Henri Cartier-Bresson ha scattato questa foto nel 1961 in Grecia, sull'isola di Sifnos. È un’immagine a cui sono particolarmente affezionata perché spesso mi sono trovata ad immedesimarmi nella
bambina della foto che, dopo aver affrontato di corsa una scalinata, sta per girare un angolo dietro al quale non sa cosa troverà. Eppure continua a correre. Nella mia mente ho sempre pensato che se dovessi dare un nome all'istante immortalato, lo chiamerei “curiosità”. E la curiosità è uno degli aspetti che sento far parte del mio essere in modo profondo e onnipresente.
La curiosità è anche ciò che più di tutto spinge la mia testa a fare domande, a farmi delle domande, a sapere il cosa, il perché, il come di ciò che accade. E in questo preciso momento – ora che manca una settimana alla mia partenza per il Libano – sento che la mia mente è diventata quasi come un contenitore pieno fino all'orlo ma che vuole continuamente essere riempito, nonostante non ci sia più spazio: più domande ci verso dentro e più vorrei versarne.
Baricco è sicuramente più bravo di me ad esprimere le sensazioni che sto provando. In “Castelli di rabbia” scrive infatti che nella vita accadono cose che sono come domande. Che passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde.
Mi piace pensare che sia così. Mi piace pensare che le risposte alle infinite domande che ora ho sulla realtà in cui mi immergerò per un anno, prima o poi sazieranno la mia curiosità, senza il bisogno di cercarle ora con tanta fretta.
Forse alcune risposte le ho già trovate ancor prima di partire. Mi sono resa conto che la sensazione di smarrimento che a volte ho provato era dettata semplicemente dal venir meno di quelle barriere invisibili che spesso non ci rendiamo nemmeno conto di avere ma che, in realtà, costruiscono il nostro modo di vivere la quotidianità e di relazionarci. Mi sono anche detta che spesso, però, le risposte non sono il punto di arrivo nella scoperta di se stessi.
Ho realizzato, quindi, che uno dei desideri che ho per questo viaggio che deve cominciare, è che sia un tempo traboccante di domande che abbiano la capacità di condurmi verso una riscoperta, qualunque essa sia.
Vorrei riscoprire il senso del rumore e della quiete. Quello della parola e quello del silenzio. Vorrei riscoprire la contraddizione. È lei che porta a metterti in discussione, ad analizzare e comprendere le scelte a cui a volte non si riesce a dare una direzione precisa; è ciò che ti porta a cambiare. Non posso dirlo con certezza ma, in questo momento, ho la sensazione che il Libano possa e voglia regalarmi tutto questo.
Non pretendo che le strade, i palazzi, i colori e i volti di Beirut mi diano delle risposte a tutti i costi. Vorrei che riuscissero però a far crollare quelle barriere invisibili di cui parlavo e avere così la possibilità di immergermi completamente, senza vincoli, in una realtà nuova caratterizzata da relazioni e legami incontaminati.
Perciò, dopo aver affrontato di corsa e un po’ a fatica la scalinata, mi trovo anche io a dover girare l’angolo; ciò che mi aspetta dietro è il Libano e io sono la bambina della foto.
Giulia
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