sabato 24 agosto 2013

MOLDOVA: "PAUSA DE APA"



E’ difficile trovare le parole per riassumere il cantiere in Moldova.
E’ stata un’esperienza bellissima.
Riguardo spesso le foto di Marco e rivedo i volti dei volontari italiani e moldavi, i sorrisi dei bambini, i campi sterminati di girasoli a Feteşti e le strade polverose di Roşu.
Ogni immagine mi ricorda un episodio, un racconto.
C’è una foto in particolare che mi piace e su cui ogni volta mi soffermo un po’ di più.







Rappresenta un semplice pozzo, uno dei tanti che puoi incontrare per le strade della Moldova.
Non ha niente di particolare. Però ogni volta che guardo questo pozzo mi vengono in mente tante cose.
Mi viene in mente la sete che avevo quando l’ho visto, proprio quello lì.
Era domenica, il primo giorno per noi in Moldova.
Stavamo andando a piedi sotto il sole da Feteşti al paese vicino per la messa. Faceva caldo e non si arrivava mai…mancavano sempre cinque minuti!
Non abbiamo bevuto da quel pozzo, anzi di acqua del pozzo noi italiani, in due settimane di campo, non ne abbiamo mai bevuta perché non eravamo abituati…e allora solo acqua in bottiglia, quella enorme di 6 litri!
Però dopo il primo giorno, quella sete è rimasta…ma era, per quanto mi riguarda, una sete diversa.
Infatti se penso al pozzo, subito mi viene in mente la quotidiana “pausa de apa” trascorsa all’ombra a bere con tutti i bambini  tra un gioco e l’altro.
Poi mi ricorda anche Parinte Igor che ha progettato di costruirne uno in un posto particolare.
Ci ha raccontato che la “Biserica” nuova, con i suoi tappeti e le sue mille icone dorate, per anni non è stata nient’altro che un cumulo di mattoni a fianco di una vecchia chiesa fatta di legno.
La costruzione della chiesa nuova in mattoni era stata interrotta durante il regime e quella vecchia era stata distrutta. Così per anni Feteşti è rimasta senza un luogo di culto. Solo dopo la caduta del regime e con l’arrivo di Parinte in paese la chiesa è stata finita.
Ora però, dove era situato l’altare della vecchia chiesa, Parinte ha deciso di far costruire un pozzo.
Questa cosa mi molto colpito per il grande significato che racchiude. Credo che dopo tanti anni di astinenza dalla vita spirituale, si senta un po’ il bisogno di andare a ripescare nel passato quella fede dimenticata e mai conosciuta dalle nuove generazioni.
 






Ma tornando alla foto del pozzo, se guardo bene, mi viene in mente anche un po’ Roşu.
Mi ricorda soprattutto una coppia di novantenni incontrati ai lavori sociali.
Siamo arrivati a casa loro e siamo stati accolti da un cane pulcioso che abbaiava a più non posso.
Il giardino era pieno di legna tagliata e accatastata un po’ così, erbacce alte e galline che giravano libere. La casa era decrepita, i muri erano di un azzurro slavato, i vetri delle finestre appannati, la porta stretta e leggermente storta. Ma soprattutto i due nonnini vivevano senza acqua in casa e avevano solo il pozzo fuori in strada.
La moglie ci ha raccontato la loro vita…e che vita! Una storia che ho fatto fatica a seguire per via della mia scarsa conoscenza della geografia e della storia contemporanea. In ogni caso, da quello che ho capito, i due sotto il regime sono stati deportati diverse volte dalla Bielorussia in campi di lavoro in giro per l’Unione Sovietica e poi si sono stabiliti in Moldova. I loro figli e i loro parenti sono tutti morti, rimane solo una nipotina che abita in città e che vedono raramente. Oggi vivono di stenti con quel poco che hanno, senza poter usufruire delle cure mediche di cui avrebbero evidentemente bisogno, visto che si reggono in piedi a malapena.
Al momento di cominciare a lavorare però i due ci ringraziano, ma rifiutano il nostro aiuto. Preferiscono continuare a fare da soli finché ce la fanno, almeno con i piccoli lavoretti hanno la giornata occupata.
E subito ho pensato alla fatica che faranno tutti i giorni per andare al pozzo per prendere l’acqua con le gambe che cedono.
Ma penso anche alla gioia che provano nel farcela ancora a 87 anni, nonostante tutto.
Potrei andare avanti ancora, ma mi fermo qui.

Ma ora mi chiedo: e adesso? Ho tante foto, tante storie, ma cosa mi resterà di questa esperienza?
Sono partito per questo viaggio forse un po’ con la convinzione di venire ad aiutare questa gente.
Effettivamente ho trovato persone “assetate”, molto.
Ma senza fare troppi conti, posso dire con certezza che quello che più ha goduto di questa esperienza sono stato io; ora sono tornato a casa, dissetato e con un pozzo personale a cui attingere che penso mi basterà per parecchio tempo. 

Drum bun a tutti i miei compagni e a chi ho incontrato in questa avventura! 
Luca
 

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