mercoledì 9 settembre 2015

Kenya: Oggi è un giorno di festa!

6 Agosto 2015

La notte con i capelli legati e tirati è terribile. Potrò dire di aver fatto anche questa pazzia: le treccine rasta all’africana con 8 kg di capelli lunghi biondi e rossi in più, ovviamente rossi; ma ora che scrivo ed è sera li ho sciolti dalla coda e anche se non sembro più Cleopatra ma una rasta-woman vera e propria almeno la mia testa respira un po’ finalmente.

Stamattina la sveglia è all’alba in previsione della visita alla prigione (che come volevasi dimostrare non faremo grazie ai cani antidroga kenyoti)(Martina sarà orgogliosa di me per aver scritto “kenyoti” con la “y”!) ed essendo l’ultimo giorno alla Cafasso portiamo tre valigie con parte del materiale usato e parte nuovo da lasciare in dono ai ragazzi. E a sorpresa Marta chiama la bellezza di ben 8 piki-piki (le motociclette che fungono da tassisti) per ognuno di noi. Che emozione, tra sorpassi abbastanza vietati in tripla fila, vari acceleramenti in curve a gomito e altrettante frenate inaspettate prima dei dossi inattesi. Il tutto abbracciata in modo abbastanza precario a un kenyota senza casco (entrambi ovviamente) che ogni tanto risponde al cellulare. Martina e Vale si fanno il viaggio in tre addirittura. Che coraggio! Anziché i soliti  40 minuti di camminata per attraversare il quartiere delle prigioni ce ne impieghiamo 10 oggi per arrivare dai ragazzi della Cafasso. Oggi è una giornata speciale, di festa e di saluti. Viene pure a trovarci Suor Serafina, la capo superiora di tutte le suore della consolata del Kenya. Ci tiene a farci un discorsetto di ringraziamento per il nostro lavoro e ci regala una collana fatta a mano da alcuni ragazzi di strada di uno dei loro progetti. Oltre a lei viene a salutarci anche il cappellano della prigione, un pezzo grosso, con tanto di colleghi catechisti vestiti in camicia e cravatta. Appena arrivata in Cafasso, tutti i ragazzi apprezzano la nuova acconciatura e Bernard, il ragazzo che lavora in una sartoria, mi fa provare uno dei suoi vestiti: giallo limone spento, gonna e maglia a campana. Diciamo che non lo comprerei mai , e penso che anche i miei compagni di viaggio la pensino così come risulta dalle loro risate. Una brutta notizia della giornata è stata di Angelo, il volontario italiano di Caritas in Kenya, che sarebbe dovuto venire a Mombasa domani con noi: è stato ricoverato in ospedale per un infezione intestinale ed è dovuto rientrare in Italia sedato e qualche giorno prima del previsto. Peccato perché mi sarebbe piaciuto molto salutarlo! Era così simpatico! Oggi è festa e la festa kenyota propone capretto alla griglia. Perciò alle 10 di mattina ci mettiamo tutti sotto  a cucinare. Le cipolle ci ammazzano. Solamente sbucciarle mi provoca uno di quei pianti dolorosi! Non invidiavo nemmeno un po’ chi le stava tagliando. Tra l’altro quella bella insalatina cruda di pomodoro, cavolo, carote  e cipolle, che probabilmente è dissenteria diretta, mi attira troppo e quindi ne gusto il saporino fresco senza troppo indugio. Ma il pezzo forte è la grigliata! Io e Vale non sappiamo bene come agire, se da tecnologhe alimentari o da africane. La carne di capra (un’intera carcassa) viene maneggiata da tutte le mani e in tutti i modi e con tutti i coltelli sporchi, viene immersa in una bacinella piena di acqua e di limone dove sta a mollo. Poi va a contatto diretto con la fiamma più e più volte, cade per terra, cade sulla cenere e viene rimessa con nonchalance sulla griglia artigianale. Una volta cotta è lasciata all’aria aperta sul tavolo lercio a disposizione del milione di mosche presenti. Insomma, se non ci succede nulla dopo questo pranzo alternativo direi che saremo immuni a qualsiasi rischio alimentare! Ciò che non uccide fortifica, giusto? Bisogna dire che l’intervento di Giacomo (l’unico uomo italiano presente) è fondamentale. Grazie a lui la situazione migliora un po’, igienicamente parlando. Ad allietare il pranzo fortunatamente c’è il ginger, ma questa volta la