post scriptum:mi sa che posticiperemo il ritorno :)".
Detto fatto, ma la foto si è persa nel cyberspazio gibutiano.
La porta si apre e subito ci investono un'aria fredda e odore di marmocchietto equatoriale. Occhi sgranati, facce da ebeti, bavetta dalla bocca aperta in espressione attonita, sudore che si asciuga sulla pelle morbida, voglia di nascondersi sotto la gonna della mamma o sotto qualsiasi altro nascondiglio, mani alla ricerca di sicurezza che annaspano tra i milioni di peluche, groppo in gola pronto a scoppiare per l'emozione, ogni singolo muscolo del corpo irrigidito dall'imbarazzo ingenuo per la sorpresa dell'INCONTRO...insomma nient'altro che bimbi di fronte a degli sconosciuti. Ma questi bambini siamo noi.
Siamo in un orfanotrofio della città di Djibouti, nel corno d'Africa dove il tempo scorre lento, umidità alle stelle e temperature mai sotto i 45°. A rompere il ghiaccio – che qui si scioglie in pochi secondi - sono stati una ventina di bellissimi bambini, vivaci e pronti a saltarci addosso come fossimo giganti giocattoli animati. Finalmente, grazie al loro primo passo, anche noi siamo riusciti a sbloccarci e, come ogni volta che ci si diverte, il tempo è passato inconsapevolmente tra coccole, abbracci, bolle di sapone, palloncini volanti, strillanti risate contagiose.
Esperienza toccante, e per alcuni nuova, imboccare, cambiare pannolini e metter a nanna queste piccole simpatiche meraviglie.
Momenti carichi di emozioni, destinati a rimanere impressi nella mente di chi li vive.
Se è vero, come canta Battisti, che capire tu non puoi, lasciati emozionare dall''immagine di un bambino che ti tende la mano non per farsi guidare ma per guidarti nel suo mondo fatto di imprevedibilità, stupore e bisogno di affetto.
Però tu chiamale, se vuoi.
E se ce la fai.
p.s.: Anche la “Canzone del SOLE” puoi cantare, qua a Gibuti. A qualsiasi ora del giorno, e della notte."
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