C’è un posto, in
Libano, dove ad accoglierti c’è così tanta nebbia che nemmeno a Milano in
pieno novembre.
C’è un posto, in
Libano, che al primo impatto assomiglia ad una prigione e ti prende un po’
alla gola.
C’è un posto, in
Libano, che sembra un limbo: ci sono tante donne che aspettano e aspettano
ognuna con un passato troppo vicino e un futuro che rimane sempre troppo
lontano. Allora sembrano tristi, ma forse sono solo delle esuli. Troppo
lontane.
C’è un posto, in
Libano, dove c’è sempre un gran via vai e ci sono donne che arrivano, donne
che partono e donne che scappano perché non ne possono più.
C’è un posto, in
Libano, dove ascolti storie che avevi letto solo in quei libri sugli
stranieri che ti fanno leggere a scuola e ti fanno esclamare “Assurdo!” ma poi
restano sempre un po’ troppo lontane.
C’è un posto, in
Libano, dove i bambini non hanno una mamma, bensì 80 e non piangono di certo
se una sconosciuta li prende in braccio. Ma è anche il posto dove si sente di
più la mancanza di un “papà” con la barba e i muscoli per sollevarti fino al
cielo.
C’è un posto, in
Libano, dove il concetto di “mio” e “tuo” è un po’ diverso perché se ci si
deve accontentare allora anche un “nostro” è meglio di qualsiasi cosa. Invece
ci sono anche volte in cui non si tollerano sbagli e bisogna andare a sedare un
litigio in piena notte perché “si era seduta sul mio letto”.
C’è un posto, in
Libano, dove di sera si prega Dio davanti a una statuetta della Madonna e
lo si fa con canti che vengono dal profondo dell’anima e dal profondo
dell’Africa fatti di una religiosità a noi incomprensibile, ma che parlano
sempre e solo di gioia.
C’è un posto, in
Libano, dove se stai male ti passano la Bibbia sul corpo che guarisci
prima.
C’è un posto, in
Libano, dove se parte La Colita si balla tutti quanti e tutti insieme e
posso solo dirvi che hanno reso speciale questo ballo anche per me.
C’è un posto, in
Libano, in cui ci sono donne che vogliono solo sentirsi donne e così una
volta tirati fuori fili, perline, trucchi e macchina fotografica non ti puoi
più tirare indietro.
C’è un posto, in
Libano, in cui apri il frigorifero e ci trovi solo chili di cipolla e le
tipiche “piadine” utilizzate per fare il “rotolino” e vi giuro che alle 23
quando avete fame vi piange il cuore. Eppure adesso, che sono a casa, quando
apro il frigor e vedo tutti questi colori, tutta questa abbondanza, tutte
queste scatole e scatolette di marca diversa il cuore piange, ma perché non
trovo un senso a quest’opulenza.
C’è un posto, in
Libano, in cui l’ultima sera senti le donne urlare “I love Italia and I
love you!” e allora ripensi ai primi giorni quando bisognava pregarle per farle
alzare dalla sedia e venire a giocare con te e pensi che di strada ne hai
davvero fatta.
C’è un posto, in
Libano, dove vedi tanti sogni per il futuro che si scontrano con la realtà
e allora “Mia figlia ha ottenuto i permessi per andare in Danimarca da suo
padre. Io no. Io ho un tumore e devo restare qui. Ma forse più avanti riuscirò
a raggiungerli. Però sono contenta: mia figlia è tutto ciò che ho.”
C’è un posto, in
Libano, dove gli occhi ti parlano e sono occhi induriti da quello che hanno
visto, occhi in cui intravedi le foreste pluviali del cuore dell’Africa, occhi
dolci di una madre che consola il figlio che piange, occhi che non hanno un
paese perché nel loro paese non ci possono più tornare e ci sono occhi stanchi
che vorrebbero solo posarsi su un cuscino morbido e chiudersi, ma sanno che non
possono. Non ancora.
C’è un posto, in
Libano, dove basta un bimbo che si sbrodola di bolle di sapone insieme a te
per farti sentire più leggera.
C’è un posto, in
Libano, dove non è tutto facile come sembra e ci sono giorni in cui bisogna
lottare per le cose, ma chi ha detto che nello sporcarsi le mani, i piedi, la
faccia e il cuore, nel far fatica non si riscoprano le cose semplici e buone di
noi e dell’altro che si erano date per scontate?
C’è un posto, in
Libano, in cui io ti sorrido e tu mi sorridi perché non abbiamo altra idea
sul come comunicare, ma così facendo il cuore mi si scalda un po’ di più.
C’è un posto, in
Libano, che ti opprime quando ci sei dentro perché non puoi scappare da te
stessa e cerchi sempre di uscirne, ma quando sei fuori non riesci a togliertelo
da dentro e quella parte di te che è rimasta lì si sveglia presto, al mattino,
perché magari può ancora dare una mano a preparare la colazione.
C’è un posto, in
Libano, dove restare 2 settimane sui 365 giorni che ci sono in un anno
assomiglia molto a voler riempire con un secchio un mare troppo grande.
Eppure c’è un posto,
in Libano, dove non vai per cambiare il mondo o la vita di alcune donne
perché di certo non puoi aiutarle a tornare nei loro paesi o a riabbracciare i
loro cari.
È il posto in cui
non è tanto importante se 2 settimane sono troppo poche perchè quando te ne vai
la nebbia che ti ha accolto resta sempre, ma questa volta solo fuori e nel
cuore brilla un po’ di sole in più.
Martina P.
"Appoggiati a me che se ci dovesse andar male insieme sapremo cadere."
"Chiudi gli occhi e sogna, Amore mio"
"Balliamo sul mondo!"
Nessun commento:
Posta un commento