bevanda. È buonissima! Frizzantina, dolciastra con retrogusto amarognolo. Dopo il pranzo c’è un momento organizzato di balli. I ragazzi africani hanno tutto un loro modo di ballare con passi e salti strani che maldestramente come al solito cerco di imitare. Arriva infine il momento dei saluti. Felix e Wolf prendono le redini del discorso: “the most difficult word to say in Africa is ‘goodbye’ so come back here soon”, “pray God and remember us in the stories you will tell to your friends”, “learn to smile, always, because can change the world and the people”. E così osservo Duke , timido agricoltore a cui mi sono affezionata perché mi ricorda mio cugino ed era il ragazzo più timido e polite; Big John, il più stordito che ride sempre nelle sue goffaggini; Small John, così fiero di sè; Simon, che faceva il provolone per ballare; Samuel, il gentilissimo amante degli animali che regala a tutte un ultimo braccialetto; Andry, che cantava sempre “brrrr” e “o mare nero”; Borongo, il più irrequieto; Chegge, quello sempre fatto di colla anche se Marta dice che invece è fulminato così di natura; Mesha, che tenta inutilmente di suonare sempre il tamburo ed è sempre fuori tempo; Frank, l’ingegnere meccanico dagli occhi verdi; William, il miglior ballerino e il più tamarro tra tutti; Bernard, il viscido sarto. E dall’altra parte vedo Vale, timida ma dolce, sensibile e molto pratica; Martina, la super boss dei bans e dei giochi che ci sa proprio fare coi bimbi; Chiara, alla mano e che è sempre in grado di buttarsi; Francy, la più pazzerella e anche la più brava a interagire coi ragazzi nonostante non parli una parola di inglese; Alice, che l’altra sera mi ha confidato che questi ragazzi l’hanno sorpresa e sono stati capaci di insegnarci la semplicità e la sincerità del cuore che in Italia troppo spesso dimentichiamo; Giacomo, scherzoso e molto molto paziente, in gamba sia coi ragazzi e i bimbi sia quando si tratta di lavorare e mettersi sotto; Marta, il nostro saggio leader, forse più kenyota che italiana e anche se non sempre condivido i suoi pensieri ho apprezzato moltissimo la sua super disponibilità nei confronti di ogni nostra esigenza e il suo sangue freddo in ogni situazione un po’ critica. E io, il solito buffone del gruppo, mi trovo bene in mezzo a tutti loro. Riesco a vivermi questa esperienza positivamente. A casa tutte le mie cosucce e i miei impegni sono sistemati e i miei affetti mi fanno stare serena. I giorni trascorsi qui a Nairobi sono andati alla grande. Io sento di essere riuscita a dare e ricevere il giusto ogni giorno un po’ con tutti e riesco ad essere me stessa, spontanea ed ingenuotta. Vivo alla giornata, senza troppi programmi (a parte quando stresso Marta per le cose da comprare!) Sono consapevole
di quanto sia importante vivere senza troppe aspettative e che la cosa più bella che puoi donare è il tempo che trascorri con questi ragazzi e il come lo trascorri, qui ed ora, con tutti noi stessi. Questa esperienza e questo incontro è sicuramente un gift per entrambe le parti. Arrivata la sera dobbiamo voltare pagina e razionalmente camminare avanti, per l’ultima volta lungo quella strada rossa che ci riporta verso la nostra parrocchia, salutando tutti quei visi di ragazzi normalissimi e buoni e desiderosi di costruire una vita più bella e serena. E anche il cielo è triste e si rannuvola.


La sera dovevamo andare a Korogocho ma a causa di un imprevisto l’appuntamento salta e Marta, essendoci molto legata, è triste. L’unica regola dell’africa è l’imprevedibilità. E così come quando siamo arrivati il primo giorno, due settimane fa, assistiamo alle spettacolari prove del coro dei giovani della parrocchia che mi riscaldano il cuore con le loro voci forti e vive. Il cerchio si chiude, la nostra esperienza alla Cafasso si è conclusa ed i ragazzi sono stati felici (hanno pianto ci ha detto Wolf!). Ma adesso bisogna essere carichi per la prossima settimana! Mombasa ci aspetta!

Noemi Caruggi



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