giovedì 31 agosto 2017

Tempo di Bolivia

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L'orologio del Parlamento a
La Paz gira al contrario
Tempo. Questo argomento è stato una costante del nostro viaggio. Abbiamo cominciato a rifletterci quando per percorrere 300 km ci abbiamo impiegato 8 ore; quando i 15 minuti per cambiare una gomma sono diventati 2 ore; quando arrivi al servizio e i bambini non si presentano.

Padre Sergio è un italiano che vive in Bolivia da 11 anni ed ha provato a farci capire quanto sia diversa la percezione del tempo in questo paese. Chiacchierare con lui ha dato senso ed ordine alle nostre perplessità; ci ha raccontato che quando visiti dei boliviani sai quando entri nella loro casa, ma non quando ne esci; che le loro preghiere non stanno nella conservazione del silenzio, ma nel consumarsi di una candela o nei kilometri di un pellegrinaggio verso un santuario. Insomma, qui il tempo si abita, è l’ "Esserci” e lo “Stare” fisicamente; è un dono, un modo di mostrare rispetto ad una persona.


Benedizioni durante la festa di Urcupiña
 Il concetto di “perdita di tempo”, che per noi europei è un’ossessione quotidiana, qui non esiste, perché nulla è programmato e si accoglie ciò che arriva; il tempo viene percepito in maniera circolare, non in verticale. Questa diversità ci ha aiutato ad abbattere un muro tipicamente umano, il giudizio. E’ un errore pensare che un’idea sia giusta e una sbagliata, ma bisognerebbe cogliere la differenza come un’occasione per rimettersi in gioco. Con questo nuovo punto di vista possiamo affermare che l’esperienza del cantiere è “tempo qualità” perché è speso al servizio degli altri.

Bolivia: Incontrarsi in un altro continente

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E’ una settimana che sono in Italia, sette giorni di immagini che scorrono davanti ai miei occhi, di abbracci con i miei amici, con i miei cari genitori… appena ti incontri la frase fatidica :
Allora Boliviana, raccontaci il tuo viaggio”
Dopo questa frase ogni volta appare un sorriso sulla mia bocca, gli occhi viaggiano, forse il mio sguardo si fa lontano e assente, o forse è semplicemente “pieno”.
SI’ E’ PIENO, perché certe cose non si possono raccontare fino in fondo, certe emozioni che ti fanno vibrare l’anima non possono riassumersi in una risposta ad una domanda.
A Cochabamba tutto era diverso: colori, odori, mezzi di trasporto...gli incontri iniziavano proprio sui “trufi”, mi piaceva osservare le persone attorno a me, catturare i loro spostamenti, le loro piccole abitudini che scaldano il cuore.
Ricordo un ritorno verso casa, dopo una giornata di servizio impegnativa, dove le domande nella mia testa erano sempre troppe, e lì davanti a me un papà con in braccio la sua bambina, tantissime coccole per quel genitore con sua figlia, baci ed abbracci che mi avevano scaldata e fatto sentire un pochino meno triste ed impotente.
Impotenza … sì, a volte, quando ti ritrovi con 30 bambine che vivono in un hogar, spesso abbandonate dai loro genitori, con storie difficili alle loro spalle, magari a soli 3 anni, con ferite profonde, che certe volte non permettono di mettere in moto quella solidarietà e aiuto, che ti aspetti di trovare da bambine accomunate da un destino simile. Mi sono sentita disarmata e impotente; in quei momenti mi hanno aiutata i piccoli gesti.. aiutarle a lavare i panni, stenderli e dopo la fatica ,“rubare” un mandarino e assaporarlo al sole, in un angolino, lontane da tutto. Io sola con quelle bambine, ascoltarle e sorridere mentre accarezzavo i loro capelli era un gesto bello, che ridava tranquillità e serenità.
Nella mia valigia non mi porto le coloratissime stoffe Boliviane, lì dentro ho chiuso voci, occhi, storie di vita che Natalia, Jasmina, Andres, la Duena de la cocina e i venditori della cancha in quel momento hanno deciso di condividere con me. Lì dentro ho chiuso storie di preti e suore missionarie, che dedicano la loro vita a persone in difficoltà, gente, a volte, incapace di dire GRAZIE, custodisco la fatica di una terra contraddittoria, che però ha la magia di entrarti dentro, di creare appartenenza anche in poche settimane di servizio.
In Bolivia ho toccato con mano il significato di questa frase:

