domenica 31 agosto 2014

Etiopia: 24 ore dopo

Atterrato da poco più di ventiquattro ore, mi ritrovo su un treno a pensare al cantiere appena concluso e a tirare le somme di quello che abbiamo vissuto.
È strano tornare alla vita di tutti i giorni, sembra tutto diverso, eppure tutto è come l’avevo lasciato.

Seduto davanti a me c’è un bambino con in mano un tablet, non ha ancora alzato gli occhi e forse non si è nemmeno accorto di me; solo due giorni fa a quest’ora ne avrei avuti almeno quattro o cinque attaccati alle mani, entusiasti per il braccialetto dell’armadillo.
È proprio grazie ai bambini che quest’esperienza è diventata così importante, difficile da immaginare e che io stesso avevo immaginato diversa; vedere la povertà fa effetto e soprattutto se questa colpisce i più piccoli.
Le attività erano iniziate con una cinquantina di bambini che si erano uniti a noi durante il primo giro per Wolisso e l’ultimo giorno le 180 fantastiche “spille regalo” erano bastate a malapena per tutti.



È comodo non sobbalzare ogni 200 metri nei tragitti in macchina, non sporcarsi le scarpe nel fango o nell'erba, avere il proprio posto sui mezzi di trasporto e non avere timore di quanto sia marcia la banconota che ti daranno di resto; però era anche questo a rendere vive le piccole cose.




Ripenso alle passeggiate notturne con Fede per andare a buttare (o meglio bruciare) la pattumiera e a recuperare quello che serviva dalle sister, ed al ritorno si commentava la perla quotidiana di suor Delia.

La sera esco con gli amici di sempre, ma è normale che il pensiero vada alle serate con quelle che sono diventate le amiche di quest’avventura (Fede siamo troppo in minoranza per poter parlare al maschile); le immagini un po’ da casa di riposo con coperte, camomilla, giochi da tavola, film e seven-minutes; perché, non credevo di arrivare mai a dirlo, in Africa fa freddo e piove, ma basta mezzora di sole per ritrovarsi la faccia e il coppino ustionati.

Rivedi tutte le persone della tua quotidianità e ti passano davanti agli occhi le facce di chi ha riempito le ultime tre settimane, quelle a cui ti sei più affezionato: le compagne di viaggio, suor Francesca, il guardiano, John Cena, il Boss, Buruk e i medici del CUAMM.

Davanti ho il mare, dietro le colline toscane (=D) e le case intorno sono in cemento, e come non ripensare al lago Wonchi e al suo battello, a quelle fantastiche alture di Gogore Bora in cui ci siamo prima persi e poi impantanati, alle capanne di fango e paglia, o lamiera per i più ricchi.



So già che quando a fine settembre tornerò a fare lo studente di medicina non potrò non ricordare i pomeriggi fatti di bolle di sapone, palloncini e macchinine, e i sorrisi dei bambini che pian piano si riprendevano grazie alle cure.

Una notte alzo gli occhi al cielo ed eccomi lì a Getche a cercare stelle cadenti, grandi, medi e piccoli carri, costellazioni improbabili (triangoli, rombi), ma d'altronde se non c’è la corrente devi trovare qualcos’altro da fare.
Rivedo la luna e mi ricordo che l’ultima volta l’avevamo guardata da un camion di taglialegna; la guardo bene, ma mi rendo conto che è tutt’altro che Super (=D).



Sono atterrato da ormai una settimana, ma i momenti in cui ripenso all'Etiopia mi continuano a capitare; è vero che noi otto ragazzi italiani non abbiamo cambiato le vite dei bambini, che continuano a lavorare, mangiare falso banano, correre a piedi nudi sulla ghiaia, vestirsi con quello che capita e lavarsi nel rigagnolo davanti alla guest house; però, forse, queste tre settimane avranno per sempre cambiato il nostro modo di vedere il mondo.

Ali, Fede A, Fede O, Ele, Barbara, Marti e la Boss…Amesegenallo =)




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