Qui, a Nueva Vida, camminando per le strade del
barrio oltre al fiume di acqua sporca che scorre a lato della strada cio’ che
salta all’occhio immediatamente sono le barricate di lamiera, filo spinato e
mattoni che delimitano e rinchiudono le case e la quotidianita’ delle famiglie
che vi abitano. Un muro fisico che talvolta lascia scorgere solo il tetto. Un
muro che per noi pare essere gia’ sufficientemente alto, ma che per loro non lo
e’ ancora abbastanza. Un muro che nasce per “asegurar” la casa, renderla sicura
dalle minacce e dalla violenza del barrio, ma che in fondo porta solo a un
isolamento delle persone stesse, le une dalle altre. Sono muri che accostati
l’uno all’altro sembrano formare due muraglie cinesi ai lati delle strade che
si guardano l’una con l’altra formando un corridoio tra le stesse: corridoio
che e’ simbolo di tutto cio’ che e’ “altro” rispetto al nucleo famigliare. Un
qualcosa che per noi e’ liberta’, mentre per loro e’ un luogo di “pandillas” e “vagos”.
Un corridoio da evitare e da cui proteggersi. Cio’ che differenzia la muraglia
cinese dalle barricate di Nueva Vida e’ che se la prima era nata per dividere
due popoli, questa esiste per dividere la comunita’ stessa.
Continuando a camminare tra i corridoi delle cinque
etapas si incontra, poi, il muro di Redes de Solidaridad, un’ associazione che,
dal passaggio dell’ uragano Mitch (1998), si impegna a lavorare con la
popolazione di Nueva Vida cercando per quanto possibile di rispondere in modo
efficace e democratico alle esigenze locali. Questo muro divide tutto cio’ che
e’ il barrio da quella che, invece, e’ un’ isola felice: non e’ da intendere
come un muro di totale separazione, ma come un muro che di giorno si apre ai
bisogni e alle necessita’ della popolazione tendendo diverse mani pronte all’ aiuto
e che, pero’, di notte si chiude con i quattro guardiani simile a un fortino
per proteggersi, da un lato, dalle
problematiche di delinquenza locale e, dall’altro, da quelle che possono essere
bisogni urgenti della comunita’, come un farmaco o una richiesta di assistenza
per vari motivi. Questo muro lascia, quindi, intravedere il barrio e i suoi
problemi, proprio come in aluni punti del muro del Messico in cui si vede
aldila’, oltre.
I muri che si incontrano in Nueva Vida non sono
pero’ solo strutture fisiche, ma anche metafora di idee e riflessioni. Esiste
il muro di razza che separa il bianco dal nero e che suscita in noi alcune
domande. Perche’ nei manifesti propagandistici il presidente della Repubblica
Ortega appare piu’ bianco? Perche’ Francisco, ragazzo del barrio, si vanta di
essere piu’ bianco rispetto ai suoi compagni? Il bianco in Nicaragua viene
visto come lo status a cui ambire in quanto status di coloro che “vivono bene”,
che hanno piu’ tutele famigliari e personali e piu’ possibilita’ di successo in
generale.
Esiste anche il muro di genere che divide la donna
dall’uomo. Perche’ io, donna, dopo una certa ora non posso piu’ uscire di casa
in totale sicurezza? Perche’ io, donna, mi ritrovo spesso da sola a dover
svolgere quotidianita’ domestiche? Dove e’ l’uomo e che ruolo ha all’ interno
della famiglia?
I nostri sono solo pensieri e domande nati in noi
in questo cammino fisico e mentale nel barrio, tra dialoghi e scambi con le
persone locali e l’ultimo pensiero che vorremo lasciare e’ la nostra speranza.
Speranza che tutti questi muri cadano come e’ caduto il muro di Berlino,
speranza che al loro posto nascano ponti. Ponti per unire, aprire e crescere.
Filippo, Anna, Ale, Giulia
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