Un sorriso è spesso l’essenziale.
Si è pagati da un sorriso.
Si è ricompensati da un sorriso.
Si è animati da un sorriso”


GRAZIE BOLIVIA!

mercoledì 30 agosto 2017

Piccola storia di una Scuola

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Il Centro Escolar di Redes de Solidaridad a Nueva Vida, Ciudad Sandino è una scuola elementare sui generis pensando al contesto nella quale è inserita.
Non é la scuola ideale, né un utopia in quanto vive anch’essa delle sue contraddizioni, ma è comunque una bolla nella quale rifugiarsi nei primi anni di crescita e apprendimento e che costa fatica abbandonare allo scadere del sesto anno, tanto per le bambine e i bambini, quanto per le madri e i padri degli stessi bambinx.
Le maestre e i maestri sono appasionati e presenti; alla didattica frontale si sommano innumerevoli laboratori di arte, teatro e danza; un' attenzione speciale é dedicata alla promozione della lettura; grande spazio viene dato allo sport, ma anche alla ricreazione e al gioco.
Oltre a tutto questo colpisce, in maniera particolare, la volontá, all’interno di un contesto tanto machista, di crescere ed educarele bambine e bambini nel segno della paritá di genere.
È uno sforzo imperfetto, ma costante per tentare di eliminare, quanto possibile, le separazioni forzate fra maschi e femmine, di distruggere i falsi miti di principi e principesse e di rafforzare la coscienza dei diritti paritari delle e dei bambini.
Sforzo costante, appunto, che si scontra altrettanto costantemente con la realtá esterna alla bolla, la quale plasma violentemente bambinx e professorx cercando di reincanalarli in quella binarietá e rigiditá dei generi tanto pericolosa.

Ogni hanno Zoyla, la bibliotecaria organizza un laboratorio teatrale con l’obbiettivo di mettere in scena le storie del Nicaragua dalla conquista dell’America fino alla Rivoluzione Sandinista. Ad ogni classe viene affidata una diversa parte della storia.
(Qui si potrebbe aprire una parentesi in cui interrogarsi sulle scelte delle storie e le loro interpretazioni, spesso estrapolate direttamente dai libri di testo.)
Zoyla, per dare continuitá al discorso di paritá di genere ha utilizzato alcune strategie come, da un lato,  rivisitare parzialmente la storia cambiando il genere di alcuni personaggi, dall’altro, recuperare alcune figure femminili marginalizzate o dimenticate dalle storie ufficiali. E’ questo il caso, ad esempio, della rappresentazione della resistenza indigena  in cui si affianca alla figura del cachique Diriangen, leader della resistenza, la figura di Itza, donna indigena e combattente valorosa, giá recuperata dall’oblio della storia dal romanzo di Gioconda Belli “La donna abitata”, in nome di tutte le indigene i cui nomi non appaiono nella Storia.
Cosí pirati e guerriglieri sono interpretati in egual misura tanto da bambini, quanto da bambine.
È sempre in base a questo principio che la scelta del personaggio di Cristoforo Colombo era ricaduta su Sharon, una bambina dallo sguardo vispo e dalle ottime capacitá sceniche.
Dopo due settimane di prove apprendo che la piccola attrice è stata sostituita e al suo posto sará un altro bambino ad assumere il ruolo di Colombo, mentre a Sharon toccherá un personaggio secondario.
Alan, maestro della terza elementare, mi spiega che il cambiamento è stato dovuto alla visita alla scuola della madre di Sharon che ha trovato inaccettabile che sua figlia ricoprisse un ruolo maschile e ha chiesto espressamente che fosse cambiato il ruolo da lei interpretato.
Allo stesso modo si è dovuto aggiungere una scena extra, ambientata alla corte spagnola, poiché una madre aveva giá preparato il vestito da principessa per la figlia, prima ancora di conoscere i dettagli dello spettacolo.
È cosí che la bolla esplode e si interseca bruscamente con la realtá, ed è in questo stesso punto che comincia la vera sfida, è in questa frattura fra ideale e realtá che bisogna lavorare e mettere le mani. È proprio il contatto quotidiano e reale con il contesto in cui è situato il Centro Escolar che puó renderlo un incredibile laboratorio di educazione popolare e di genere, di un educazione che si da come fine, come obbiettivo la trasformazione e il cambio sociale. Sperando che la bolla continui a esplodere.
Quando mi hanno detto del cambio di attrice ero sconsolata, piú io della bambina a cui hanno cambiato ruolo, poi Zoyla mi ha detto: “Non importa, inventeremo un inseparabile e fondaentale aiutante di Colombo e sará una donna”.
Risultati immagini per centro escolar redes

