Gennaio
2014
Sono
in salotto, in piedi tra il divano e le finestre. Sto fissando i
grigi grattaceli sovietici che circondano il mio, specchi del mio.
Dal settimo piano ho una visuale perfetta di quei vecchi blocchi che,
come solidi scogli, emergono da quel mare verde di alberi e viti, che
sono le strade del mio quartiere.
E
poi all'improvviso arriva il vento, forte, troppo forte. I grattaceli
iniziano a sgretolarsi; pezzetto per pezzetto si disperdono
nell'aria, crollano su se stessi. So che tra pochi secondi succederà
lo stesso al mio palazzo, al mio appartamento con me dentro e
incomincio ad avere paura. Paura, ma anche voglia di scoprire cosa
accadrà, come tutto cambierà. Allora mi convinco che sopravviverò,
so che saprò ricostruirmi e mi rilasso perché questo sogno l'ho
già fatto, più di una volta, ieri o secoli fa.
Mi
sveglio e capisco che è arrivato il momento di partire, ri-partire,
di lasciare Tbilisi, la Georgia, il Caucaso, e che dovrò lasciare
qui una parte di me e che farà male.
Mi
sveglio e capisco che inizierò un nuovo viaggio, una nuova avventura
e che ci saranno nuovi ricordi da costruire e posti nuovi da
lasciare.
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