi, è tempo del mio servizio, è tempo del mio viaggio. Ritorno in America Latina, qualche parallelo più in su, qualche ora di fuso orario in più; non più tra le Ande ma tra due oceani.
Eccomi Nicaragua, a noi!
Irene P.
alle
16:27
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