lunedì 14 agosto 2017

CAPITOLO 2 NICARAGUA: 9 novembre 1989

Qui, a Nueva Vida, camminando per le strade del barrio oltre al fiume di acqua sporca che scorre a lato della strada cio’ che salta all’occhio immediatamente sono le barricate di lamiera, filo spinato e mattoni che delimitano e rinchiudono le case e la quotidianita’ delle famiglie che vi abitano. Un muro fisico che talvolta lascia scorgere solo il tetto. Un muro che per noi pare essere gia’ sufficientemente alto, ma che per loro non lo e’ ancora abbastanza. Un muro che nasce per “asegurar” la casa, renderla sicura dalle minacce e dalla violenza del barrio, ma che in fondo porta solo a un isolamento delle persone stesse, le une dalle altre. Sono muri che accostati l’uno all’altro sembrano formare due muraglie cinesi ai lati delle strade che si guardano l’una con l’altra formando un corridoio tra le stesse: corridoio che e’ simbolo di tutto cio’ che e’ “altro” rispetto al nucleo famigliare. Un qualcosa che per noi e’ liberta’, mentre per loro e’ un luogo di “pandillas” e “vagos”. Un corridoio da evitare e da cui proteggersi. Cio’ che differenzia la muraglia cinese dalle barricate di Nueva Vida e’ che se la prima era nata per dividere due popoli, questa esiste per dividere la comunita’ stessa.


Continuando a camminare tra i corridoi delle cinque etapas si incontra, poi, il muro di Redes de Solidaridad, un’ associazione che, dal passaggio dell’ uragano Mitch (1998), si impegna a lavorare con la popolazione di Nueva Vida cercando per quanto possibile di rispondere in modo efficace e democratico alle esigenze locali. Questo muro divide tutto cio’ che e’ il barrio da quella che, invece, e’ un’ isola felice: non e’ da intendere come un muro di totale separazione, ma come un muro che di giorno si apre ai bisogni e alle necessita’ della popolazione tendendo diverse mani pronte all’ aiuto e che, pero’, di notte si chiude con i quattro guardiani simile a un fortino per proteggersi, da un  lato, dalle problematiche di delinquenza locale e, dall’altro, da quelle che possono essere bisogni urgenti della comunita’, come un farmaco o una richiesta di assistenza per vari motivi. Questo muro lascia, quindi, intravedere il barrio e i suoi problemi, proprio come in aluni punti del muro del Messico in cui si vede aldila’, oltre.


I muri che si incontrano in Nueva Vida non sono pero’ solo strutture fisiche, ma anche metafora di idee e riflessioni. Esiste il muro di razza che separa il bianco dal nero e che suscita in noi alcune domande. Perche’ nei manifesti propagandistici il presidente della Repubblica Ortega appare piu’ bianco? Perche’ Francisco, ragazzo del barrio, si vanta di essere piu’ bianco rispetto ai suoi compagni? Il bianco in Nicaragua viene visto come lo status a cui ambire in quanto status di coloro che “vivono bene”, che hanno piu’ tutele famigliari e personali e piu’ possibilita’ di successo in generale.


Esiste anche il muro di genere che divide la donna dall’uomo. Perche’ io, donna, dopo una certa ora non posso piu’ uscire di casa in totale sicurezza? Perche’ io, donna, mi ritrovo spesso da sola a dover svolgere quotidianita’ domestiche? Dove e’ l’uomo e che ruolo ha all’ interno della famiglia?


I nostri sono solo pensieri e domande nati in noi in questo cammino fisico e mentale nel barrio, tra dialoghi e scambi con le persone locali e l’ultimo pensiero che vorremo lasciare e’ la nostra speranza. Speranza che tutti questi muri cadano come e’ caduto il muro di Berlino, speranza che al loro posto nascano ponti. Ponti per unire, aprire e crescere. 

Filippo, Anna, Ale, Giulia

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