Lavoriamo un sacco sul donare gratuitamente, su quanto sia
bello donare e su quanto questo sia arricchente, ma siamo capaci di ricevere?
Siamo veramente capaci di ricevere gratuitamente? O il ricevere ci è scomodo e
ci infastidisce? Oppure nella nostra infinita arroganza pensiamo di non aver
mai bisogno di ricevere e che abbiamo solo da donare?
Il ricevere è molto scomodo, ci fa sentire piccoli, ci da
l’impressione di dipendere dalla persona che ci ha fatto il dono, ci fa sentire
in debito nei suoi confronti e non ci piace sentirci in debito, ci fa vivere
con l’ansia di ricambiare, di liberarci. Il debito, nella nostra testa, ci lega
all’altra persona e per noi “occidentali”, per la nostra cultura, il sentirci
legati a qualcuno, che magari non conosciamo bene o che non ci sta troppo
simpatico, non ci piace. O peggio, il dono potrebbe venire da una persona che
noi riteniamo “inferiore”, dalla
quale noi crediamo di non avere nulla da ricevere. Scusate il politicamente
scorretto, ma nelle nostre teste esiste il concetto di “inferiore”, anche se facciamo di tutto per mascherarlo, anche se
abbiamo inventato mille modi e mille altre parole per camuffarlo e anche se
grazie alla ragione stiamo facendo di tutto per dirci che siamo tutti uguali,
nella nostra testa, nel nostro subconscio che deriva dalla nostra parte più
profonda, dove ancora si annidano i nostri più antichi e biechi istinti
animali, esiste il concetto di inferiorità. Come “inferiore” ora identifichiamo: i bambini, gli anziani, gli “sfigati”, le persone con handicap fisici
e/o mentali, i poveri, i bisognosi…insomma le persone che stanno ai margini
della società.
Donare a queste categorie ci fa sentire grandi, importanti,
buoni, ci fa sentire dei super eroi e ci da prestigio a livello sociale. Ci
piace farci belli dicendo: “Sono andato in missione in… (aggiungete voi il nome
del paese più povero e più sfigato che
vi venga in mente), e ho salvato vite, ho costruito scuole, ho costruito
ospedali gratuiti per tutti, ho lottato contro malattie impossibili… Quando
raccontiamo queste cose le ragazze o i ragazzi (a seconda di chi parla e di chi
ascolta) sospirano, le nonne ti fanno lo sganascino sulle guance e dicono: “và
che bravo fiö” (chi ancora parla o scrive queste antiche lingue nordiche che
sono i dialetti del nord Italia mi scuserà per come l’ho scritto)i sindaci ci
premiano con chiavi della città e riconoscimenti che andranno su di una mensola
a prendere polvere, il nostro ego si allarga a dismisura e a volte entriamo in
competizione per chi dona di più: “io ho donato 100!”; “io 1000!”; “io DI PIU’
!”. Così donando, a volte, calpestiamo la persona che vorremmo aiutare. Non lo
facciamo più per lei, ma lo facciamo per noi, solo ed esclusivamente per noi, e
manchiamo il nostro obbiettivo.
Allora io dico: impariamo a ricevere, a ricevere
gratuitamente, a fare tesoro di quello che riceviamo. Capiamo che chi ci dona
qualcosa lo sta facendo per la semplice gioia di donare, che non si aspetta
nulla in cambio, a volte neanche la nostra riconoscenza. Impariamo a lasciare
da parte la nostra fretta di ricambiare, il momento in cui l’altra persona avrà
bisogno di noi si presenterà e semplicemente, per coglierlo, basterà stare con
gli occhi e il cuore aperti.
Perché questa riflessione? Perché il week end del 16 y del 17 Agosto sono
successe due cose. La prima è la camminata della notte di Urkupiña, durante la
quale Caritas Cochabamba ne approfitta per raccogliere monete per finanziare
una sua campagna, quest’anno a favore della lotta alla tratta e al traffico di
persone. La seconda è stata domenica la visita ad una comunità rurale, dove
siamo stati invitati in casa di una famiglia.