martedì 29 agosto 2017

Serbia: Storie da Bogovadja

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Potrei iniziare questo racconto parlandovi di numeri, di quante persone ospitava il campo profughi di Bogovadja, in Serbia, ma non voglio farlo, perché non ho incontrato numeri, ho incontrato persone, volti, storie e questo è quello che mi è rimasto nel cuore.
Nel campo ho incontrato famiglie intere, ragazzi e giovani che arrivavano da diversi paesi e diversissime tradizioni culturali, c'era chi arrivava dall’Iran, dall’Afghanistan, dal Pakistan, dall’Iraq, chi arrivava dalla Siria o dalla Macedonia, chi addirittura da Cuba o da qualche paese africano, tutti riuniti li, in attesa, infinita attesa, di poter entrare in Europa passando dalla Serbia e poi dall’Ungheria.


Nel campo si incontrano volti sorridenti, soprattutto quelli dei bambini, ma non tutti, e altri volti stanchi, preoccupati, tristi…accusano la mancanza della famiglia, di un padre, di una madre, di un marito, la mancanza di una casa che sia loro e di un paese dove potersi sentire a casa.

Ma perché sono scappati dal loro paese? Quante volte questa domanda ci ronzava in testa, quante volte avremmo voluto chiederlo ma non era il caso, alcune volte, invece, la risposta ci e’ stata regalata senza doverla chiedere.

Un pomeriggio caldissimo durante il beauty saloon per le donne del campo, chiediamo a Katy una splendida ragazza afghana quanti anni ha… “quindici” ci dice lei…strano, pensiamo, sembra più grande, già donna!
Poi sottovoce, per non farsi sentire dagli altri, un po' in imbarazzo, ci rivela il segreto: “Sapete, in realtà ho 17 anni, ma da quando sono arrivata qui, tutti mi dicono di mentire sulla mia età, di dire che sono più piccola, perché fino a quando siamo minorenni abbiamo più tutele, ma a dire il vero non mi piace mentire, e’ una cosa che non faccio mai!  Anzi io e la mia famiglia siamo estremamente grati per tutto quello che stiamo ricevendo qui, per come ci stanno trattando da quando siamo partiti, e pensare che chi ci aiuta così non è nemmeno il nostro paese ma altri! Mi piacerebbe davvero tanto poter vivere in un paese più libero come l’Italia o i paesi europei, poter studiare e fare politica per aiutare poi la gente del mio paese…sapete io e mia sorella stiamo tenendo un video diario per raccontare tutto quello che stiamo vivendo durante il nostro viaggio!”
Katy e’ arrivata al campo da due mesi, e’ partita dall’Afghanistan con sua mamma, le sue sorelle Eve di 19 anni, Fatima di 15, Tina di 8 e suo fratello Mohammed, di 10 anni.
Il loro papà li controlla dall’Afghanistan, gli invia i soldi per gli spostamenti e si accerta sempre di essere in contatto con loro; li raggiungerà quando saranno al sicuro, in Svizzera o in Svezia, ma non ora, adesso deve continuare a lavorare per assicurargli la possibilità di compiere il loro viaggio.
Hanno dovuto lasciare la loro città tormentata dalle bombe, ma non solo per quello…il loro stile di vita probabilmente non era ben accetto…si, perché né Katy né le sue sorelle portano il velo, vestono all’occidentale, conoscono alla perfezione Arabo, Pharsi e Inglese, hanno studiato in scuole all'avanguardia e il loro papà non pratica nessuna religione in particolare e lavora per un'azienda informatica internazionale.

