Siamo arrivati in Libano e abbiamo trovato cemento, caldo e contraddizioni. Ci siamo ritrovati in una città che, apparentemente, potrebbe sembrare non troppo diversa da Milano, ma non c’ è angolo in cui non ci sia qualcosa di inspiegabile.Provate quindi a immaginare come possa essere stato scavalcare il muro per entrare in uno shelter di accoglienza per donne migranti e rifugiati in condizioni di vulnerabilità e ritrovarsi a con-viverci. Giorno e notte.
Faticoso. Molto faticoso. La barriera linguistica è
ovvia, ma non scontata e ci limita fortemente nella vicinanza e nel contatto
con le persone. Tuttavia siamo comunque qui per ascoltare e lasciarci
coinvolgere dalle loro storie e dai loro sogni. Ma quanto possiamo lasciarci
effettivamente toccare da questi volti e dai segni su di essi senza perdere la
lucidità che ci permette di non essere una presenza ingombrante? Forse potremmo
provare ad essere come Fattouma, una bambina dallo sguardo curioso e vivace,
che ogni mattina ci da il buongiorno per prima aggrappandosi alle finestre
della nostra stanza, che ci diverte con i suoi scherzi e ci riempie di affetto
con i suoi abbracci; che spunta all`improvviso da ogni angolo pur di seguirci
con lo sguardo: quello sguardo dietro il muro che apre dei varchi e si fissa
nel cuore di chi lo osserva.
Tiriamo
fuori la nostra forza, a cui la loro evidente fragilità ci spinge ad ancorarci,
e ci affidiamo agli effetti che la novità della nostra presenza provoca nella
loro quotidianità, talvolta monotona.
Basta
un sorriso che spunta inaspettato o un bambino che ti prende la mano per far
esplodere un rinnovato entusiasmo; e forse è proprio questo l’obiettivo del nostro
servizio.
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