Atterrato da poco più di
ventiquattro ore, mi ritrovo su un treno a pensare al cantiere appena
concluso e a tirare le somme di quello che abbiamo vissuto.
È strano tornare alla vita di
tutti i giorni, sembra tutto diverso, eppure tutto è come
l’avevo lasciato.
Seduto davanti a me c’è un
bambino con in mano un tablet, non ha ancora alzato gli occhi e forse
non si è nemmeno accorto di me; solo due giorni fa a
quest’ora ne avrei avuti almeno quattro o cinque attaccati alle
mani, entusiasti per il braccialetto dell’armadillo.
È proprio grazie ai bambini che
quest’esperienza è diventata così importante,
difficile da immaginare e che io stesso avevo immaginato diversa;
vedere la povertà fa effetto e soprattutto se questa colpisce
i più piccoli.
Le attività erano iniziate con
una cinquantina di bambini che si erano uniti a noi durante il primo
giro per Wolisso e l’ultimo giorno le 180 fantastiche “spille
regalo” erano bastate a malapena per tutti.
È comodo non sobbalzare ogni 200
metri nei tragitti in macchina, non sporcarsi le scarpe nel fango o
nell'erba, avere il proprio posto sui mezzi di trasporto e non
avere timore di quanto sia marcia la banconota che ti daranno di
resto; però era anche questo a rendere vive le piccole cose.
Ripenso alle passeggiate notturne con
Fede per andare a buttare (o meglio bruciare) la pattumiera e a
recuperare quello che serviva dalle sister, ed al ritorno si
commentava la perla quotidiana di suor Delia.
La sera esco con gli amici di sempre,
ma è normale che il pensiero vada alle serate con quelle che
sono diventate le amiche di quest’avventura (Fede siamo troppo in
minoranza per poter parlare al maschile); le immagini un po’ da
casa di riposo con coperte, camomilla, giochi da tavola, film e
seven-minutes; perché, non credevo di arrivare mai a dirlo, in
Africa fa freddo e piove, ma basta mezzora di sole per ritrovarsi
la faccia e il coppino ustionati.
Rivedi tutte le persone della tua
quotidianità e ti passano davanti agli occhi le facce di chi
ha riempito le ultime tre settimane, quelle a cui ti sei più
affezionato: le compagne di viaggio, suor Francesca, il guardiano,
John Cena, il Boss, Buruk e i medici del CUAMM.
Davanti ho il mare, dietro le colline
toscane (=D) e le case intorno sono in cemento, e come non ripensare
al lago Wonchi e al suo battello, a quelle fantastiche alture di
Gogore Bora in cui ci siamo prima persi e poi impantanati, alle
capanne di fango e paglia, o lamiera per i più ricchi.
So già che quando a fine
settembre tornerò a fare lo studente di medicina non potrò
non ricordare i pomeriggi fatti di bolle di sapone, palloncini e
macchinine, e i sorrisi dei bambini che pian piano si riprendevano
grazie alle cure.
Una notte alzo gli occhi al cielo ed
eccomi lì a Getche a cercare stelle cadenti, grandi, medi e
piccoli carri, costellazioni improbabili (triangoli, rombi), ma
d'altronde se non c’è la corrente devi trovare
qualcos’altro da fare.
Rivedo la luna e mi ricordo che
l’ultima volta l’avevamo guardata da un camion di taglialegna; la
guardo bene, ma mi rendo conto che è tutt’altro che Super
(=D).
Sono atterrato da ormai una settimana, ma i momenti in cui ripenso all'Etiopia mi continuano a capitare; è vero che noi otto ragazzi italiani non abbiamo cambiato le vite dei bambini, che continuano a lavorare, mangiare falso banano, correre a piedi nudi sulla ghiaia, vestirsi con quello che capita e lavarsi nel rigagnolo davanti alla guest house; però, forse, queste tre settimane avranno per sempre cambiato il nostro modo di vedere il mondo.
Ali, Fede A, Fede O, Ele, Barbara,
Marti e la Boss…Amesegenallo =)
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