Per questo hanno ricevuto delle minacce anche nel campo. La loro mamma un giorno ha aperto la porta e si è sentita dire di stare attenta alle sue figlie, di non metterle troppo in mostra, per questo ora non si vedono più molto girare per le attività…
Qualche giorno dopo Katy si avvicina di nuovo a me e nell’orecchio mi sussurra “we go Game”… se ne vanno dal campo. Il Game e’ quando cerchi di passare la frontiera, illegalmente, quando il tempo d'attesa e’ troppo e quando non ne puoi più di lasciare la tua vita in stand-by per uno, due o più anni.
Zaini in spalla, vestiti comodi, lacrime negli occhi e la mamma di Katy ci ringrazia per quello che abbiamo fatto per loro, ci saluta e ci stringe per ricevere conforto e coraggio…quanto che ne ha questa donna…ha attraversato da sola con 5 figli Afghanistan, Iran, Turchia, Grecia, Macedonia e Serbia e stanotte cercheranno di passare il confine della Croazia in un camion o attraverso il bosco o il fiume, evitando la frontiera, per poi arrivare in Italia e dirigersi verso la Svezia.
Da qual giorno, anche se ci siamo scambiati i numeri, non li ho più sentiti, non so dove sono, al campo non hanno più fatto ritorno, e io mi auguro con tutto il cuore che stiamo bene e che siano al sicuro…
Per qualcuno potranno essere profughi o clandestini, o peggio, ma per me sono Eve, Katy, Fatima, Tina e Mohammed. Non li ringrazierò mai abbastanza, loro, come tutti gli altri nel campo, per avermi aperto il cuore anche a quei popoli e a quegli stati del mondo che tanto ci stanno insegnando ad odiare.



Chiara


⟹⟹⟹THIS IS PEKARA'S TEAM!!!

lunedì 28 agosto 2017

Innamorarsi.

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Guardo i miei compagni dormire. Li guardo dormire nelle posizioni più strane e più assurde. Li guardo cercare la posizione migliore per strappare qualche ora di sonno al jet - lag che inevitabilmente ci colpirà appena sbarcati a Linate, se non addirittura prima a Francoforte. Io non riesco a dormire, non riesco a chiudere occhio. Sarà che a Managua sono le 19.27, sarà il mal di schiena che mi massacra da ormai 5 ore, saranno i Negrita che con le loro melodie tengono compagnia ai miei pensieri, sarà che preferisco assumere una postura scomoda per fare addormentare la mia compagna di posto e di esperienze, sarà ma non riesco a dormire.

Mi sono innamorato. Mi sono innamorato del Nicaragua. Mi sono innamorato del Kenya e dei Balcani.

Di solito ci si innamora di persone; mi sono innamorato sicuramente almeno una volta. Una volta ho detto ti amo, ne sono sicuro. Ho detto ti amo ad una persona che per me ha significato tantissimo, una persona che ha decisamente inciso sulla mia vita.

È possibile innamorarsi di un paese? È possibile innamorarsi di una esperienza?

In fin dei conti anche tutte queste esperienze incidono sulla nostra vita. Secondo mia madre sono tornato cambiato dai Balcani, dal Kenya, chissà anche dal Nicaragua. Si sa che la mamma ha sempre ragione.

Ma come è possibile innamorarsi di qualcosa di astratto? Di qualcosa che trascende la vita terrena?

In fin dei conti un'esperienza non si può toccare, non si può guardare, non si può baciare. Un paese non si tocca, non si guarda, non si bacia: si guardano i suoi paesaggi; si toccano i monumenti, gli alberi, la terra; si baciano le persone che vivono in quel paese, che vivono con te questa esperienza.

