A Krnjača
ci sono troppe persone e troppi nomi da imparare; nomi per lo più
ostici alla nostra lingua, tanto da costringerci a trovare dei
variegati equivalenti. Una galleria di soprannomi, dunque, è uno dei
primi strumenti che abbiamo elaborato in questa settimana; una
collezione di storie, di persone che si portano dietro molte e dure
“leggi di viaggio”.
1: non mettersi mai in
viaggio con fratelli, mogli, fidanzate, genitori.
Il
Falso Teenager compare un giorno in sala computer. Alla prima
richiesta di età risponde “sedici anni”, ma davanti a un bel
sorriso esce dal suo guscio schivo, ammette di avere un viso da uomo
e trent'anni, una moglie e due figli a casa. Non vede la sua famiglia
da quattro anni; non sa quanti altri anni passeranno prima di un
incontro. Dice di non aver visto crescere i suoi figli, di sentire la
mancanza di un semplice contatto, anche fisico, con la sua donna, che
non può toccare ormai da moltissimo tempo.
10: poter contare
sull'aiuto di un amico speciale con cui si è partiti o di cui si è
fatta la conoscenza durante il viaggio, e sulla cooperazione
all'interno di un ristretto gruppo di persone che si affratellano.
Nell'ultima
baracca in fondo al campo c'è una stanza di amici speciali. Sono in
quattro, si sono conosciuti durante il viaggio, e si sono promessi di
non lasciarsi mai. O partono tutti, o restano tutti: nessuno verrà
lasciato indietro. Prendono questa promessa talmente sul serio che,
durante l'ultimo tentativo di superare la barriera della polizia alla
frontiera croata, il più veloce fra loro ha deciso di tornare
indietro per non rischiare di far catturare (e picchiare) l'amico più
lento.
Il
ragazzo che corre in fretta si chiama Deejay: dj lo era davvero,
produceva musica, e il suo account su Instagram aveva raggiunto un
milione e mezzo di followers. Di famiglia benestante, pulitissimo, i
modi garbati, ha dovuto prima subire la morte di due fratelli, in un
attentato suicida, e poi un sequestro da parte dei talebani, di cui
aveva attratto troppo l'attenzione. Gli è stato sottratto tutto:
casa, proprietà, macchine, l'account da cui lanciava la sua musica.
Poi i talebani gli hanno chiesto di fuggire e di non tornare più.
Così
è partito, più veloce della polizia di frontiera, al punto da
riuscire a scappare ai poliziotti iraniani che volevano bruciargli la
spalla con un ferro da stiro, un segno di spregio per tutti i
clandestini. Ha trovato un buco nel soffitto, e ha tratto in salvo
anche tutti i suoi amici.
17: mantenere viva la
convinzione del perché del proprio viaggio.
Per entrare in contatto
con il Giornalista ci mettiamo un po' più di tempo: è un ragazzo
giovane, dai modi e dalla voce delicati, di buona famiglia,
quietamente introverso. Poi troviamo la chiave che sblocca il
dialogo: la sua passione. Il Giornalista è scappato perché a Kabul
non poteva più proseguire gli studi, che per lui sono una parte di
esistenza non secondaria: “la cosa più bella dell'imparare”, ci
scrive, “è che nessuno può portartelo via”. Con la sua
istruzione, di qualità più alta possibile, il ragazzo vuole fare
buon giornalismo: vuole cioè raccontare tutto ciò che avviene di
sbagliato o di brutto, nel suo Paese o altrove, perché il mondo
sappia.
Le leggi da cui abbiamo
preso spunto per affiancarvi esperienze di persone realmente
conosciute sono tratte da La frontiera, libro del 2015 di
Alessando Leogrande. Lo scrittore riporta 28 leggi elaborate da Sinti
e Dag, due rifugiati etiopi che ora vivono a Roma. I due, dopo averle
sperimentate in prima persona durante il loro viaggio di migrazione,
hanno deciso di appuntarle per mettere in guardia chi sarebbe
partito dopo di loro.
Mancano ancora molte
leggi e molte persone all'appello: l'Astrologo, Borsello, il Fashion
designer, La Donna con la croce, Andrea. Forse anche a noi mancano
ancora molti tasselli, molto più tempo perché i tanti spunti di
riflessione si concretizzino in un'azione, in un pensiero precisi.
Colpisce, intanto, in
tutti questi casi, l'enorme distanza fra ciò che queste persone
erano e ciò che sono; la perdita degli anni migliori della loro vita
spesi in questo viaggio; e, contro ogni nostra aspettativa, la
compostezza educata del loro dolore, il riserbo discreto nel quale
celano tutto il peso della loro storia.
Giulia, Ilaria, Michela, Stefano
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