domenica 18 agosto 2013

Libano - Un viaggio fatto di persone


Ho sempre pensato che quello che contraddistingue un viaggio non è tanto il posto in cui si va ma le persone che si incontrano. Dei tanti viaggi che ho fatto non potrò mai dimenticare i volti delle persone e le emozioni che mi hanno dato. Emozioni che rimarranno per sempre impresse nella mia mente e nel mio cuore. Ed per questo che voglio raccontare delle persone che hanno reso anche questo viaggio unico e indimenticabile, iniziando dalle mie compagne.

Martina con la sua cipolla e il suo sguardo indecifrabile.

Denise con le sue mille domande e le sue battute.

 Anna con il viso da diva del cinema e la sua passione per le foto.

 Giulia con la sua insicurezza, che rivedo tanto in me e la sua dolcezza.

 Michela che non ha paura di raccontarsi e di esprimere le sue idee.

Qui allo shelter ci sono altrettante donne di cui parlare e per cui varrebbe la pena di scrivere pagine e pagine. Sono ragazze come me, mogli, madri venute in Libano alla ricerca di una vita migliore o di uno stipendio più alto per poter mantenere i propri figli o in fuga dalla guerra. Si sono ritrovate vittime di un sistema che non le tutela dalle violenze dei datori di lavori, e che non ha siglato l'accordo di Ginevra per i richiedenti asilo.

J. che in momento di sconforto mi ha aperto il suo cuore, mi ha fatto vedere la parte più fragile di sé attraverso le sue lacrime e si è lasciata consolare. Mi ha raccontato della sua famiglia, della sua casa piccolina circondata di alberi, ristrutturata con i soldi del suo lavoro che tanto le mancano. Quando si sente serena le manca ancora di più.

W. con cui ho subito trovato un legame fatto di sguardi e che è riuscita a farmi capire con una serie di battute divertenti la sua condizione allo shelter:  dividere lo stesso letto singolo con una sconosciuta,  utilizzare gli abiti usati perché quelli che aveva sono rimasti a casa della sua "Madame", ossia la sua datrice di lavoro, e non ha più modo di prenderli. Nonostante la sua capacità di ridere su tutte le cose brutte che le sono capitate ha mostrato il suo lato più sensibile (e ha fatto uscire anche il mio quando) con il viso pieno di lacrime ha raccontato di quanto fosse grata a Caritas per averla accolta.

G. che fuma mille sigarette per tenere a bada l'ansia dovuta all'incertezza di non sapere quale futuro ci sarà per lei e per la sua figlia quattordicenne. Mi ha mostrato facendosi capire a gesti che il suo cuore soffre per la figlia costretta a vivere da più 8 mesi nel centro Caritas, senza la possibilità di andare a scuola in attesa di accedere ad un programma di resettlement dell'Onu.

F. e M. madre e figlia con gli stessi occhi azzurri profondi che non possono tornare nel loro paese a causa delle minacce che le hanno costrette alla fuga. Sono nel centro Caritas da circa due anni e non sanno ancora quale sarà il loro destino.

M. che si è scusata per non aver potuto prendere parte ai nostri giochi in modo da poter rispettare il periodo di lutto per la morte del padre. Era in Siria fino a qualche mese fa ed è scappata in Libano dopo che il negozio in cui lavorava é stato bombardato. Non ha potuto essere vicina alla sua famiglia in questo momento di grande dolore perché non ha ancora ricevuto i documenti per poter essere rimpatriata. Si sente in colpa perché pensa che il padre sia morto per la preoccupazione di saperla in Siria durante la guerra.

M. mi ha presa in giro per il fatto che alla mia età non fossi ancora sposata e sosteneva che stessi scegliendo tra due o tre candidati (magari fossi così). Lei di bambini ne ha già due uno suo e uno che é il figlio di una sua amica che è venuta a mancare e del quale lei si è presa cura. Non so esattamente da quanto tempo non li vede.

L. , guerriera dal cuore tenero, tanto schietta e sincera quanto dolce e sensibile. L'ho vista difendere le sue ragioni e piangere per la nostra partenza con la stessa intensità che solo un persona di grande coraggio può avere.

N. lavora in uno degli shelter Caritas, dedica la sua vita a queste ragazze, forse perché per prima ha provato sulla sua pelle cosa significa essere una Migrant Worker in Libano. E' stata un'ispirazione. Fare il lavoro che ami vale più di ogni altra cosa.

E infine i bambini, che volevano sempre essere presi in braccio, che si sono innamorati di forbici e pinzatrici, che si sono addormentati tra le mie braccia e quelle delle mie compagne di viaggio, desiderosi di amore e di attenzione. Alcuni hanno subito le stesse violenze subite dalle madri altri sono vittime ancora più delle madri perché si trovano a vivere in una condizione che non hanno scelto. Ma i bambini riescono sempre a sorprendermi, hanno una marcia in più e riescono a vedere il buono anche dove non c'è.


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