Ma l'esperienza si vive. L'esperienza è vita. Io sono vivo, fino a prova contraria; i miei compagni di viaggio sono vivi; Feliz, Matilde, Irene, Stefania, Juan, sono vivi.

Sicuramente sappiamo che le persone si amano, come si odiano, e si innamorano.

Quindi se l'esperienza si vive e se le persone sono vive, ci si può certamente innamorare dell'esperienza.

O meglio ci si innamora delle persone con cui si vive l'esperienza, che partecipano ad essa, che la creano e la costruiscono.

Io mi sono innamorato. Mi sono innamorato dei paesaggi, delle foreste, delle spiagge, dei vulcani, di Nueva Vida.

Mi sono innamorato dei miei compagni di viaggio. O meglio mi sono innamorato del rapporto che si è venuto a creare, delle risate, dei momenti difficili, delle prese in giro.

Mi sono innamorato del rapporto che si è venuto a creare con ognuno di loro. Per ora tutti i miei viaggi hanno contribuito a farmi conoscere delle persone meravigliose.
Persone con cui ho condiviso solo una esperienza, persone con cui ho trascorso molte avventure.
In questo caso mi capita di affezionarmi, un' affetto così forte che mi porta a cercarle anche al di fuori dei viaggi, nella vita reale.
In questo caso le esperienze vissute creano dei legami così forti da renderci una cosa sola. Una terza essenza che nonostante la lontananza, rimane lì latente pronta ad essere riscoperta, pronta a rinascere. 

Ci si innamora delle esperienze e le esperienze fanno innamorare.

Di cosa?

Dipende da come si è vissuta questa esperienza.

Vado a chiudere gli occhi. Si sa il Jet - lag è tiranno.


Ah, ti amo Nicaragua.


Filippo


Georgia: l'incontro con Tahoma

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Mani piccole piccole, gambe sottili e lunghe. Capelli biondi finissimi e un corpicino magro e leggero. Una maglietta di qualche taglia più grande, dei pantaloncini e due infradito. Due occhi grandi e profondi ma mai un sorriso.

Queste sono state le prime cose che mi hanno colpito di Tahoma, una delle bambine più piccole che c'erano al centro questa estate.
Era arrivata il terzo giorno con sua sorella Christine, una bellissima ragazza di tredici anni, bionda e alta, al contrario della maggior parte di tutte le altre bambine georgiane, che hanno invece visi dai tratti più pronunciati, dalle sopracciglia folte e scure.

Abbiamo provato per un giorno intero a farla sorridere, ma non voleva né giocare, né ballare, né stare con gli altri bambini. Ogni tanto le sfioravo con due dita il viso, allungando leggermente gli angoli delle sue labbra serrate, per chiederle un sorriso, non sapendo come dirlo nella sua lingua.



L'unica volta che sono riuscita a convincerla a fare un gioco insieme a tutti gli altri, proprio mentre iniziava a divertirsi, è scivolata sull'asfalto, a causa delle sue piccole ciabattine mezze rotte, e ha picchiato la testa. Ha pianto per un'ora e a nulla è servita l'acqua fredda, qualche abbraccio in più. Era ritornata seria.

In realtà, nei giorni successivi, ho capito che Tahoma aveva bisogno di andare a piccoli passi, con quei suoi piedini neri e le ciabatte ancora mezze rotte. 
Doveva imparare a fidarsi degli altri bambini nei giochi, delle acque del fiume dove li portavamo in gita una volta a settimana, delle mani di uno di noi volontari che le porgeva il pezzo di pane a metà mattina e l'anguria a fine giornata. 

Thaoma e sua sorella sono venute solo per pochi giorni, poi sono sparite.

Fino all'ultimo giorno, che per me è stato il più duro, perché non riuscivo a dire addio a nessuno.
A un certo punto ho sentito "Marta!" e girandomi, ancor prima delle mani piccole piccole, delle gambe sottili e lunghe, dei capelli biondi e delle ciabatte, ho visto un sorriso che mi correva incontro.


