lunedì 25 agosto 2014

Bolivia: Gratuitamente avete ricevuto...


Lavoriamo un sacco sul donare gratuitamente, su quanto sia bello donare e su quanto questo sia arricchente, ma siamo capaci di ricevere? Siamo veramente capaci di ricevere gratuitamente? O il ricevere ci è scomodo e ci infastidisce? Oppure nella nostra infinita arroganza pensiamo di non aver mai bisogno di ricevere e che abbiamo solo da donare?

Il ricevere è molto scomodo, ci fa sentire piccoli, ci da l’impressione di dipendere dalla persona che ci ha fatto il dono, ci fa sentire in debito nei suoi confronti e non ci piace sentirci in debito, ci fa vivere con l’ansia di ricambiare, di liberarci. Il debito, nella nostra testa, ci lega all’altra persona e per noi “occidentali”, per la nostra cultura, il sentirci legati a qualcuno, che magari non conosciamo bene o che non ci sta troppo simpatico, non ci piace. O peggio, il dono potrebbe venire da una persona che noi riteniamo “inferiore”, dalla quale noi crediamo di non avere nulla da ricevere. Scusate il politicamente scorretto, ma nelle nostre teste esiste il concetto di “inferiore”, anche se facciamo di tutto per mascherarlo, anche se abbiamo inventato mille modi e mille altre parole per camuffarlo e anche se grazie alla ragione stiamo facendo di tutto per dirci che siamo tutti uguali, nella nostra testa, nel nostro subconscio che deriva dalla nostra parte più profonda, dove ancora si annidano i nostri più antichi e biechi istinti animali, esiste il concetto di inferiorità. Come “inferiore” ora identifichiamo: i bambini, gli anziani, gli “sfigati”, le persone con handicap fisici e/o mentali, i poveri, i bisognosi…insomma le persone che stanno ai margini della società.

Donare a queste categorie ci fa sentire grandi, importanti, buoni, ci fa sentire dei super eroi e ci da prestigio a livello sociale. Ci piace farci belli dicendo: “Sono andato in missione in… (aggiungete voi il nome del paese più povero e più sfigato che vi venga in mente), e ho salvato vite, ho costruito scuole, ho costruito ospedali gratuiti per tutti, ho lottato contro malattie impossibili… Quando raccontiamo queste cose le ragazze o i ragazzi (a seconda di chi parla e di chi ascolta) sospirano, le nonne ti fanno lo sganascino sulle guance e dicono: “và che bravo fiö” (chi ancora parla o scrive queste antiche lingue nordiche che sono i dialetti del nord Italia mi scuserà per come l’ho scritto)i sindaci ci premiano con chiavi della città e riconoscimenti che andranno su di una mensola a prendere polvere, il nostro ego si allarga a dismisura e a volte entriamo in competizione per chi dona di più: “io ho donato 100!”; “io 1000!”; “io DI PIU’ !”. Così donando, a volte, calpestiamo la persona che vorremmo aiutare. Non lo facciamo più per lei, ma lo facciamo per noi, solo ed esclusivamente per noi, e manchiamo il nostro obbiettivo.

Allora io dico: impariamo a ricevere, a ricevere gratuitamente, a fare tesoro di quello che riceviamo. Capiamo che chi ci dona qualcosa lo sta facendo per la semplice gioia di donare, che non si aspetta nulla in cambio, a volte neanche la nostra riconoscenza. Impariamo a lasciare da parte la nostra fretta di ricambiare, il momento in cui l’altra persona avrà bisogno di noi si presenterà e semplicemente, per coglierlo, basterà stare con gli occhi e il cuore aperti.

Perché questa riflessione? Perché il week end del 16 y del 17 Agosto sono successe due cose. La prima è la camminata della notte di Urkupiña, durante la quale Caritas Cochabamba ne approfitta per raccogliere monete per finanziare una sua campagna, quest’anno a favore della lotta alla tratta e al traffico di persone. La seconda è stata domenica la visita ad una comunità rurale, dove siamo stati invitati in casa di una famiglia.