Venerdì notte, da mezzanotte alle sei, noi volontari di
Caritas Ambrosiana siamo stati coinvolti nella raccolta di monete organizzata
da Caritas Cochabamba. Una delle cose più interessanti fu vedere come la gente
partecipava alla raccolta. C’erano persone che ti donavano la moneta solo per
far si che tu li lasciassi proseguire il cammino, altri che lo facevano per
abitudine, altri ancora perché lo facevano tutti. Poi c’erano quelli che lo
facevano perché presi dal momento, quelli che lo facevano per devozione alla
Madonna quelli che lo facevano perché ti ascoltavano e capivano l’importanza
del tema della campagna. A donare partecipavano tutti i tipi di persone, ricchi
e poveri; giovani e vecchi. Di fronte a persone, che ai nostri occhi europei
non hanno un centesimo da donare, che lasciano giù non una, ma magari quattro o
cinque offerte, ci viene in mente la domanda perché? Beh al di la della
convinzione di alcuni, dello spirito caritativo di altri e delle altre mille
motivazioni che ho detto prima ce ne è una quasi più profonda: “io dono perché
ho una dignità. Sarò povero, non guadagnerò molto, farò fatica ad arrivare a
fine mese però comprendo quello che stai facendo, so che è una cosa buona e voglio
contribuire anch’io, con quel poco che ho, donandoti magari quello che non
posso permettermi di donarti, però siccome ho una dignità e mi guadagno da
vivere voglio partecipare anch’io”.
Seguendo questo filo conduttore arriviamo al secondo
episodio. Domenica, invitati (noi e il gruppo del centro missionario di
Bergamo) in casa di David e della sua famiglia, ci è stato offerto da mangiare.
Questo perché eravamo ospiti e qui l’ospitalità è ancora sacra. In Bolivia ci
sono tanti problemi, si ha ancora molto da lavorare sulla gratuità, però
l’ospitalità rimane sacra e all’ospite si offre il meglio che si ha, senza fare
calcoli (come facciamo noi) di quanto questa visita ci viene a costare o che
magari se offro a lui poi non rimane più niente in casa. Così di fronte al
catino di mais (mote) e di uova che ci veniva offerta, che sicuramente era più
di quello che si sarebbero potuti permettere, noi, europei ci siamo sentiti a
disagio e abbiamo sentito il bisogno di placare le nostre coscienze. Di fronte
a tanta generosità, di fronte all’orgoglio di David che ci stava mostrando casa
sua, la sua famiglia e il suo stile di vita. Di fronte ad un “povero” che con orgoglio ci offre più
di quello che può, noi ci siamo sentiti a disagio. Di fronte al nostro disagio
abbiamo reagito nella peggiore delle maniere, dando un valore in denaro a
quello che ci veniva offerto e lasciandoli quindi un’offerta en plata. Il valore materiale
dell’offerta superava di molto il valore materiale di quello che ci veniva
offerto e sicuramente quei soldi faranno comodo a questa famiglia; ma ciò non
toglie che li abbiamo offesi, abbiamo offeso la loro dignità, anche se abbiamo
spiegato che non lo facevamo per fare l’elemosina, alla fine è quello che
abbiamo fatto.
Non siamo stati capaci di ricevere, abbiamo pensato solo a
noi, solo al nostro disagio di europei, non abbiamo saputo vedere l’orgoglio
che queste persone avevano nel donare a noi e nel mostrarci casa loro. Abbiamo
solo saputo pensare che siamo noi quelli che sono qui per salvare, che non
siamo qui per ricevere. Così abbiamo offeso la dignità di queste persone e il
disappunto e l’imbarazzo sulla faccia di David era tangibile.
E’ incredibile la nostra arroganza e di come salti fuori
anche quando cerchiamo di fare del bene (il gesto di lasciare l’offerta non è
stata fatta in cattiva fede ma semplicemente senza considerare l’altro).
Impariamo che il donare e il ricevere sono due atti di
amore, che entrambi sono gratuiti e che non esiste una contropartita per un
gesto del genere.
Vorrei chiudere con un pensiero di Hermana Cherubina: noi
non salviamo nessuno, non siamo qui per salvare qualcuno, non hanno bisogno di
essere salvati, ma siamo qui per salvare noi stessi.
grazie Davide, mi hai emozionato e sei riuscito a descrivere perfettamente ciò che condivido pienamente! Manu
RispondiEliminaDavide, post molto interessante. Grazie per aver condiviso le tuo riflessioni.
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