Tra le immagini che affollavano
la mente prima della partenza sicuramente c'era quella di un'estate torrida qua
in Libano, e anche il terrorismo psicologico dei nostri coordinatori aveva
contribuito all'ansia di mettere in valigia i vestiti più leggeri e di munirci
di crema solare protezione 50.
Del resto, siamo in Libano, questo ci si aspettava….
Ma, tra le tante cose che appaiono diverse qui rispetto a quello che
la nostra mente ci aveva suggerito, anche i colori e il clima vogliono
stupirci.
Oggi allo shelter siamo avvolti da un'atmosfera molto suggestiva che
ci isola, ci abbraccia, quasi a proteggerci.
Tutto è circondato da nuvole
grigie, che nascondo il versante opposto della montagna, coprono i paesi
arroccati sotto a Rayfoun e chiudono il cielo sopra di noi. È strano guardarsi
intorno e non scorgere nulla, girarsi e toccare l'umidità, sentire le nuvole
qui accanto a noi, è come se le nuvole chiudessero la protezione dei cancelli e
lasciassero spazio solo a noi qua dentro.
Forse a rendere lo spettacolo più suggestivo è l'idea di isolamento
che lo accompagna. Qui le donne non possono assolutamente uscire dai cancelli.
Sono protette, trovano un rifugio che riesca a restituire loro una piccola
parte di quella serenità che hanno perso, provano a ricercare la forza e la
determinazione al di fuori da tutto quello che di orribile la società libanese
ha loro mostrato, ma sono anche prigioniere.
Tale reclusione sembra una questione molto difficile da accettare e da
condividere: tenere "prigioniere" delle donne che hanno come unica
colpa quella di aver provato a cercare fortuna in un paese forse non pronto ad
accoglierle; anche noi abbiamo faticato a renderci conto di cosa possa
significare il lavoro del Migrant Center di Caritas, a dargli una giusta
dimensione nella vita di queste ragazze.
La desolazione è uno degli stati d'animo che maggiormente emerge dai
loro racconti. Si sentono sospese, trattenute qui a causa anche di tempistiche
delle pratiche burocratiche dispersive e lunghe, che si oppongono alla
possibilità di soddisfare il motivo per cui hanno raggiunto questo paese.
Stare nello shelter fa sentire queste donne inutili per la loro famiglia
lontana, preoccupate dall'idea del fallimento del loro progetto migratorio e
bloccate nelle loro aspettative.
Tanta la delusione, che ormai ha
preso il posto della rabbia, tanto il dolore che accompagna la malinconia, ma
ancora di più è la speranza di tornare a vedere cosa ci sia al di là di queste
nuvole e la determinazione che anche nei loro giorni, così come nelle estati
libanesi, tornerà la luce, quella limpida della felicità! E proprio alla loro
forza, che sembra provenire da una caparbietà che non pensavo potesse davvero
esistere, la sera libanese regala i suoi
tramonti…
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