Potrei iniziare questo racconto parlandovi di numeri, di quante
persone ospitava il campo profughi di Bogovadja, in Serbia, ma non voglio
farlo, perché non ho incontrato numeri, ho incontrato persone, volti, storie e
questo è quello che mi è rimasto nel cuore.
Nel campo ho incontrato famiglie intere, ragazzi e giovani che
arrivavano da diversi paesi e diversissime tradizioni culturali, c'era chi
arrivava dall’Iran, dall’Afghanistan, dal Pakistan, dall’Iraq, chi arrivava
dalla Siria o dalla Macedonia, chi addirittura da Cuba o da qualche paese
africano, tutti riuniti li, in attesa, infinita attesa, di poter entrare in
Europa passando dalla Serbia e poi dall’Ungheria.
Nel campo si incontrano volti sorridenti, soprattutto quelli dei
bambini, ma non tutti, e altri volti stanchi, preoccupati, tristi…accusano la
mancanza della famiglia, di un padre, di una madre, di un marito, la mancanza
di una casa che sia loro e di un paese dove potersi sentire a casa.
Ma perché sono scappati dal loro paese? Quante volte questa
domanda ci ronzava in testa, quante volte avremmo voluto chiederlo ma non era
il caso, alcune volte, invece, la risposta ci e’ stata regalata senza doverla
chiedere.
Un pomeriggio caldissimo durante il beauty saloon per le donne
del campo, chiediamo a Katy una splendida ragazza afghana quanti anni ha…
“quindici” ci dice lei…strano, pensiamo, sembra più grande, già donna!
Poi sottovoce, per non farsi sentire dagli altri, un po' in
imbarazzo, ci rivela il segreto: “Sapete, in realtà ho 17 anni, ma da quando
sono arrivata qui, tutti mi dicono di mentire sulla mia età, di dire che sono
più piccola, perché fino a quando siamo minorenni abbiamo più tutele, ma a dire
il vero non mi piace mentire, e’ una cosa che non faccio mai! Anzi io e la mia famiglia siamo estremamente
grati per tutto quello che stiamo ricevendo qui, per come ci stanno trattando
da quando siamo partiti, e pensare che chi ci aiuta così non è nemmeno il
nostro paese ma altri! Mi piacerebbe davvero tanto poter vivere in un paese più
libero come l’Italia o i paesi europei, poter studiare e fare politica per
aiutare poi la gente del mio paese…sapete io e mia sorella stiamo tenendo un
video diario per raccontare tutto quello che stiamo vivendo durante il nostro
viaggio!”
Katy e’ arrivata al campo da due mesi, e’ partita
dall’Afghanistan con sua mamma, le sue sorelle Eve di 19 anni, Fatima di 15, Tina di 8 e suo fratello Mohammed, di 10 anni.
Il loro papà li controlla dall’Afghanistan, gli invia i soldi
per gli spostamenti e si accerta sempre di essere in contatto con loro; li
raggiungerà quando saranno al sicuro, in Svizzera o in Svezia, ma non ora,
adesso deve continuare a lavorare per assicurargli la possibilità di compiere
il loro viaggio.
Hanno dovuto lasciare la loro città tormentata dalle bombe, ma
non solo per quello…il loro stile di vita probabilmente non era ben accetto…si,
perché né Katy né le sue sorelle portano il velo, vestono all’occidentale,
conoscono alla perfezione Arabo, Pharsi e Inglese, hanno studiato in scuole
all'avanguardia e il loro papà non pratica nessuna religione in particolare e
lavora per un'azienda informatica internazionale.
Per questo hanno ricevuto delle minacce anche nel campo. La loro
mamma un giorno ha aperto la porta e si è sentita dire di stare attenta alle
sue figlie, di non metterle troppo in mostra, per questo ora non si vedono più
molto girare per le attività…
Qualche giorno dopo Katy si avvicina di nuovo a me e nell’orecchio
mi sussurra “we go Game”… se ne vanno dal campo. Il Game e’ quando cerchi di
passare la frontiera, illegalmente, quando il tempo d'attesa e’ troppo e quando
non ne puoi più di lasciare la tua vita in stand-by per uno, due o più anni.
Zaini in spalla, vestiti comodi, lacrime negli occhi e la mamma
di Katy ci ringrazia per quello che abbiamo fatto per loro, ci saluta e ci
stringe per ricevere conforto e coraggio…quanto che ne ha questa donna…ha
attraversato da sola con 5 figli Afghanistan, Iran, Turchia, Grecia, Macedonia
e Serbia e stanotte cercheranno di passare il confine della Croazia in un
camion o attraverso il bosco o il fiume, evitando la frontiera, per poi
arrivare in Italia e dirigersi verso la Svezia.
Da qual giorno, anche se ci siamo scambiati i numeri, non li ho
più sentiti, non so dove sono, al campo non hanno più fatto ritorno, e io mi
auguro con tutto il cuore che stiamo bene e che siano al sicuro…
Per qualcuno potranno essere profughi o clandestini, o peggio,
ma per me sono Eve, Katy, Fatima, Tina e Mohammed. Non li ringrazierò mai
abbastanza, loro, come tutti gli altri nel campo, per avermi aperto il cuore
anche a quei popoli e a quegli stati del mondo che tanto ci stanno insegnando
ad odiare.
Chiara
⟹⟹⟹THIS IS PEKARA'S TEAM!!!
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