Venerdì notte, da mezzanotte alle sei, noi volontari di Caritas Ambrosiana siamo stati coinvolti nella raccolta di monete organizzata da Caritas Cochabamba. Una delle cose più interessanti fu vedere come la gente partecipava alla raccolta. C’erano persone che ti donavano la moneta solo per far si che tu li lasciassi proseguire il cammino, altri che lo facevano per abitudine, altri ancora perché lo facevano tutti. Poi c’erano quelli che lo facevano perché presi dal momento, quelli che lo facevano per devozione alla Madonna quelli che lo facevano perché ti ascoltavano e capivano l’importanza del tema della campagna. A donare partecipavano tutti i tipi di persone, ricchi e poveri; giovani e vecchi. Di fronte a persone, che ai nostri occhi europei non hanno un centesimo da donare, che lasciano giù non una, ma magari quattro o cinque offerte, ci viene in mente la domanda perché? Beh al di la della convinzione di alcuni, dello spirito caritativo di altri e delle altre mille motivazioni che ho detto prima ce ne è una quasi più profonda: “io dono perché ho una dignità. Sarò povero, non guadagnerò molto, farò fatica ad arrivare a fine mese però comprendo quello che stai facendo, so che è una cosa buona e voglio contribuire anch’io, con quel poco che ho, donandoti magari quello che non posso permettermi di donarti, però siccome ho una dignità e mi guadagno da vivere voglio partecipare anch’io”.

Seguendo questo filo conduttore arriviamo al secondo episodio. Domenica, invitati (noi e il gruppo del centro missionario di Bergamo) in casa di David e della sua famiglia, ci è stato offerto da mangiare. Questo perché eravamo ospiti e qui l’ospitalità è ancora sacra. In Bolivia ci sono tanti problemi, si ha ancora molto da lavorare sulla gratuità, però l’ospitalità rimane sacra e all’ospite si offre il meglio che si ha, senza fare calcoli (come facciamo noi) di quanto questa visita ci viene a costare o che magari se offro a lui poi non rimane più niente in casa. Così di fronte al catino di mais (mote) e di uova che ci veniva offerta, che sicuramente era più di quello che si sarebbero potuti permettere, noi, europei ci siamo sentiti a disagio e abbiamo sentito il bisogno di placare le nostre coscienze. Di fronte a tanta generosità, di fronte all’orgoglio di David che ci stava mostrando casa sua, la sua famiglia e il suo stile di vita. Di fronte ad un “povero” che con orgoglio ci offre più di quello che può, noi ci siamo sentiti a disagio. Di fronte al nostro disagio abbiamo reagito nella peggiore delle maniere, dando un valore in denaro a quello che ci veniva offerto e lasciandoli quindi un’offerta en plata. Il valore materiale dell’offerta superava di molto il valore materiale di quello che ci veniva offerto e sicuramente quei soldi faranno comodo a questa famiglia; ma ciò non toglie che li abbiamo offesi, abbiamo offeso la loro dignità, anche se abbiamo spiegato che non lo facevamo per fare l’elemosina, alla fine è quello che abbiamo fatto.

Non siamo stati capaci di ricevere, abbiamo pensato solo a noi, solo al nostro disagio di europei, non abbiamo saputo vedere l’orgoglio che queste persone avevano nel donare a noi e nel mostrarci casa loro. Abbiamo solo saputo pensare che siamo noi quelli che sono qui per salvare, che non siamo qui per ricevere. Così abbiamo offeso la dignità di queste persone e il disappunto e l’imbarazzo sulla faccia di David era tangibile.

E’ incredibile la nostra arroganza e di come salti fuori anche quando cerchiamo di fare del bene (il gesto di lasciare l’offerta non è stata fatta in cattiva fede ma semplicemente senza considerare l’altro).

Impariamo che il donare e il ricevere sono due atti di amore, che entrambi sono gratuiti e che non esiste una contropartita per un gesto del genere.

Vorrei chiudere con un pensiero di Hermana Cherubina: noi non salviamo nessuno, non siamo qui per salvare qualcuno, non hanno bisogno di essere salvati, ma siamo qui per salvare noi stessi.






2 commenti:

  1. grazie Davide, mi hai emozionato e sei riuscito a descrivere perfettamente ciò che condivido pienamente! Manu

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  2. Davide, post molto interessante. Grazie per aver condiviso le tuo riflessioni.

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