"Non ti chiedo né miracoli né visioni
ma solo la forza necessaria per questo giorno!
Rendimi attento e inventivo per scegliere
al momento giusto
le conoscenze ed esperienze
che mi toccano particolarmente.
Rendi più consapevoli le mie scelte
nell'uso del mio tempo.
Donami di capire ciò che è essenziale
e ciò che è soltanto secondario.
Io ti chiedo la forza, l'autocontrollo e la misura:
che non mi lasci, semplicemente,
portare dalla vita
ma organizzi con sapienza
lo svolgimento della giornata.
Aiutami a far fronte,
il meglio possibile,
all'immediato
e a riconoscere l'ora presente
come la più importante.
Dammi di riconoscere
con lucidità
che le difficoltà e i fallimenti
che accompagnano la vita
sono occasione di crescita e maturazione.
Fa' di me un uomo capace di raggiungere
coloro che hanno perso la speranza.
E dammi non quello che io desidero
ma solo ciò di cui ho davvero bisogno.
Signore, insegnami l'arte dei piccoli passi."


Antoine de Saint-Exupéry


                                                                     Marta 

sabato 26 agosto 2017

Georgia: l'incontro con Ana

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Cara Ana,

Ti ho incontrata. Ho conosciuto la tua storia. Ho pianto tanto. Condividendo una parte del mio passato con te, posso dirti di non abbatterti, di non essere triste. Le nostre storie sono e saranno occasione di crescita per noi, di acquisizione di autonomia, di coraggio. Noi ce la sappiamo cavare! Te molto più di me. Non pensare, come ho fatto io per molto tempo, di essere la ragazza più sfortunata del mondo. Grazie a te ho capito che è egoismo, presunzione. Per quanto la fortuna non sia stata dalla nostra parte, c'è sempre chi sta peggio di noi. Al contrario pensa al fatto che siamo portatrici di un'esperienza da raccontare, di emozioni da esprimere. Abbiamo tanto da dare! Questo perchè Qualcuno lo ha progettato per noi, per un motivo preciso che forse un giorno capiremo. Fatti forza e punta in alto: nessun obiettivo è troppo grande! Sii l'eroina dei tuoi fratelli, da' loro tutto il tuo amore e ricordati che non sei mai sola: il tuo papà ti guarda e ti accompagna in tutte le scelte che fai. Non aver timore di piangere, sfogati quando ne senti il bisogno! E' liberatorio e ti permette di ripartire con una carica enorme. Vorrei dirti un sacco di cose, ma purtroppo la lingua è un muro per me... L'affetto che ho potuto darti l'ho messo in gioco e tu me ne hai restituito altrettanto con i tuoi sorrisi, i tuoi abbracci. Sfortunatamente la mia permanenza in Georgia non mi ha permesso di conoscerti a fondo e i giorni al campo sono volati, ma spero di aver lasciato a te e a tutti i bambini una parte di me. L'esperienza dei cantieri è stata unica, ricca di emozioni. Ti auguro di viverne una simile e tante altre ancora più belle! Il tuo percorso, seppur tortuoso, ti porterà a costruirti un futuro dignitoso! Ne sono certa! L'amore e l'attenzione per la tua giovane famiglia farà di te una donna forte, amata, che sa spendersi per gli altri. Il servizio è uno stile di vita ed è il nostro. Forse tu non lo hai scelto, ma vedrai che restituisce cento volte tanto!

