La polvere rossa mi restava attaccata ai vestiti, ai capelli e al viso, quasi temesse il distacco. Ed io, che solo tre anni dopo realizzo quello che mi stava realmente accadendo, versavo in uno stato di abbandono parziale, connesso agli eventi che mi circondavano soltanto dalla paura che avevo di non godermi appieno il momento. Eppure dentro di me già viaggiavo, già ripartivo, già supplicavo il tempo di rallentare. La strada che ogni mattino percorrevo era insieme corta e lenta, veloce e lunghissima, sicura ed imprevedibile, perigliosa e noiosa.
Il grigio del cielo cozzava col caldo disegno che ormai mi ero imposto di trovare, al passaggio, col chiaro bagliore del sole che avrebbe inondato di luce le case arroccate della via: e invece quasi smunte, infreddolite, le strade parevano così gravemente normali, piatte, rigide; le mura coperte d’intonaco si ergevano e gonfie d’aria esibivano il petto, lasciando spoglie le crepe più lunghe, profondi i buchi più larghi, sporche le macchie più nere.
Tutto assumeva una dimensione nuova, quasi surreale, troppo grande e pesante da poter sopportare, distratto com’ero dal continuo valzer d’occhiate che lanciavo a destra e a manca: è così che ho dovuto socchiudere lentamente gli occhi, lasciar lavorare i sensi, prima d’accorgermi che il bello doveva ancora venire. Il tutto era così grande ed intenso da sopportare, distratto com’ero dal forte vociare che avevo, confuso, iniziato a esibire: è così che ho dovuto placarmi e sommessamente tacere, prima di realizzare che “dire” presuppone “ascoltare”. Ed era così, da cieco e muto che ascolta, tocca e annusa, che impostavo e calibravo la mia presenza in mezzo a tutta quella polvere rossa.
La stessa tra la quale a tratti annaspavo cercando aria, ma che spesso colorava stralci d’esperienza forse troppo duri da essere osservati in scala di grigi. La stessa che sì, è vero, mi soffocava, ma che allo stesso tempo mi costringeva a correre, ad uscire dagli spazi che ero solito ritagliarmi, a sporgere il naso oltre la coltre di paure e pregiudizi che mi annebbiavano la vista e mi rendevano ansimante il respiro.
La polvere rossa ti si attacca addosso e non ti lascia più, allo stesso modo di un’esperienza. La polvere rossa assume varie forme: può essere un volto, un paesaggio, un pianto o un’idea, un sorriso o una paura. A volte ti accorgi di lei quando ce l’hai già addosso, altre volte sei tu ad andartela a cercare.
a presto,
Giacomo Centonze
Nessun commento:
Posta un commento