Ti auguro il meglio.
Chiara

Georgia: il mio incontro con una befana georgiana

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Il mio “incontro con l’altro” ha avuto luogo durante una messa a Vale, un piccolo paesino dove ci siamo recati per un weekend.
In particolar modo, vorrei condividere quello con una vecchia signora che mi verrebbe da descrivere come una “perfetta befana”: naso adunco, mento sporgente, volto rugoso e un foulard che le avvolgeva la testa; unico vezzo nel suo abbigliamento, un paio di scarpe con i lustrini.
Una volta entrati in chiesa, abbiamo cercato dei posti liberi sulle panche e, con la mia solita fortuna, mi sono ritrovata seduta dietro una grande colonna di pietra che mi copriva buona parte della visuale. Accanto a me, la sopracitata signora ci stava squadrando da capo a piedi. In realtà, dopo una breve occhiata intorno a noi, capii che non era la sola: avevamo addosso gli occhi di tutti. Inizialmente interpretai la cosa in modo negativo, pensavo esprimessero malevolenza e diffidenza. Compresi solo in seguito che la loro era semplice curiosità. La signora accanto a me, infatti, cominciò ben presto a parlarci in georgiano; dopo averle spiegato che non riuscivamo a capirla in quanto italiani, ci ha riservato un bellissimo sorriso e si è stretta maggiormente verso l’esterno della panca, in modo da farmi vedere al di là della colonna. In seguito, a messa iniziata, si è addirittura alzata e ha cambiato posto per farci stare tutti più comodi.

A fine messa, invece, ci ha rivolto ancora qualche parola in georgiano, che purtroppo non siamo riusciti a capire, ma i suoi sorrisi benevoli ed i suoi gesti mi sono rimasti impressi. Atti semplicissimi, cui forse non tutti avrebbero riservato la stessa attenzione che vi ho prestato io, ma che riassumono quella che per me è stata la Georgia: una summa di piccoli gesti. Dal bambino che ci abbraccia prima di tornare a casa, alle parole, ai sorrisi e ai frutti che ci hanno regalato come ringraziamento alcune delle persone a cui abbiamo portato i pasti. Azioni inaspettate per me, ma così candide e spontanee da parte loro da essermi rimaste nel cuore, perché sono state proprio queste a darmi la certezza di aver fatto qualcosa di giusto.

Costanza

giovedì 24 agosto 2017

CAPITOLO 4 LIBANO: Odori e Colori

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 “E` li che ho sentito l`odore dei poveri. Sapete: non mi ha piu lasciato il puzzo della miseria, si è attaccato ai vestiti, alla pelle, mi ha inseguito dopo che ne sono uscito, ho gettato via i vestiti che indossavo...e` rimasto li, mi e` entrato dentro, mi insegue e mi perseguita....che cos`e` l `odore dei poveri? ”
Questa è la testimonianza di Domenico Quirico, giornalista de La Stampa al ritorno da un viaggio nei centri d`accoglienza libici.
E` questo l`odore dei poveri?  E’ quello che ci siamo chiesti mentre i bambini ci si arrampicavano addosso.
Pungente, come un profumo troppo dolce che non si adatta all`eta` del bimbo che hai davanti.
“L`odore di shelter” è un odore misto di polvere terrosa, di mani sporche, l`odore umido della doccia, gli odori forti e speziati dei cibi che vengono preparati fin dal mattino, l`odore del pianto.
Ma tutti questi odori spesso celano dei colori di una bellezza inaspettata.


Azzurro,  quello del cielo che si confonde all’orizzonte con quello del mare, e quello degli occhi espressivi e trasparenti di Lamar.
Bianco, come il contrasto che si crea con il nero negli occhi dei bambini, e come la polvere che si alza quando si corre insieme a loro.
Nero, come il quotidiano vestito che Fatima riusciva a indossare con cosi tanta eleganza; nero come il caffe denso e robusto che con il suo profumo ti risveglia.
Rosso, come tutti i checkpoint che abbiamo oltrepassato nei nostri spostamenti  per il Libano, e come i pomodori che ogni giorno vengono serviti a pranzo negli shelter.
Arancione,  colore che esplode nel cielo ogni sera in un tramonto sorprendente.
Ma anche il grigio, come il cemento dell’edilizia che deturpa le meravigliose valli verdi e che rinchiude anche gli ultimi cedri rimasti liberi, come lo smog che aleggia sempre sopra Beirut, e come i campi da gioco dedicati ai bambini. 
Che odere e colore ha uno shelter? Ora che abbiamo visto, vissuto, respirato, non possiamo piu dire “ignoravo tutto”, “credevo”, “mi avevano detto”.


mercoledì 23 agosto 2017

CAPITOLO 3 : M-O-L-D-O-V-A

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Facciamo un gioco?
Mettersi in gioco in questi giorni è stato sicuramente indispensabile per incontrarsi (o meglio scontrarsi) con una cultura, un altro diverso da noi.Non vogliamo smettere di farlo neanche ora, mentre stiamo riflettendo su cosa siano state per noi queste settimane.Ci eravamo lasciati con una domanda: si dirà Moldova o Moldavia?Per scoprirlo vogliamo ricomporre lettera per lettera il nome di questo paese e le mille emozioni che ci ha trasmesso.
Giocate con noi?



Multumesc:
Parola semplice che a volte viene data per scontata, ma che aiuta moltissimo quando non conosci una lingua. In moldavo 'multsumesc' si scrive e si pronuncia in modo completamente diverso dall italiano, ma al contrario di altre parole piu semplici noi cantieristi italiani lo abbiamo memorizzato subito. È stata una soddisfazione vedere come i volontari moldavi apprezzassero lo sforzo di rispondere nella loro lingua anche ai gesti semplici.

Occhi:
In Moldova in un paio di occhi vedi sincerita voglia di giocare e sorridere. in un paio di occhi azzurri o verdi trovi una comunicazione molto piu efficace di mille parole ma soprattuto vedi la realtà attraverso quello specchio per comprendere come sia diversa la vita anche solo a due ore di aereo da noi. perché alla fine un viaggio non è cercare nuove terre ma avere nuovi occhi ed è quello che è successo a noi



Dono :
Il valore del dono è centrale nell'esperienza umana. La vita di ognuno di noi è dono, l'educazione che riceviamo è dono, il tempo che gli altri ci dedicano è dono.
La capacità di donarsi agli altri è il sale della vita dell'uomo, è quel qualcosa in più che riesce a dare un senso alla quotidianità. Solo così il messaggio che c'è più gioia nel dare che nel ricevere può prendere corpo in mezzo a noi. Il volontariato è una delle mille espressioni in grado di mostrare la forza potente del dono, e così è stato per noi cantieristi in Moldova. Ogni giorno passato a programmare, pianificare e mettere in pratica ciò che era stato precedentemente deciso è stato il nostro piccolo dono quotidiano. Quello che abbiamo ricevuto, però, è molto più grande e compensa ogni fatica di questi venti giorni. Si tratta di risposte, sorrisi, abbracci e tanta riconoscenza. E questi sono i doni più belli di tutti.


Oportunitate:
l'Italia, osservata da un'altra prospettiva come quella moldava, sembra essere il paese delle opportunità. Per questo noi, gruppo di ragazzi italiani, siamo venuti qui per portare, nel nostro piccolo, un'occasione di benessere per i locali. Eppure, alla fine di questo viaggio, ci rendiamo conto di quale grande opportunità ci abbiano offerto in cambio la Moldova e la sua gente. Con la loro accoglienza, gratitudine e diversità ci hanno fatto emozionare, arrabbiare e stupire, contribuendo a una nostra crescita non soltanto formativa, ma anche e soprattutto personale. Infine, ci hanno permesso di dare vita ai ricordi più belli di queste due settimane, quelli che ti rubano un pezzo di cuore.

Valore:
Il valore di questa esperienza in Moldova è stato indescrivibile. Un valore che ti cambia senza che te ne accorga con piccoli gesti e poche parole. Abbiamo riscoperto come ogni parola ogni sorriso ogni abbraccio sia davvero importante e significativo per questi piccoli bambini. Grazie a loro abbiamo riscoperto questo valore.
Le emozioni che abbiamo provato sono davvero forti, e dritte al cuore.Il significato che abbiamo dato ad ogni singolo gesto è stato diverso, ma sempre ricco di emozioni forti e pensieri sinceri.
Questo viaggio in Moldova è stato proprio un vero valore aggiunto al nostro essere: ci ha sicuramente cambiati ed aiutato a crescere.

Acuma:
E adesso? Sono partita convinta di trovare le risposte che stavo cercando e invece torno con più domande di prima. Però in fondo sono proprio le domande a darti un nuovo slancio, una nuova spinta. Questo è il bello: quando pensi di essere arrivato è proprio allora che inizia il viaggio.